Pier Paolo Pasolini o dell’identità regressiva

martedì 8 novembre 2022


Con Pier Paolo Pasolini, ricordato in questo anniversario, ci frequentammo a lungo e credo di essere tra i pochi ormai che ne facciano testimonianza biografica e culturale. Tra qualche settimana un mio nuovo libro ne dirà. Ma voglio stabilire precisazioni, anche se ormai è scoraggiante precisare. Pasolini non era un intellettuale. Fu un artista o si espresse come artista. Intellettuale e artista non sono il medesimo. L’intellettuale è critico, analitico, problematico; l’artista può non esserlo, l’artista sovente è un fideista, si immedesima in una realtà, la ama o l’avversa sentendo quel che esprime anche se inaccettabile, errato, soggettivistico. Pasolini, nell’ambito che fu in grado di manifestare, è un artista, sente, vive, crede, esprime.

Sottoposto ad analisi critica “intellettuale” non regge. Ma come potevamo o possiamo ritenere le borgate di poveracci, gli emarginati della città costituire esempio di quale civiltà? Certo disperati, certo in condizioni disgraziate, sicuro ma che c’entra questo con l’identità, con la salvezza della nostra cultura, della nostra civiltà, il vero dramma dell’epoca presente e futura? Un equivoco incredibile, non la grande cultura e non la salvezza di millenaria civiltà, ma la borgata di poveracci e il linguaggio gergale! Sarebbe in questo l’identità contro l’omologazione?

Risolvere la povertà, la miseria, imparare la lingua nazionale significherebbe perdere identità, diventare “piccolo-borghesi”? Pasolini odiava il “piccolo-borghese”. Ma il suo modo di negarlo si manteneva nella regressione borgatara e gergale. Ma “salvare” la civiltà occidentale con le borgate e il gergale sarà pittoresco ma regressivo. È la grande civiltà superiore, umanistico-rinascimentale che occorre difendere, mantenere, interiorizzare, esteriorizzare. Attenzione alle identità regressive! Borgate e gergo sono identitari ma regressivi.

Pasolini era regressivo come Elsa Morante, non avevano idea del salvare tutelare difendere amare la grande civiltà dal mondo moderno perché la grande civiltà era aristocratico-borghese! E ritenevano di stare con il popolo, l’emarginato, il poveraccio cogliendone il tragico e l’umano, il colorismo tradizionale anche linguistico, insomma non l’anonimia piccolo-borghese. Avversatissima. Un eccesso identitario. “Troppo” identitario, microscopico, il buon-cattivo selvaggio pre-urbano, Tra contadino e paria. È un problema, lo riconosco. Ne discutevo, con Pasolini. Ma Lui non argomentava, “sentiva”. Ridico, non era un intellettuale era un artista.

Rifiutava il “cittadino” borghese, piccolo-borghese e non “sentiva” il proletariato urbano. Il mondo moderno non gli gradiva, e inoltrarsi nella modernità lo ansietava. A dissimiglianza dei fancofortesi, in specie Herbert Marcuse, che spingevano il capitalismo verso l’automazione liberatoria dal lavoro e idonea a dare tempo libero per l’eros e la cultura, Pasolini era fermo alla società precapitalistica. Quando si recò in India si entusiasmò dei piccoli bambini poveri ma festosi, mi pare anche in Africa. “Sono felici”, mi disse. Insieme alla Morante concepiva un mondo “salvato dai ragazzini”.

Semplifico, ne scrivo nel mio prossimo imminente libro. Ma il terzomondismo, la puerizia dell’umanità, la borgata universale, il gergale non salverebbero l’Occidente. Bisogna affrontare la realtà! Non sfuggirla. Il capitalismo c’è. La borghesia c’è. Il piccolo-borghese c’è. Salvare l’umanesimo rinascimentale, l’Umanesimo, l’alta cultura occidentale, con il terzomondismo è intanarsi nel localismo regressivo e contribuire a massacrare la cultura superiore, “aristocratica”. È la cultura aristocratica quella realmente popolare.

Gli artisti penetrano nel popolo quanto massimamente sono spiritualmente aristocratici ossia cantori del popolo non borgatari gergali o illusionistici infantileggianti. Si può universalizzare anche una particella ma con il dovuto ethos non rimanendo particella fuggiasca dal mondo. Non ci salva il terzo mondo, non ci salvano i ragazzini, non ci salva il gergo, non ci salva la borgata. Ci salva affrontare di netto la modernità e sovrastarla esprimendola nella sua disumanizzazione eventuale. La tragedia non l’idillio, e Pasolini estremo lo comprese. Il suo ultimo film, Salò o le 120 giornate di Sodoma, non aveva alcunché di idilliaco infantilismo.

Non che Pasolini fosse idilliaco infantile, ma non dava una risposta al dilemma: come salvare la civiltà estetica nell’Era della merce culturale, chi può salvarla, che fare per salvarla? Temeva che persino il sottoproletariato diventasse piccolo-borghese! Ma di certo non saremmo stati salvati dal sottoproletariato!


di Antonio Saccà