“Amleto”: In nome del Padre

giovedì 17 novembre 2022


Amleto “È”! Al Teatro Argentina va in scena fino al 4 dicembre la rivisitazione del più noto dei drammi shakespeariani, per la regia di Giorgio Barberio Corsetti, con interpreti principali Fausto Cabra (Amleto), Pietro Faiella (Polonio), Sara Putignano (Gertrude), Mimosa Campironi (Ofelia). Tutto ha inizio quando l’amico Bernardo testimonia ad Amleto di avere parlato in una visione notturna con lo spettro del re assassinato, padre del principe, che ha riconosciuto dal suo incedere marziale. Nella sua rivisitazione, a quel fantasma Barberio Corsetti lega una lunga fune elastica che lo trattiene dall’abbandonare i territori dell’Ade, cui il defunto Re di Danimarca appartiene ormai per l’eternità, anche se una volontà soprannaturale gli consente di apparire nel cuore della notte all’interno del Castello di Elsinor, per perorare lo spirito di vendetta di suo figlio nei confronti del regicidio di cui è stato vittima.

E attende, quindi, prima di apparire per la quarta e ultima volta, dopo essere stato richiamato indietro dal canto del gallo (che non smette mai nel periodo di Natale, per tenere lontani gli spiriti!), che sia presente alla scena suo figlio, al quale rivelare lo sconcio delitto: il fratricidio commesso da suo fratello Claudio, per poi sposare in seconde nozze la stessa madre di Amleto, la regina Gertrude. Elsinor, che nello scenario dell’Argentina diventa una grande impalcatura tubolare grigia come le pietre del castello secolare di cui narra Shakespeare.

In pratica, un’armatura di sostegno dello spettacolo, modulare e segmentata in due-tre grandi porzioni, per recuperare al volume vuoto prevalente grandi spazi interni ed esterni, dove si calano nell’intimo trasparente alcove, piazze d’armi e labirinti verticali in cui i personaggi e, più spesso le loro anime sofferenti, passano dai piani bassi a quelli alti, ora salendo scale, ora facendo alpinismo per arrampicarsi sui tralicci, come farebbero i primati sugli alberi. E poi, c’è quella sua configurazione critica per cui, in un gioco molto abile di incastri, si apre verso il proscenio un gigantesco piano inclinato munito di ampie botole, da cui appaiono e scompaiono i personaggi di scena. Chiamati, tutti costoro, a recitare in bilico sulla superficie inclinata che attira le loro vite sempre più verso il basso, pronte a farle rotolare nell’abisso sottostante al primo passo falso.

Perché i complotti hanno la stessa natura di quella pendenza infida e scivolosa: possono fallire a seguito di un imprevisto, nonostante la loro più attenta pianificazione. Sulla scena Amleto, come gli altri attori, veste abiti civili, spogliandosi così della storica tenuta nera del lutto che il suo autore gli ha cucito indosso fin dalla prima scena. Anche perché, nel testo originale il protagonista, parlando a sua madre, così recita: “Ma quel che ho dentro va oltre la mostra. Queste esteriori son tutte gualdrappe, e livree del dolore, nulla più”. Ma il Re insiste perché Amleto, liberandosi delle vesti del lutto, accetti il destino mortale che attende ogni uomo assumendosi le responsabilità concrete di unico erede al trono di Danimarca, e dismettere così le ambizioni culturali che lo spingono a chiedere a sua madre di ripartire per frequentare l’Università di Wittemberg.

E obbedisce, Almleto, ma l’anima sua riverbera sentimenti oscuri di suicidio e di rude condanna per quella madre che in soli due mesi aveva cancellato il ricordo di suo marito. Da lì, da questo Edipo dilagante, nasce in Amleto l’istinto di vendetta per giustiziare l’usurpatore assassino. E proprio questo bisogno oscuro mette in tavola Amleto parlando con Orazio, il suo compagno amatissimo e fidato di quando erano entrambi studenti a Wittemberg, riferendosi agli avanzi del banchetto funebre serviti freddi al pranzo nuziale che aveva immediatamente fatto seguito al funerale pubblico di suo padre. Perché le anime nere dello zio e di sua madre amano, a quanto pare, nutrirsi di cadaveri! Ma, ottenuta conferma dallo spettro paterno dei suoi peggiori sospetti, ad Amleto non resta che rifugiarsi nella pazzia, perché da quel pulpito di giullare, articolando la “corda pazza” pirandelliana, potrà gridare in faccia tutta la verità a quel mondo ipocrita, cortigiano e mentitore sul regicidio e sulla perfida combutta dei due amanti.

Ma, il gioco dell’essere pazzo praticato fino in fondo significherà mettere nella stessa macina di pietra le sue migliori amicizie e, soprattutto, l’amore carnale di Ofelia, sorella di Laerte, il suo migliore amico, procurando la morte accidentale del padre Polonio che, come suo figlio, aveva sistematicamente messo in guardia Ofelia dalla superficialità di Amleto, perché il destino di un principe ereditario è quello di contrarre il matrimonio che più conviene al regno, per mantenerne e accrescerne pace e benessere.

Nella simbologia di Barberio Corsetti, Amleto scivolerà da quell’immenso tavolo inclinato che è la vita di un futuro re, per precipitare in un letto disfatto, mentre Ofelia rimane a guardarlo dall’alto del suo immenso dispiacere. Impazzendo a sua volta, poi, quando scoprirà il delitto di Amleto e il destino ingrato di suo padre Polonio, che verrà seppellito senza onori e di nascosto, per nascondere lo scandalo ai sudditi e ai dignitari di corte. Re Claudio, invitato assieme alla regina ad assistere alla messa in scena di uno spettacolo teatrale orchestrato da Amleto, in modo da mettere sottoforma di dramma teatrale il regicidio reale, intuisce che in realtà il figliastro è a conoscenza di tutta la verità sul suo fratricidio e decide quindi di sopprimerlo. Il finale è una tragica sequenza di omicidi– suicidi, perché quando il delitto si impasta con le ragioni della vendetta s’evapora la giustizia degli uomini ma si afferma quella di Dio.


di Maurizio Bonanni