“Disco Boy”: legione africana

venerdì 10 marzo 2023


Qual è “il vero Soldato”? Colui che fugge per salvare la propria vita, o chi prende la vita dell’altro per salvare la sua? Paradossalmente, entrambe le figure retoriche si intrecciano in un inviluppo inscindibile nel protagonista del film Disco Boy (in uscita nelle sale italiane dal 9 marzo) del regista italiano Giacomo Abbruzzese, candidato al Festival di Berlino 2023.

La storia possiede due totem simbolo della forza del dio Marte. Da un lato, l’immigrato clandestino bielorusso Aleksei (Franz Rogowski) e con lui il mito della divisa, che nella Legione Straniera francese vuol dire indossare un’armatura legale per cui, una volta portato a termine il contratto con lo Stato, si ha diritto a un nuovo nome, una nuova Patria e a una seconda chance.
Dall’altra parte della barricata, invece, c’è la figura del guerrigliero, Jomo (Morr Ndiaye), senza divisa al di fuori della sua pelle scura e dei muscoli bene in vista, con un collare d’oro e le cartucciere alla cintola, che guida un gruppo di eco-fuorilegge del delta del Niger.

Il motivo della sua personale dichiarazione di guerra sta in un video propagandistico in cui sostiene di voler combattere il nuovo colonialismo delle multinazionali (francesi, in questo caso), che sfruttano i giacimenti petroliferi nigeriani sconvolgendo e inquinando per secoli a venire l’ecosistema locale.

Il contatto tra questi due mondi inconciliabili e antagonisti è dato dal rapimento da parte dei guerriglieri di Jomo di alcuni contractor dell’azienda petrolifera francese per la cui liberazione viene inviato un commando della Legione Straniera guidato da Aleksei.

Al centro di questa caccia all’uomo c’è la foresta, con i suoi suoni, odori e colori che però si annullano nel mistero inquietante del buio della notte, per lasciar unicamente spazio a immagini all’infrarosso dei visori notturni attraverso i quali la battaglia diviene una sorta di videogioco, dove si intuiscono solo le sagome roventi dei soldati, la loro paura e il sudore, le fiamme delle canne dei fucili.
Aleksei vince il combattimento e Jomo muore in un corpo-a-corpo a mani nude, e il seguito assomiglia a una sorta di animismo da combattimento: l’Africa e il volto bellissimo del guerriero africano senza più vita entrano collettivamente a fare parte dei fantasmi che perseguiteranno da lì in poi il legionario bielorusso.

In lui resterà quel villaggio di Jomo dato alle fiamme per rappresaglia dalle forze regolari (senza che venga data l’autorizzazione al gruppo di Aleksei di intervenire per salvare donne e bambini), e l’anima del guerriero si incaglierà come una spina dolorosa e sanguinante nella mente di Aleksei, trasportando con sé l’immagine della sua bellissima sorella Udoka (Laëtitia Ky) e dell’incantesimo delle danze primitive africane.
E quello spirito dei danzatori puri si fonderà con i sogni che Aleksei aveva confessato soltanto a suo fratello, fuggitivo come lui e ingoiato dal fiume della speranza attraversato dai due per oltrepassare clandestinamente il confine francese.

Ad ogni evidenza, Disco Boy è un film d’essai del XXI secolo che ci interroga sulla “transustanziazione” delle anime: l’ostia (sconsacrata) è la coreografia di una danza e il ricevente è un peccatore omicida che quell’atto di fede assolve e purifica, lasciando che le fiamme consumino la sua vita precedente racchiusa in una divisa e un’identità fittizia.

La sovrabbondante parte iniziale, dedicata alle ferree regole dell’addestramento militare, evapora in quella finale che attualizza i riti propiziatori e magici delle danze primitive africane.

E qui la tartaruga Ninja di Aleksei si libera della sua corazza, immergendosi tra la folla della discoteca e delle sue creature notturne, immolate al vizio, al rumore e al sesso come capita.
Il tutto, nella più totale promiscuità garantita dall’anonimato di persone che si spogliano del loro “Pupo” illuminato dalla luce del giorno, per riscoprire così l’Io “basico” attraverso il buio cavernicolare, rischiarato dai decibel assordanti e dalle luci psichedeliche, che sommano agli effetti stroboscopici i paradisi artificiali delle canne e delle droghe sintetiche che assicurano sballo e insonnia.

Unico co-protagonista invisibile della prima e seconda parte è lo spleen di Aleksei che non riesce a elaborare il lutto della perdita del fratello prima e dell’uccisione successiva di Jobo, che solo la comparsa della bellissima Udoka, con le sue grandi paillettes dai mille riflessi colorati, riesce a ricomporre in un’immagine ispirata e risolvente attraverso una danza comune, in cui attraverso la trance di Aleksei si rianimerà come per incanto lo spirito del fratello Jobo.


di Maurizio Bonanni