“Far finta di essere sani”: ed esserlo per davvero

giovedì 27 ottobre 2022


Chi è veramente “sano” in questa terza e traumatica decade del XXI secolo? Ma il “Fool” shakespeariano, indiscutibilmente! E tra i suoi mille emuli chi gli si è avvicinato di più nello scorso XX secolo. È proprio Giorgio Gaber, con la sua iperproduzione di canzoni, testi recitati, parole e musica. Tra i suoi spettacoli e long playing a 33 giri (oggi puri oggetti di culto vintage) Far finta di essere sani contiene numerosi brani impegnati, tristi e ironici di un doppio album dal vivo di Gaber, pubblicato nel maggio 2002, e che rappresenta l’inedita registrazione dal vivo (uscita nella collana “Gaber a teatro”) dello spettacolo omonimo, andato in scena nella stagione teatrale 1973/74, con altre ristampe di titoli già in commercio dal 1970 in poi. Senza di lui, deprivati da quella sua presenza filiforme in scena e la sua voce profonda e attoriale, per chiunque voglia imitarlo o riadattarlo la sfida non è semplice, né può essergli garantito a priori il successo di pubblico.

Ma, a quanto pare, la Sala Umberto ha deciso a suo rischio e pericolo di giocare il gioco, ospitando lo spettacolo dal titolo omonimo, con un duo di bravissimi interpreti musicisti-attori e un’orchestra di polistrumentisti (denominata “Il Ripostiglio”) che, fin dal loro esordio romano (il gruppo sarà in scena fino al 30 ottobre) hanno ricevuto la standing ovation del pubblico di appassionati. Tra tutti, anche per quel suo certo “similar profile” con la figura indimenticabile di Gaber, risalta la bella prestazione della cantautrice Andrea Mirò, voce deliziosa e ben educata, corredata in scena da gesti misurati ed eleganti e da una perfetta sincronia di coppia con il partner maschile Enrico Ballardini.

Così, con la sua brillante presenza, questo armonico ensemble ha trasmesso al pubblico in sala la grande passione civile, politica e umana di Giorgio Gaber, riproponendo in musica, parole e canzoniere i suoi ragionamenti per assurdo che mentre corrono dietro ai loro teoremi cadono nelle dimostrazioni intermedie, per avere ragione nell’espressione finale! Una sorta di Qed (“Quod erat demonstrandum”) di noi stessi, della nostra malatissima epoca; dell’amore tra un uomo e una donna sempre con il freno a mano tirato, più retorica che sostanza, più falso che vero impegno per i miti sociali, politici ed economici che ci ingaggiano dall’esterno, per evitare di interrogarci al nostro interno su: “Chi siamo noi? Che cosa vogliamo? Dove stiamo andando?”. Non lo sapevi tu, caro Giorgio, in quei tuoi prolifici anni Settanta, ma non lo sappiamo nemmeno noi, sommersi dalla numerizzazione immanente dei social, strangolati da crisi epocali che nessuno sa da dove vengano e come si risolvano.

Così, Mirò-Ballardini hanno buon gioco nel riproporci “Chiedo scusa se parlo di Maria”, perché “In carnalitate veritas”, parlando della carne viva che ci appartiene e ci fa soffrire e gioire, e non delle astrazioni ideologiche, della politica come il Vietnam o la Cambogia, perché “Maria è realtà, libertà e rivoluzione”. Ma, dice Gaber, se sapessi parlare di Maria avrei capito tutto della vita!

E poi nel Far finta di essere sani esprime tutta la difficoltà di vivere dell’uomo moderno, per cui la mancanza di desiderio sessuale si surroga con l’orgasmo consumista: “Nel dubbio mi compro una moto/telaio e manubrio cromato. Far finta di essere insieme a una donna normale/che riesce anche ad esser fedele/comprando sottane, collane, creme per mani/far finta di essere sani”. Talmente si profilava disforica in quegli anni Settanta una comunità mondiale e occidentale in piena crisi esistenziale, e che si sarebbe avviata spensieratamente verso la globalizzazione, a partire dagli anni Novanta, tanto che Gaber sentì l’esigenza del ricorso al paradosso “oggi mi sento a pezzi”, per fare un titolo in sintonia: “Quello che perde pezzi”, per cui vanno via poco a poco ginocchi, menisco (sui cui resti qualcuno ci scivola), cosce, ascelle, femore.

Fino al Grand Guignol di chi passeggia senza stinchi accanto a una fidanzata preoccupatissima del suo stato pietoso, per cui a lui è sembrato un atto d’amore lasciarle il cuore, così come si dona un dito all’amico che ti stringe la mano. Che cosa resta di uno così? Un testicolo e un testone: uno per la riproduzione e l’altro per esercitare un inutile diritto di voto, passando la vita a delegare in una finta democrazia. Metafore a cascata, come si vede, per cui si ride e si piange al contempo. E, poi, che cos’è dunque la “Libertà”? Non certo uno spazio libero, ma “partecipazione”. Un volo di fantasia, come quello di uno scienziato, “convinto che la forza del pensiero sia la sola libertà”.

Grandissimo rilievo assume poi l’interpretazione del duo Mirò-Ballardini del brano “Dall’altra parte del cancello”, quello cioè di una casa di cura per malattie mentali, per cui però accade spesso che i sani stanno dentro e i pazzi si trovano in libertà. Da qui il dilagare del conformismo che premia i finti normali, si contrappone alla miseria del folle, solo e impaurito che afferra le sbarre dall’interno del cancello in una muta e disperata richiesta di aiuto e di umanità.

Mentre i così detti “sani” stanno in pace con il cervello, ragionano pacificamente senza orribili visioni, sono fuori dai problemi della psiche e i loro gesti equilibrati non danneggiano nessuno. Ma il tutto sa davvero di “Comma 22” (un fake del codice militare di guerra americano) per cui “Chi è pazzo può chiedere di essere esentato dalle missioni di volo, ma chi chiede di essere esentato dalle missioni di volo non è pazzo”. Insomma, ci vorrebbe “Un’idea” da mangiare e con cui nutrire l’anima per fare la rivoluzione. Ce n’è anche per la psicanalisi, con il “Bloccato” che si libera finalmente dalla tirannia familiare facendo una strage di genitori e parenti, per cui al termine della mattanza ringrazia il suo psicanalista per questa sua prodigiosa guarigione! Spettacolo da non perdere!


di Maurizio Bonanni