“Esterno notte”: se Moro non more

sabato 5 novembre 2022


E se Aldo Moro fosse tornato libero dalla prigione delle Brigate rosse? Come sarebbero cambiati la Dc, i partiti, l’Italia stessa? Che ne sarebbe stato delle alleanze internazionali se si fosse venuti a sapere che le Br erano “effettivamente” il guanto del Puparo di Yalta per cui, alla Tomasi di Lampedusa, tutto dovesse cambiare affinché nulla cambiasse? Ma questo è un altro film! Non di certo quello della bellissima serie tivù Effetto notte (in onda sui Rai 1, in prima serata, il 14, 15 e 17 novembre), dedicato dal regista Marco Bellocchio al “Caso Moro” dopo il precedente di Buongiorno notte, in cui le due indagini si differenziano per il seguente aspetto fondamentale. Mentre il primo film è, appunto, un’indagine dall’interno del covo brigatista e della gestione dell’ostaggio da parte dei terroristi sequestratori, viceversa l’ultimo intende rappresentare, al contrario, uno sguardo “dall’esterno”. Che significa molte, moltissime cose per intenderci. E queste ultime vanno dal nido di vipere annidate nei cuori degli uomini delle correnti dc, signori delle tessere e letterati affamati dei posti di potere di governo e sottogoverno, a tutti gli apparati istituzionali preposti alla sicurezza, per finire alle zone più grigie della delinquenza organizzata e mafiosa, in cui consulenti venuti da Oltre Atlantico, facendo nuotare come pesci nell’acqua, facendo la ruota del pavone nell’allora Situation Room d’emergenza, insediata da Francesco Cossiga al Viminale.

Ma poiché l’uomo politico significa molto altro oltre al contesto istituzionale in cui si muove il suo “Pupo pubblico” di pirandelliana memoria, allora con grande saggezza e profondità Bellocchio e apre alle profondità della buca asintotica di potenziale, dove nel punto infinito di convergenza a zero si trovano gli affetti profondi, i drammi esistenziali dei potentissimi che in famiglia non contano perfettamente un bel nulla, secondo un contrappasso in vita che è il prezzo da pagare per il godimento pieno del potere. La fiction è dotata di un cast d’eccezione, in cui risalta per il ruolo da protagonista un perfetto Fabrizio Gifuni, che ci rende il personaggio Aldo Moro in tutta la sua grandiosità, aprendo le porte blindate del suo appartamento privato, parlandoci delle notti insonni; del nipotino psicoterapeutico; di una straordinaria Eleonora, sua moglie (interpretata da Margherita Buy sapientemente invecchiata); e di un presidente della Dc che, rientrato tardi dalle sue interminabili politiche, si prepara un uovo al riunioni tegamino dopo aver congedato il povero e premurosissimo Maresciallo Oreste Leonardi, suo capo scorta, trucidato nell’agguato.

Poi, prima del voto di fiducia del Governo Andreotti con l’appoggio esterno del Pci, c’è il bellissimo incontro di Moro con il Papa (impersonato da un bravissimo Toni Servillo), in cui il Presidente dc si comporta come un figlio devoto chiedere un grandissimo sacrificio al Pontefice, affinché parli alle gerarchie per non frapporre ostacoli né politici, né etici all’incontro e alla collaborazione tra le due grandi, ma opposte famiglie politiche dell’Italia di quei turbolenti e sanguinosi anni Settanta. Come fa notare Servillo, nella sua persona sofferente Paolo VI richiama certe figure particolari della drammaturgia teatrale, esprimendo un intenso conflitto tra senso responsabilità e fede religiosa. Per notte, date le premesse, è scontato il travolgente successo di Rai Fiction, che in tal modo onora la sua “idea di servizio pubblico”, come sottolinea l’amministratore delegato, Carlo Fuortes nel corso della conferenza stampa di presentazione dell’evento, svoltasi il 3 novembre nella sede nazionale di Viale Mazzini. Quell’idea di servizio pubblico tenacemente Mario sostenuto nel passato con le regie di Ermanno Olmi, Federico Fellini e Bernard Bertolucci, per citarne solo alcuni, e oggi ripresa con Martone e Marco Bellocchio, per la messa in produzione di originali progetti a cura della Rai, in modo da tradurre attraverso la fiction quello che una volta faceva parte del racconto popolare in merito a eventi di storica. Rai fiction vincerà senza alcun dubbio la sua determinante battaglia per portare il cinema di autore all’interno della produzione di serie tivù.

Certo, come fanno notare i responsabili della sceneggiatura, dietro Esterno notte c’è la fatica di anni di cui Bellocchio è il magistrale coagulo operativo per la sua messa in scena, avendo in tanto da dire lavorato e proposito in grande libertà, e non solo in chiave di realtà oggettiva. Si va, infatti, molto in profondità sul carattere e sull’umanità dei personaggi, “trasformando il piombo in oro narrativo”. Perché, poi, sul set non c’è un corsetto rigido, una “tenure” invalicabile imposta dai dialoghi e dalle ambientazioni scritti nel copione e nella sceneggiatura, perché nel corpo degli attori iniziano a vivere i personaggi. E sono proprio questi ultimi, per la consueta magia del rapporto tra umani che rappresenta un mix inscindibile di fantasmatico e di vissuto reale, a passare come velo d’acqua nelle minime fessure di un tessuto narrativo che si vorrebbe compatto, arricchendolo con improvvisazioni, suggerimenti e trasformazioni in opera, come farebbe una qualsiasi entità biologica dotata di vita autonoma. Perché, poi, fa notare Bellocchio, attori bravi colgono il punto di svolta essendo creativi, inventivi e generosi. La macchina ha funzionato nel tempo in funzione degli strumenti che avevano a disposizione.

In merito alla fiction, ci traduce in diretta il regista, si è riscontrata nell’opinione pubblica (e non solo italiana!) una vibrazione positiva, un interesse e un coinvolgimento emotivo molto stimolanti, anche da parte dei più giovani, come ha dato modo di verificare la piccola programmazione sperimentale nelle sale cinematografiche. Quello che si voleva evitare in Esterno notte è l’ennesima, superflua espressione di una passione ideologica d’antan, che poco o nulla rileva per l’attuale pubblico televisivo, la cui reazione sarà di fondamentale importanza per la messa in produzione di altre fiction d’autore. Non si voleva, cioè, ricominciare a giudicare la Dc, il terrorismo e i loro contesti politici nazionali e internazionali, dato che il senso di questa serie sta altrove. Non si è tornati sul caso per scoprire chissà quali segreti, che probabilmente non ci sono più, ma per rivisitare da tutt’altro punto di vista un fatto storico e una tragedia che ci fanno ancora palpitare, senza più l’intenzione di condanna, impeto e passione che al Caso Moro furono dati in passato! Molti spunti interessanti sulla vicenda umana di Moro sono venuti dal suo fedele interprete, Fabrizio Gifuni, che ha studiato molto a fondo la figura di Moro, chiedendosi innanzitutto quale sia oggi il senso della sua vicenda, che ci racconta di un Paese lontano di uomini che non assomigliano in nulla al nostro presente.

Una storia sezionata in molte parti per suggerire che la memoria è una cosa noiosa e divisiva e, quindi, che è meglio cancellarne le tracce. Moro diviene così come gli altri fantasmi della nostra storia: corpi cui non è stata data degna sepoltura. Ed è per questo che occorre di nuovo rivitalizzare la loro vicenda, osservandola da tanti punti di vista per entrarvi più empiricamente attraverso la presenza di tanti personaggi che ci consentono di abbandonarci a un’emozione pura, senza più lo schermo di un’ideologia. Così, come ha fatto Gifuni stesso, “abbandonandosi a essere Moro” e ricavando così da quegli anni drammatici una vitalità inedita, perché quello fu parallelamente un periodo fertilissimo per la conquista e la produzione legislativa di nuovi diritti civili.

Mentre per Margherita Buy, la sua protagonista Eleonora, la moglie di Aldo, ci racconta di una donna “non particolarmente contenta” all’interno di una famiglia molto particolare. Una persona molto poco raccontata, il cui grande dolore e rabbia molto contenuti non hanno portato a nulla. Ma di quella storia, verrebbe da dire, torna a mancare una parte prodromica importante, che forse potrebbe formare oggetto di una nuova fiction d’autore, a cura della Rai. Andrebbe, cioè, incastonata e ripercorsa in parallelo a quella tragica vicenda la storia dei cattivi maestri, italiani, francesi e tedeschi, che furono i magister, i padri pellegrini di quella parte di gioventù che si voleva rivoluzionaria, in un Occidente iniziato sempre più verso la mondializzazione dei prodotti e dei consumi, e che vive con odio ideologico seconda e terza industrializzazione, perché sulle condotte spalle di un proletariato ancora attivo nella sua espressione sociale. C’è infatti da chiedersi: come mai così tanti giovani europei della buona borghesia urbana passarono dalle aule universitarie alla clandestinità armata, folle e suicidiaria?


di Maurizio Bonanni