Visioni. “Pinocchio”, il cupo capolavoro di Guillermo De Toro

venerdì 20 gennaio 2023


Guillermo Del Toro racconta la relazione con la morte di un burattino di legno. Pinocchio del regista Premio Oscar è un cupo capolavoro che coniuga antimilitarismo, ribellione e straordinaria umanità. Una favola nera “sui padri imperfetti e i figli imperfetti”, come sottolinea il narratore della storia, il Grillo parlante. Il film d’animazione in stop motion diretto dal cineasta messicano e da Mark Gustafson, ambientato al tempo del fascismo, è un’originale rilettura gotica del celebre romanzo di Carlo Collodi, Le avventure di Pinocchio. Storia di un burattino. Guillermo Del Toro, che ha firmato la sceneggiatura con Patrick McHale, ha affidato il vivido e volutamente grezzo character design a Gris Grimly. Del Toro, che ha sperimentato le favole antitotalitarie del Labirinto del fauno e La spina del diavolo e antimaccartiste de La forma dell’acqua, con Pinocchio adotta una chiara poetica antifascista. Il lungometraggio, presentato al Bfi London Film Festival il 15 ottobre 2022, è stato distribuito in alcune sale cinematografiche a partire dal 4 dicembre 2022 e su Netflix dal 9 dicembre. Nella versione originale, Tilda Swinton dà la voce alla Creatura fatata e alla sorella, la Sfinge tenebrosa. Ewan McGregor è il Grillo parlante, David Bradley è Geppetto, Christoph Waltz è il Conte Volpe, Ron Perlman è il Podestà fascista, Finn Wolfhard è il figlio Lucignolo, Cate Blanchett presta la propria voce alla scimmietta Spazzatura. 

Il falegname Geppetto vive il dolore della scomparsa del figlio Carlo, perso durante un bombardamento sulle colline toscane, nel corso della Prima guerra mondiale. L’incipit della narrazione conferisce immediatamente un tono di irredimibile afflizione al racconto. In cui l’Aldilà, nonostante la simbologia cristologica presente nel film, viene rappresentato da una sfinge bluastra circondata da clessidre. La creazione, incompiuta, del burattino non rappresenta l’elaborazione del lutto, ma l’atto rabbioso di un padre disperato. Pinocchio, come Frankenstein, è il parto di una furia tragica, in una notte di fulmini e tempesta. Il risultato è un abbozzo, con i chiodi storti e sporgenti, con un solo orecchio e un torso crivellato. Geppetto non è un amabile e umile vecchio falegname, ma un uomo carico di lucido risentimento, che si abbandona all’alcool. Una Creatura fatata, non una fata, dona la vita al burattino, rendendolo immortale. Per queste ragioni, il Podestà fascista vuole farne un “soldato perfetto” e l’impresario Conte Volpe è intenzionato a sfruttarlo ai fini di un lucroso spettacolo di cui il burattino senza fili diventerà la stella indiscussa. Pinocchio, nonostante le avversità, non si perde mai d’animo. È l’esatto opposto del padre, mosso com’è dall’ottimismo della volontà. Non si danna mai, agisce per determinare il cambiamento. Pur manifestando un’innata indolenza rispetto ai libri, Pinocchio è curioso e assetato di conoscenza, capace di discernere, di prendere posizione e di assumere decisioni radicali. Quando comprende la macchinazione che il Conte Volpe ha ordito ai suoi danni, ha il coraggio, a costo della vita (delle molte vite) di dileggiare il Duce, con estremo e infantile sarcasmo. L’apparato musicale curato da Alexandre Desplat è l’unico tassello fuori tono di un’opera orgogliosamente plumbea. Le canzoni cantate da Pinocchio, Geppetto e dal Grillo parlante sono il frutto di una partitura colta che mette alla berlina, in chiave parodistica, le canzoni Disney. Però quel che manca è il piacere della musica decadente. 


di Andrea Di Falco