Visioni. “Inside man”, una compiaciuta storia bifronte

venerdì 18 novembre 2022


Inside man è una presuntuosa miniserie che s’interroga sui grandi temi morali. Il progetto televisivo targato Netflix è firmato dallo sceneggiatore scozzese Steven Moffat, autore delle serie tivù Doctor Who (2005-2017) e Sherlock (2010-2017). Inside man mette in scena una storia bifronte. Jefferson Grieff (Stanley Tucci) è un ex criminologo, consultato spesso per la risoluzione di casi intricati. Il professore è detenuto nel braccio della morte di un carcere statunitense, a seguito di una condanna per l’uccisione della moglie. È un uomo colto, arguto e saccente, il cui ego è commisurato con l’intelligenza fuori dal comune. Ritiene giusta la pena capitale che gli è stata inflitta. Al cospetto del richiedente, si fa assistere da Dillon, un serial killer, compagno di sventura, dotato di un’eccezionale memoria fotografica e uditiva: una sorta di registratore umano. L’altra vicenda narrata riguarda il prete Harry Watling (David Tennant), il vicario di un piccolo centro cittadino inglese, che si ritrova a vivere una giornata paradossale. Il suo neo-sagrestano, dall’evidente disturbo mentale, gli chiede di conservare una chiavetta usb dal contenuto misterioso. La vita di Grieff e di padre Watling è destinata a incrociarsi, grazie all’indagine condotta dalla giornalista Beth Davenport (Lydia West) sulla scomparsa della docente di matematica Janice Fife (Dolly Wells).

Inside man mette costantemente alla prova la pazienza dello spettatore. Perché i casi seguiti sono banali, al limite del ridicolo. Le ambizioni autoriali che richiamano, con tutta evidenza, il cinema dei fratelli Coen, in realtà denunciano soltanto delle aspirazioni malriposte. Non solo. Il personaggio del professor Grieff è un chiaro omaggio all’Hannibal Lecter di Anthony Hopkins in chiave post-moderna. Per queste ragioni, il racconto appare un viaggio ondivago tra commedia e dramma, che sfiora, in alcuni momenti, persino i toni assurdi. Le svolte narrative sono il risultato di forzature drammaturgiche governate dall’ambiguità morale.

Moffat è un autore di talento. E di questo ne è pienamente consapevole. Purtroppo, tende costantemente a sottolinearlo, come Grieff, suo fiero alter ego, interpretato da un supponente Stanley Tucci. Dolly Wells dà corpo a una Janice esagitata. Una compiaciuta vittima sacrificale che formula teorie bislacche sull’ineluttabilità del male. Il padre Watling di David Tennant è un improbabile sacerdote che crede profondamente nel senso di colpa e professa il Vangelo cristiano, salvo distaccarsene quando viene chiamato direttamente in causa. I colpi di scena della miniserie sono tutti “telefonati”. I dialoghi suonano per lo più tronfi o illogici. La messa in scena è, addirittura, didascalica. In ultima analisi, Inside man, nonostante le buone intenzioni, il cast di assoluto livello e il notevole impegno produttivo, è un esperimento che risulta miseramente fallito.


di Andrea Di Falco