Alle fonti della cultura

lunedì 14 novembre 2022


Se dovessi riscrivere e attualizzare la Storia della sociologia e il Dizionario di sociologia pubblicati in diffusissima edizione economica dalla Newton & Compton anni trascorsi distinguerei tre momenti di valutazione nel campo della cultura recente, non sostitutivi l’uno dall’altro ma con distinta prevalenza. Un primo momento fu quello ideologico, l’artista, l’intellettuale valevano per la loro concezione, fu la teoria del realismo, aveva un fondamento poderoso, chi riusciva a cogliere la dialettica storica, la tendenza storica e difendeva l’umanità e coloro che la incarnavano storicamente faceva arte perché coglieva la verità, chi non la percepiva o la alterava non dava arte. La capacità espressiva si avvinceva alla capacità cognitiva anzi la capacità cognitiva fondava la capacità espressiva. La non percezione della dialettica storica di chi dannava o salvava l’umanità portava con la falsità percettiva l’incapacità espressiva.

Una teoria grandiosa, abbozzata da Karl Marx, definita specialmente da György Lukács. Finì disgraziatissimamente con ridursi alla semplificazione, del genere: se stai a sinistra sei artista e intellettuale, diversamente reazionario e svalutato. Senza venire soppressa, anche se ormai volgarissima, questa concezione fu sormontata dalla mercificazione, ciò che viene venduto è pregevole, non era apprezzabile soltanto ciò che ideologicamente era approvato ma ciò che era vendibile al maggior numero, l’arte, la cultura quali consumo diffuso e adeguato alla massa, la mercificazione, la cultura, l’arte come una qualsiasi merce, più vende più vale.

La terza fase, ripeto: non sostitutiva, è stretta alla comunicazione di massa, vale, è importante quello che giunge alla comunicazione di massa, altrimenti non vale o comunque non è avvertito, non è, non è fruito, se non sta nella comunicazione di massa significa che non valeva, quest’ultima deduzione è orribile, e sta provocando danni immisurabili. Adegua la cultura alla massa peggio della mercificazione, e assai peggio della fruizione ideologica, anche perché i mezzi di comunicazione di massa raggiungono milioni di soggetti, e, ripeto, possono sovvertire i criteri valutativi, ciò che si adegua, è semplificato, diventa, fomenta il luogo comune magari sotto apparenza culturale, anzi proprio sotto apparenza culturale, invece deculturalizza, si arrende alla faciloneria adatta alla comunicazione di massa, prende il dominio, e il pensiero complesso sparisce.

La comunicazione di massa favorisce le concezioni, le maniere espressive che degradano la cultura e l’arte dando però l’illusione che siano cultura, sicché il consumatore crede di avere a che fare con arte e cultura mentre è l’opposto, è la scadimento dell’arte e della cultura reso prepotente dalla comunicazione di massa che dà valore a quanto può non valere e suscita invece nel fruitore la vanità di avere a che fare con la cultura e l’arte. Siamo al di là delle concezioni dei francofortesi, Theodor W. Adorno, in specie, sulla mercificazione della cultura, siamo nella falsa valorizzazione della cultura e dell’arte, vale quanto “passa” nei mezzi di comunicazione. È la fenomenologia più aberrante concepibile, toglie la soggettività e l’oggettività. Un circuito degenerativo, i mezzi di comunicazione valorizzano anche il non valore al grosso pubblico scalzando la cultura e l’arte.

Le quali del resto sono in estrema difficoltà, perché se si adattano ai mezzi di comunicazione di massa devono avvilirsi. Ribadisco, un circuito senza uscita. È quanto sta avvenendo, complice, in ogni caso, l’ideologia, anche se ambiguamente. Concretizzo, anche se con dispiacere, ma occorre separare il caso umano dalla analisi sociologica ed estetica. È noioso analizzare quanto analizzo, dicevo, si tratta di una persona amica, in rapporto per anni, di frequentazione, veniva a cena da me, andavamo insieme al ristorante Il Bolognese, a Roma, l’ho invitato all’Università per un mio seminario, mi ha fatto un primo piano in un suo film (Uccellacci e uccellini), ebbe morte tragisissima, vita drammaticissima, al dunque, Pier Paolo Pasolini, ma ne scrivo perché fa cogliere il grado di confusione regressiva della nostra situazione culturale.

Perché il suo centenario è così celebrato? Perché offre la regressione neo terzomondista e la cultura alta, per dire, scemata! Nell’incapacità di affrontare il mondo moderno transgenico, automatizzato, l’immigrazione sostitutiva non aggiuntiva, fatto ciclopico, la disoccupazione insanabile, la robotizzazione umana eterodiretta, l’alterazione genetica, la degenerazione sessuale nei termini in cui si presenta oggi non solo dell’omosessualità, che ha una sua storicità, ma alterazione addirittura dell’identità sessuale, di che si occupano molti, di Pier Paolo Pasolini, il quale da un lato fu regressivo (borgate, gergo, Terzo Mondo dei ragazzini poveri ma felici, e identitari!), dall’altro rese in cinema o teatro opere maestose, Edipo Re, Medea, Il fiore delle Mille e una notte, Il Vangelo secondo Matteo, che confrontati ai testi da cui prese fanno ridacchiare.

Ecco però l’arcano, qualcuno legge i testi antichi? Li confronta? Legge Pasolini, specie le poesie, o fa come taluni teorici della filosofia anni passati, gli ermeneutici, non leggere gli autori ma i lettori degli autori, i quali lettori degli autori diventano a loro volta Autori spesso poco o minimamente valendo ma ammantati dagli Autori primigeni? Al dunque, se uno fa Medea, il solo dichiarare Medea, o Edipo Re, o Il Vangelo secondo Matteo o Il fiore delle Mille e una notte evoca cultura, arte, sono enunciazioni talmente rimbombanti che la gente crede di avere a che fare con la cultura, con l’arte, in maiuscolo, ma se leggesse Sofocle, Euripide, Il fiore delle Mille e una notte, Il Vangelo secondo Matteo si sgomenterebbe di aver potuto dare rilevanza ad opere che valgono soltanto per la risonanza della denominazione di Sofocle, Euripide, Seneca. Ma i film hanno pubblico, ed entrano nei meandri della diffusione di massa, e se vi è il richiamo ai testi classici questo richiamo è il trabocchetto, la gente crede di avere di fronte e allo sguardo il mondo classico, arte, cultura, laddove, attingesse ai testi nativi capirebbe, sentirebbe il precipizio.

In tal senso l’amputazione che i mezzi di comunicazione compiono volgendosi alle derivazioni non rivelando gli originari testi è di una distruttività desertica, perché non è solo ignoranza ma presunzione di conoscenza. Di cultura vi è solo la denominazione. Lo stesso per la situazione sociologica, non basta dire: sono contro l’omologazione, facile, che mi proponi, il neo terzomondismo, l’identitario borgataro? Ma certo che bisogna non vincolarsi al passato, creare il nuovo, il divenire, ne siamo obbligati, e vogliamo, ma se qualcuno vede Edipo in film legga Sofocle, e se vede Medea, legga anche Euripide e Seneca! E poi ne parliamo. Non creda di avere a che fare con arte e cultura ignorando arte e cultura! Le Fonti, le fonti, i confronti, diversamente diamo valore privandoci delle comparazioni. Leggiamo, vediamo, ma non trascuriamo fonti e comparazioni. Per comprendere come i mezzi di comunicazione disorientano la valutazione e rendono bue un rospo. Difficilissimo venirne fuori.

Appunto in quanto comunicazione di massa non permettono la presenza di quanto non viene ritenuto opportuno alle masse e potenziano la cultura di massa! Ma non si creda che questo avviene soltanto nel territorio artistico o presunto artistico, avviene persino nella cultura che dovrebbe essere criticissima con se stessa, autocoscientissima, la filosofia. Un esempio da studio Parmenide. Martin Heidegger è diventato il lettore comprensivo di Parmenide, ed è entrato nei Media, e molti, moltissimi stanno appresso al modo in cui Heidegger intende Parmenide ossia non lo intende. Anche in tal caso bisogna leggere Parmenide, il quale non fa alcun discorso complicato sull’essere, lo dà per esistente, e fine.

Heidegger costruisce provenienze, problematiche sull’essere dando luogo ad una metafisica, ad un al di là dell’essere, a un “niente” oltre l’essere, un “niente” che diventa esistente come niente, inconcepitissimo da e in Parmenide, nel quale mancava giustissimamente la trascendenza, assolutissimamente, coerentissimamente. Se l’essere è totalità, non può trascendersi, “dove” si trascende se è totalità, si trascende nel “niente”? Il “niente” è la trascendenza dell’essere? Assurdità. O è la “coscienza” trascendente? Ma la coscienza in Parmenide è nell’essere, non lo trascende. Le peripezie di Heidegger, molto tedesche, per non riconoscere la tremenda determinazione di Parmenide che sappiamo esclusivamente che l’essere È, meritano criticamente analisi specifica, hanno dato origine a mille sospiri parareligiosi, misterici, semidivini di chi non ha fede ma vi gira intorno, dando presenza al “niente” oltre l’essere.

Se vogliamo pronunciare giudizi di valore e valutazione occorre considerare le fonti, e uscire dai mezzi di comunicazione che alterano la consistenza. Se qualcuno vede il film di Pasolini, Medea, legga Euripide e Seneca. Se legge Heidegger legga Parmenide. Questa è cultura, altrimenti stimiamo solo o soprattutto perché ignoriamo, e vestiamo di panni ricamati persone che sovente sformano o abbassano da chi hanno preso. Mi sono trovato in convegni con interlocutori su Marx e Nietzsche, che ho biografato, a loro volta studiosi con notorietà mondiale, totalmente mancanti di correttezza informativa. Intendiamoci, si può ricreare, reinventare, ma non dico reinventare, ricreare, dico falsare, scadere.

È facile considerare alto chi non si confronta con l’altezza, se è un errore ingigantire il passato, è un orrore ingigantire il presente ignorando il passato. Bisogna risalire alle fonti Non continuare la concezione di rifarsi alle interpretazioni senza i testi originari. Abbiamo una civiltà onnipossente, non che il passato deve schiantare il presente, ma non il contrario. Sarebbe un modo di cancellare la cultura. Leggere Parmenide, leggere Sofocle, e anche Heidegger e Pasolini. No, prima leggere Heidegger e Pasolini! Se leggiamo Parmenide e Sofocle, ci fermiamo. Parmenide, l’assoluto! L’essere è! Fermati! Ogni aggiunta è profanazione. Esagero. Ma davvero spesso viene disposizione a fermarsi. Vi sono epoche iperuraniche. Non fermiamoci ma conosciamole. Pasolini e dopo, dopo, Euripide. Dopo!

(*) La foto è tratta dal set del film Il Vangelo secondo Matteo di Pier Paolo Pasolini                         


di Antonio Saccà