venerdì 17 febbraio 2023
Si può voler rinascere nello sguardo di un altro, identificandosi da “Impostora” con il suo ricordo di colei, moglie di lui sposata allora diciottenne, che scomparve dieci anni prima in tragiche circostanze? Al Teatro Quirino va in scena fino al 19 febbraio lo spettacolo Come tu mi vuoi di Luigi Pirandello, per la regia di Luca De Fusco e l’interpretazione di Lucia Lavia. Ancora una volta, la logica pirandelliana dell’assurdo divenuto reale, voluto cercato, tenacemente realizzato dalle volontà degli uni e assecondato dalla vittima consenziente, ha il volto da protagonista in uno spazio teatrale che riflette sulle mille sfaccettature del proprio Io artistico. Ma qui, nella protagonista “Ignota” si dipartono come in un vaso di Pandora le mille correnti demoniache delle perversioni umane, che prendono le mosse (attualissime) dalle conseguenze sul fisico di una donna di una Prima guerra mondiale, che è passata su di lei consumandone tutte le fibre di un corpo giovane, oggetto di piacere per le soldataglie tedesche in ritirata dalle Venezie italiane, facendo così impazzire ciò che di quel suo essere era rimasto in vita. Un intricato gioco di specchi il tutto, dove le passioni pervertite di un padre e di una figlia, Santer e Mop, si approfittano del relitto fisico di una “Ignota” ospitandola in casa, per goderne i piaceri della propria e della di lei dissolutezza. Costei, la donna perduta, assetata di vino per stordirsi nelle mille serate gaudenti, sempre tra “pazzi che ridono, l’inferno scatenato; specchi bicchieri bottiglie: una ridda, la vertigine; chi strepita, chi balla; s’aggrovigliano nudi; tutti i vizi impastati; non c’è più legge di natura; più nulla; solo l’oscenità arrabbiata di non potersi soddisfare”.
Tutte depravazioni del Dopoguerra a Berlino che si scontrano inconciliabili con il loro opposto: il desiderio di possesso che deriva da un innamoramento profondo, irrazionale verso un mero oggetto di piacere, per l’occasione divenuto persona, come “l’Ignota”. Tanto da indurre Santer a tentare il suicidio, pur di non lasciarla andare verso un nuovo, incontaminato Paradiso inaspettato. Salvo poi scoprire che l’illusione del bene è un complotto del male, figlio prediletto degli interessi terreni che, addirittura, pretendono una falsificazione per salvare se stessi. Così, un messaggero di questi ultimi, un fotografo “mercuriale” di nome Boffi, rappresentante di un’intera famiglia, quella di Bruno Pieri, arriva dall’Italia nella lontana Berlino credendo di riconoscere nella “Ignota” proprio Lucia Pieri, moglie di Bruno, scomparsa dieci anni prima nel nulla, dopo essere rimasta sola nella sua grande villa (dono assieme a vasti terreni di uno zio senza prole) e aver subito l’assalto della soldataglia tedesca in ritirata. Per un mercato degli inganni, “l’Ignota” accetta di essere “Cia” (vezzeggiativo di Lucia), per spogliarsi di tutti i suoi ricordi e vestirne di nuovi, incontaminati: quelli che Bruno aveva conservato di Cia, per dare loro nuova vita, un corpo da abbracciare e, finalmente, da amare perché lui, Bruno, possa riprovare le gioie coniugali perdute da allora. Solo che, quella grande proprietà ricostruita dalle sue rovine di guerra da un Bruno che non ha mai abbandonato l’idea di rivedere sua moglie, riedificando nel frattempo tutti gli spazi andati perduti in attesa del suo ritorno, è divenuta oggetto di contesa familiare.
A seguito di un atto amministrativo del riconoscimento di morte presunta di Cia, quei beni sono destinati a tornare allo zio e poi alla sorella di Lucia, generando così un conflitto di interessi (non c’era bisogno che Bruno ricostruisse, dato che lo Stato avrebbe ripagato i danni di guerra) che solo la ricomparsa della moglie perduta avrebbe potuto dissipare in un solo colpo, rendendo inefficace e caducando definitivamente l’atto di morte presunta. Ancora una volta, si vedrà in modo esuberante come Pirandello sostenga anche in questa sua opera come “dal letame nascano i fiori”, con “l’Ignota” che rivelerà, autoaccusandosi, come l’inganno di cui è autrice nasca da puro disinteresse perché, finalmente, la sua intenzione era solo di rinascere “come tu mi vuoi” agli occhi di Bruno, senza altro significato e intento di amare ed essere riamata. E sarà proprio l’aver intuito di essere stata uno strumento di potere per dare la vittoria a uno dei litiganti, che rivendicavano per sé le ricche proprietà di Cia, a imporle l’abbandono della maschera e di quella villa, per seguire ancora una volta quel demone di Santer che aveva persino scovato in un cronicario una povera demente, sulla sedia a rotelle, ottima candidata per essere la vera Cia.
Lei, senza più coscienza né vita degna di questo nome, che ripete una sola parola di due sillabe “Le-na; Le-na”, nome della zia che l’aveva allevata sin da piccola dopo la morte della madre. Perché, poi, come fa dire Pirandello alla “Ignota” che indica la povera demente: “Più d’un disgraziato, dopo anni, è ritornato così; quasi senza più aspetto; irriconoscibile; senza più memoria: e sorelle, mogli, madri (madri!) se lo son disputato! “È mio!” “No, è mio!”. Non perché sembrasse loro, no! (non può sembrare uguale il figlio dell’una a quello di un’altra!), ma perché lo han creduto! Lo han voluto credere! E non c’è prove contrarie che tengano, quando si vuoi credere! Non è lui? E per quella madre sì, è lui! Che importa che non sia, se quella madre se lo tiene e con tutto il suo amore lo fa suo? Contro ogni prova, lo crede. Senza una prova, lo crede”. Perché, poi, si possono conoscere i segreti più intimi di colei con la quale ci si è scambiati, in modo da avere prove inconfutabili della somiglianza: basta cercare bene dove si è nascosta la vera Cia. Dice nel finale l’Ignota a Bruno:
“T’ho detto che Cia tu l’hai cercata male! Guarda, caro, che su nel riposto, tu avevi lasciato buttare, senza nemmeno accorgertene, uno stipetto di sandalo, tutto fracassato, con ancora, negli sportelli, attaccato qualche insetto d’argento. Lena mi ha ricordato che quello stipetto Cia lo aveva conservato perché della mamma. Sai che ho trovato in un cassettino di quello stipetto? un piccolo taccuino d’appunti di Cia dov’erano le parole dette da Ines il giorno delle nozze: “Dicono, sai? che egli ora ti deve vedere”. “Questo taccuino è mio, e me lo porto con me! Tanto più che, strano! anche la scrittura pare di mia mano!”.
di Maurizio Bonanni