giovedì 12 gennaio 2023
Ma il Diavolo tentò mai Maria, madre di Gesù? No, mai. Però, secondo la ricostruzione demenzial-fantasiosa di Peppe Barra ne La cantata dei pastori. Per la nascita del verbo umanato, in scena fino al 15 gennaio alla Sala Umberto, l’Essere con il piede caprino avrebbe verosimilmente fatto di tutto per non far arrivare la Santa Coppia a Betlemme, in quella famosa notte della Cometa. In realtà, le scene che raffigurano il gruppo sacro di Maria con Giuseppe e l’Angelo Annunciatore costituiscono una sorta di “residuo” passivo, in un mare di sconclusionate disavventure del duo Razzullo (Peppe Barra) e Sarchiapone (una bravissima Lalla Esposito), perseguitati da un Demonio pasticcione e confusionario almeno quanto loro due. Ennesimo inno dialettale al Natale, lo spettacolo di Barra, in cui lungo due atti si narrano i patimenti della divina coppia di Giuseppe e Maria, alla ricerca di un rifugio, dove far nascere il loro (?) Bambino. Un teatro ingenuo, intimamente popolare nel quale regia e autori giocano con angeli, pupazzi presepali e demoni, vestiti in lussureggianti, giganteschi mantelli da vampiro, dai toni cupi e tetri, in netta contrapposizione alle armature brillanti dei loro “nemici”, che stanno nella luce. Il difficile accesso linguistico fa sì che la rappresentazione si rifugi (volutamente?) nell’unico tesoro rimasto alle lingue di nicchia: l’auto-rappresentazione.
È così che, in un rituale di frasi idiomatiche comprensibili solo ai “puri” dei quartieri spagnoli e popolari di Napoli, Barra e la sua spalla si dedicano per i tre quarti della rappresentazione a duetti demenziali, densi di trappole linguistiche, di doppi sensi e di ovvi fraintendimenti. “Siparietti” un po’ forzati verrebbe da dire, che risultano oggettivamente (volutamente?) “disfunzionali” all’oggetto della narrazione. Per il resto, la “cifra” teatrale è chiarissima: la fame atavica della Napoli del Settecento è messa accanto a Gesù nel Presepe, e viene resa attraverso l’espressività un po’ triste dei suoi figuranti. Alcune di queste creature di cartapesta viventi, Razzullo, il Sarchiapone, il Cacciatore, il Pescatore, il Pastore e il Pastorello, sono quelle prescelte per fare da corona popolare all’Evento che, 2022 anni fa, doveva cambiare il volto del mondo. Razzullo è il classico contabile mezze maniche, stramorto di fame, inviato in Palestina, per il “censimento”, dove l’ha catapultato indietro nel passato un’immaginaria macchina del tempo, facendogli fare un salto di molti secoli per rivivere i giorni dell’Avvento. Invece, il suo inseparabile sodale, Sarchiapone, anche lui spedito indietro nel tempo, viene dai mestieri plebei essendo un barbiere sfortunato reo di aver reciso casualmente la gola a un suo cliente e, pertanto, costretto a fuggire nelle “mitiche” foreste che nell’assurdo teatrale di Barra circondano i luoghi della nascita di Gesù ma che di certo, allora come oggi, non esistono nei dintorni di Betlemme. Anche se per la verità anche noi, nelle nostre rievocazioni del Presepe, ricorriamo allo stesso paradosso tappezzando di muschio l’ingresso di una grotta in origine arida e secca!
Le scene, quelle vere (di breve durata, rispetto ai lunghi dialoghi anche canori tra i figuranti, che si prendono così una bella rivincita sulla tradizione che li vuole fissi in adorazione della Natività), sono tutte nel solco del duello tra il Male e il Bene. Il primo, emerge sempre dal basso e nelle nebbie del peccato, come si addice alle potenze oscure innervate nel fuoco della perdizione. Al contrario, il secondo, che vede la luce sgorgare impetuosa dall’armatura dell’Angelo, fino ad accecare i nemici e gli attoniti astanti, opera da un altissimo piedistallo per menare micidiali fendenti all’altezza del cuore e degli occhi del Dragone e delle orribili creature degli inferi, che tentano di fermare il lento incedere di Giuseppe e Maria verso il luogo a loro predestinato. Come nella vita ordinaria, accade che i due pezzenti napoletani s’impadroniscano del cesto delle vivande del Pastore per saziare i morsi della fame, ma siano poi beffati dal “pacco” del Pastorello che fa credere loro come il cibo sia stato avvelenato, per eliminare i lupi che si muovono nel circondario.
I due Pastori, al contrario dei napoletani “doc”, parlano un linguaggio aulico e ampolloso (come, del resto, la coppia divina e l’Arcangelo dell’Annunciazione), quasi a voler nobilitare uno dei mestieri più antichi del mondo come quello del pecoraio, facendo il verso alla miseria degli altri due vagabondi di strada. Razzullo approfitta del Cacciatore e del Pescatore, per tentare di sfamarsi, apprendendo ora l’uno, ora l’altro mestiere, ma senza mai uscire dall’inconcludenza di chi, alla fine, fugge il lavoro che lo insegue! Nel racconto affabulante, il mozzo Razzullo e il Pescatore traghettano verso la salvezza Giuseppe e Maria, per poi affrontare le ire dei demoni che scatenano a loro danno una terribile tempesta in acqua dolce, alla quale l’improvvisa apparizione della Madonna metterà improvvisamente fine per la salvezza in extremis dei due naufraghi. Volendo, uno spettacolo che accontenta un po’ tutti, purché prima di acquistare il biglietto si faccia un bel po’ di ripasso di dialetto napoletano “verace”!
di Maurizio Bonanni