sabato 29 ottobre 2022
La lezione dell’Associazione Chopin di Marcella Crudeli
È ben noto che molti amano realizzare componimenti in versi, ma che pochi riescono ad emergere come veri poeti, cioè persone in grado di comunicare univocamente agli altri – senza fraudolenti ermetismi – ciò che sentono, tramite un’espressione armonica percepibile come tale da tutti. Il poetare è, innanzi tutto, desiderio di scrutare nei recessi della propria anima, per farne emergere sentimenti universali come l’amore, la gioia, il dolore, la contemplazione, l’estasi, la serenità, l’ascesi spirituale. Anche dalla disperazione può scaturire la poesia, ma nel momento stesso in cui l’interiore tormento si traduce in versi, essi leniscono l’anima e diventano strumenti di cosmica condivisione. La poesia, acqua sorgiva della coscienza popolare, scorre a fianco del fiume della musica, sovente confondendovi il proprio corso per giungere al mare dell’arte universale.
L’antico legame tra musica e poesia, già presente nel mondo classico, si manifestò con maggiore intensità a partire dal Medioevo, con il fiorire di ballate, canzoni, sonetti, madrigali. Nella Firenze medicea la lirica popolare si innalzò a dignità artistica e con essa anche la musica, grazie a valenti compositori italiani e stranieri. Nel Rinascimento, a seguito dell’affermazione dell’Opera come rappresentazione musicale prevalentemente rivolta al certo aristocratico, si ebbe a Venezia una significativa innovazione, con l’accesso del popolo ai teatri.
La poesia si accosta alla musica, generatrice di tutte le arti, in quanto dipendente più dal sentimento e dall’immaginazione, che non dalla ragione, fonte dell’eloquenza prosastica. Ma è la musica a possedere intrinsecamente una più ampia ed intrinseca valenza universale rispetto alla poesia, in quanto trascende la parola e la pluralità degli idiomi, facendosi strumento di dialogo fra le genti di ogni dove e di ogni tempo, prendendo le mosse da stati d’animo, ed a sua volta suscitandone, nella prospettiva di affratellare l’umanità e di elevarne lo spirito, senza indulgere verso sonorità “trasgressive” di consolidate armonie, per puro conformismo modaiolo.
La musica si avvale di un linguaggio più immediato e meno schematizzabile, in quanto voce di un più ampio universo, comprendente anche i suoni della natura. Sant’Agostino esaltò la musica nel suo trattato omonimo, come strumento privilegiato per potere intuire la perfezione del Creatore. Dante colse nel canto delle anime elette, la forma esteriore delle celesti beatitudini proprie dell’appartenenza al Paradiso. Lo stretto legame che nel Medioevo si venne ad instaurare tra le due arti, fu evidenziato da lui, che ebbe a definire la poesia “una finzione retorica versificata e posta in musica”. La possanza del linguaggio musicale fu sperimentata sia nella liturgia riformata di Lutero, che in quella cattolica post-tridentina, nel cui ambito lasciò un’impronta di vigorosa ed intensa spiritualità Pier Luigi da Palestrina, compositore di Messe, inni e litanie polifoniche.
Nei secoli XVI e XVII si sviluppò l’Opera, che in Italia ebbe centri di eccellenza a Firenze, Roma, Napoli e Venezia, nella qual ultima città tale genere musicale perse l’originaria destinazione aristocratica, rivolgendosi ad un sempre più vasto pubblico interclassista. A Napoli, divenuta il principale centro dell’Opera nel Settecento, si distinse lo Scarlatti, che influenzò Hendel e Bach; ma altri compositori insigni emersero altresì nel capoluogo partenopeo, come il Paisiello, il Cimarosa, il Pergolesi, i quali divennero famosi nella c.d. “opera buffa”, i cui protagonisti furono mutuati dalla commedia dell’arte.
Nell’Ottocento la grande musica italiana si arricchì del genio brioso di Rossini, della ricca ispirazione melodica di Bellini e Donizetti, della creatività dolce ed al contempo severa di Verdi, nel qual ultimo prevalse l’elemento drammatico. In lui le passioni umane più profonde, i contrasti più laceranti, presero le forme di una musica di austera e composta bellezza, che vide alternarsi passaggi di coinvolgente passione morale e civile, con tratti di soave dolcezza elegiaca: fu musica pura, capace di trasmettere intense e galvanizzanti pulsioni patriottiche, tramite l’evocazione storico/drammatica.
Subentrò tra la seconda metà dell’Ottocento ed il Novecento, la nuova tendenza del “Verismo”, cioè dell’imitazione della realtà, che nelle note fu recepita da compositori di primo piano, quali Mascagni, Puccini, Leoncavallo, Cilea, Respighi, Giordano, per citarne solo alcuni tra i più famosi. La musica è quella che attraverso il suono – notava il Gioberti – “si apparenta con la voce e con lo spirito, quasi corda vibrata immediatamente dall’anima, ed acconcia ad estrinsecare le sue affezioni”. Musica e poesia sono – lo ribadiamo – arti sorelle, in quanto entrambe si avvalgono del ritmo, che è il moto regolato dai suoni per la prima e dalle parole per la seconda. Risulta sempre attuale l’esortazione che Verdi era solito rivolgere ai compositori esordienti, invitandoli ad essere liberi se volevano affermarsi come veri artisti, senza preoccuparsi di scrivere secondo le tendenze del momento.
“Le opere di questi giovani – osservava il maestro – sono frutto della paura. Nessuno scrive con abbandono, e quando questi giovani si mettono a scrivere, il pensiero che li predomina si è di non urtare il pubblico e di entrare nelle buone grazie dei critici”.
L’Ottocento fu l’età aurea della musica classica, giunta al massimo della sua maturità espressiva con autori del livello di Verdi, Rossini, Bellini, Donizetti, Wagner, Beethoven, Schubert, Schumann, Mendelssohn, Paganini, Liszt, Chopin, Berlioz, Čajkovskij. Il valore letterario dei libretti e delle trame che accompagnavano le note, andò tuttavia scemando con la conseguente divaricazione tra musica e poesia, che si fece più accentuata nel Novecento.
Oggi appare vieppiù necessario promuovere nei giovani l’amore per la musica e per la poesia, in quanto possono concorrere ad elevare l’animo umano verso le cose quae sunt spiritus, educandolo in tal modo alla ricerca di quell’equilibrio e di quella pace interiore che costituiscono la premessa indispensabile, a livello relazionale, per una solida e duratura pace tra le nazioni. In questo terzo millennio, altamente tecnologizzato, sempre più proteso a nuovi obiettivi di un progresso scientifico non sempre ancorato all’etica, si assiste alla vuota ed affannosa corsa verso inappaganti chimere di felicità, nel mentre torna ad avvertirsi una struggente nostalgia di un passato più attento ai valori dello spirito, il qual ultimo ci contraddistingue da tutti gli altri esseri viventi.
Si percepisce forte ed imperioso il desiderio del recupero di una perduta serenità interiore, scevra da affanni modaioli, come la prevalenza dell’apparire sull’essere, dell’avere sul dare, mentre è soltanto la condivisione solidale che può riscaldare ed appagare le menti ed i cuori – contro la povertà dell’egoismo utilitaristico – rivelando una sana e non sopita coscienza morale, che rivendica imperiosamente le sue ragioni.
Se il provvido tormento delle nostre anime non resterà sterilmente chiuso nel rimpianto del passato, ma ci condurrà sitibondi ad abbeverarci alle perenni fonti del bello, del vero e del buono, ci ritroveremo più forti ed interiormente appagati nel trasmettere alle future generazioni un patrimonio incommensurabile di valori morali e civili, attraverso i quali si perpetuerà il nostro ricordo sub specie aeternitatis.
Avremo così lanciato “una fune verso l’infinito”, affidando a chi verrà dopo di noi un patrimonio morale che trascenderà la finitezza che il tempo ha assegnato ai nostri corpi mortali. Nell’attuale dramma della guerra scatenata dalla Russia di Putin contro l’Ucraina, qualche oasi di speranza va tratta dagli eventi concertistici cui partecipano anche degli artisti appartenenti ad entrambi i Paesi, dove il linguaggio dell’armonia universale scandito dalle note, è più forte del fragore delle bombe. La musica, nella sua universalità espressiva, è lo strumento per eccellenza se non per cambiare, almeno per migliorare il mondo, affinando la sensibilità dell’Uomo.
Questo è lo spirito con cui opera da 35 anni l’Associazione Fryderyk Chopin, fondata dalla professoressa Marcella Crudeli – già direttrice del Conservatorio di Pescara – la quale organizza dal 1990 il Concorso pianistico internazionale “Roma”. Ed è un’infaticabile formatrice di tante generazioni di giovani musicisti, che nel tempo hanno appreso non soltanto l’arte del pentagramma, ma anche attraverso scambi interculturali con i loro coetanei di ogni parte del mondo, lo spirito dell’amicizia e della fratellanza universale, al di fuori ed al di sopra di ogni barriera politica, religiosa, culturale e geografica. A fronte di ciò, le più alte istituzioni dello Stato, come la Presidenza della Repubblica, il Senato, la Camera dei deputati, la Presidenza del Consiglio, hanno costantemente significato il loro apprezzamento al concorso ricordato, conferendo premi di rappresentanza alle varie edizioni succedutesi nel tempo.
La professoressa Crudeli, è stata personalmente insignita dell’onorificenza di Grand’Ufficiale della Repubblica, in riconoscimento al suo impegno per la diffusione della musica, come strumento di crescita morale e civile, nonché di coesione internazionale tra i popoli. 80 anni di vita per nulla affatto dimostrati e 70 di carriera come musicista ed artista di fama internazionale, sono il bagaglio professionale, morale e civile della Crudeli, che rappresenta uno dei più prestigiosi “biglietti da visita” dell’Italia all’estero, quale ambasciatrice di un linguaggio di armonia universale, nel quale a tutti gli uomini di buona volontà è dato riconoscersi e reciprocamente intendersi.
di Tito Lucrezio Rizzo