mercoledì 1 febbraio 2023
Se ci fosse ancora qualche scettico sul Premio Nobel per la Letteratura a Bob Dylan, nel 2016, la mostra allestita al Maxxi di Roma sulle opere d’arte del re del rock fuga ogni dubbio. Retrospectrum (fino al 30 aprile) è la prima retrospettiva europea sulle opere visive di Mr Tamburine man, dopo la Cina e gli Stati Uniti. Cinquant’anni di attività articolate in otto sezioni, che ripercorrono il viaggio di Dylan nel disegno, nella pittura e più recentemente nella scultura. Una mostra allestita da Shai Baitel, fondatore del Mana Contemporary in New Jersey e direttore artistico del Modern Art Museum di Shanghai, oggi considerata la capitale del contemporaneo. E Shai Baitel è riuscito nell’impresa di creare un tour mondiale stavolta non dei concerti di Dylan, ma del suo talento artistico meno conosciuto, cioè dipinti a olio, acrilici, acquerelli, disegni a inchiostro, pastello e carboncino, fino a una serie di sculture in ferro. Ma è tutto e sempre Dylan, cioè la poetica dell’anima.
Si sale all’ultimo piano del Museo di Zaha Hadid e ci si immerge in un mondo fotografico, direi cinematografico, che si spalanca su città americane, paesaggi desolati, le città minerarie, i luoghi da cui proviene Robert Zimmermann, che nasce il 24 maggio 1941 a Duluth, in Minnesota, e cambia il suo nome in quello di Bob Dylan in onore del famoso poeta gallese Dylan Thomas. La sua musica, le sue interviste, i concerti spettacolari riempiono i grandi monitor, ma sono soprattutto le descrizioni dell’universo Dylan che catturano l’interesse. Una collezioni di frasi che costituiscono la mappa artistica di questo genio dell’era moderna. “Com’ero solito disegnare? Beh, direi che iniziavo con qualsiasi cosa fosse a portata di mano. Mi sedevo al tavolo, prendevo una matita e un foglio e disegnavo la macchina da scrivere, un crocifisso, una rosa, matite, coltelli, spilli, scatole di sigarette vuote”.
Bob Dylan non ha dietro sé i classici, l’epica, non possiamo paragonarlo ai grandi pittori della tradizione europea. Tuttavia c’è qualcosa di unico, raro, magico nelle sue elaborazioni. C’è una leggerezza, c’è un volo, c’è sempre un’anima che si eleva, che scruta e che va dalla musica alla poesia, dalla strada al cuore. Ha detto giustamente di lui il curatore Shai Baitel: “Dylan è un uomo del Rinascimento, ma assolutamente contemporaneo. Come Leonardo da Vinci e Michelangelo, il suo talento attraversa più mezzi e discipline. Nel corso della sua leggendaria carriera musicale ha composto e interpretato canzoni memorabili. Ma non basta: da sempre dipinge, disegna, salda metalli. A volte semplicemente affida alla memoria quello che ha visto, costruendo un archivio visivo di istantanee”.
Un’artista poliedrico che ha venduto oltre 125 milioni di dischi, ha vinto il Nobel per la Letteratura (“per aver creato una nuova espressione poetica nell’ambito della grande tradizione della canzone americana”), premi Grammy, Oscar, Golden Globe, Pulitzer (“il suo profondo impatto sulla musica popolare e sulla cultura americana, segnato da composizioni liriche di straordinaria potenza poetica”). E che ora approda all’ultima rappresentazione di sé. “Credo che la chiave del futuro risieda nelle vestigia del passato. Che occorra padroneggiare gli idiomi del proprio tempo prima di poter assumere un’identità nel presente. Il tuo passato inizia il giorno in cui nasci e ignorarlo significa tradire la tua stessa essenza”.
Sono combinazioni di parole e immagini, che scivolano nelle celebri strofe. E tutto ha colore, forma, visibilità. Il mondo di Dylan è l’America mineraria, le grandi distese, le insegne anonime, il disegn consumistico, ma i particolari s’allungano in una dolcezza e una compostezza benevola. La lezione del Bardo americano è proprio questo far cultura ovunque e comunque e trovare l’uomo in ogni radice. I tempi attuali non sono meno spersonalizzanti o meno eclatanti degli anni Sessanta, ma lui – arrivato a 80 anni – può permettersi anche severe critiche e di lasciare un testamento della sua poetica. “Nella musica di oggi è difficile trovare il cuore, quando c’è un cuore”, ha detto. Ma la chiave di sé è racchiusa nella frase rivolta soprattutto ai giovani: “La vita non è trovare se stessi o trovare qualcosa. La vita è creare se stessi”.
di Donatella Papi