“Matrioska”: le sorprese della vita

mercoledì 26 ottobre 2022


È solo un caso, o i Pensieri senza pensatore dello psicanalista Wilfred Bion si mettono staticamente assieme per suonare in un’orchestra armonica, unica e invisibile? Così, misteriosamente, al Cunto dei Cunti del favoliere seicentesco Giambattista Basile, al quale si è liberamente ispirata di recente la regista teatrale Emma Dante nel suo ultimo e intelligente lavoro dal titolo Il pupo di zucchero, attualmente in scena al Teatro Argentina, si aggiunge come un seme ibrido Matrioska, in cartellone allo Spazio Diamante di Via Prenestina solo dal venerdì alla domenica e fino al 30 ottobre. Spettacolo molto interessante, prodotto con grande coraggio da Alessandro Longobardi, per la regia di Giampiero Rappa, scritto e interpretato da giovani attori, diplomati alla Scuola di recitazione Stap del Brancaccio, diretta da Lorenzo Gioielli, dalla cui fatica, generosità e impegno nasce Matrioska.

Spettacolo complesso quest’ultimo, articolato in vari quadri sovrapposti e incorniciati l’uno dentro l’altro, come appunto farebbe la sequenza nidificata di poupèe russe, frutto di un lavoro al cesello dove le mani dell’artigiano vanno per approssimazione a disegnare incastri e giochi di luci e ombre sulle superfici chiuse di ogni creatura sempre più piccola, minuziosa e dettagliata. La coincidenza con Il Cunto di Basile e con lo spettacolo della Dante sta tutta nel significato profondo della vita umana, in cui ogni individuo, sia esso principe o orco racchiude in sé la configurazione filosofica dello Yin e dello Yang. Ragion per cui dentro ciascuno di noi convivono inscindibilmente e “dinamicamente” il Bene e il Male, in una pozione diabolica e angelica allo stesso tempo, in cui le dosi dell’uno e dell’altro non sono mai né prevedibili, né certe, perché in fondo il nostro destino è nel libero arbitrio delle nostre scelte, che però purtroppo si presentano sempre con troppe biforcazioni, alcune note altre misteriose, cosicché del “Doman non v’è certezza”.

Allora, siccome linguisticamente il Caso tiranno parla un misto di lingue e di dialetti, non c’è nulla di meglio, come ci suggeriscono i bravissimi attori e attrici di Matrioska, che ricorrere al Grammelot dell’arte geniale degli antichi “cuntastorie”, mettendo assieme pezzi di pura improvvisazione teatrale durante le mille prove e aggiustamenti senza una trama preordinata, per poi far riposare la matassa e ricavarne con pazienza quel filo di Arianna, che porterà alla definitiva messa in scena di questo affascinante spettacolo. Di seguito si citano in rigoroso ordine alfabetico (che per puro caso divide esattamente in due il gruppo femminile da quello maschile!) i giovani autori interpreti di Matrioska: Saverio Barbiero, Claudio Cammisa, Raffaele Elmetto, Matteo Esposito, Alberto Gandolfo, Michela Nicolai, Camilla Paoletti, Fabiana Pesce, Giacinta Pittaluga, Flavia Prugnola, Diletta Ronga, Marta Savoia.

E dov’è il significato della vita, oggi come ieri da quando è nata l’attuale civiltà in cui il denaro da strumento di scambio è diventato l’unico metro di misura dei valori e delle cose dell’umanità? Appunto, nell’esaltazione a senso unico dell’individualismo senza freni, del successo personale ed egotico nell’arrivare a farcela, ma non più con la forza delle braccia sollevando pesi e trascinando carichi di merci. No: quello rimane ancora un mestiere da primitivi, adatto al protagonista Alfio, un rozzo padre-padrone siciliano, incallito abusatore delle sue tre figlie che perderà una a una come sua moglie. Perché malgrado l’omertà e il disonore, ospiti perenni e indesiderati della sua casa, le figlie fuggiranno dalla sua prigione affettiva e perversa, qualcuna salvandosi, qualcun’altra finendo in un bordello gestito da una coppia diabolica di Maman e Papi. Trovando in questi ultimi l’ennesima rappresentazione dell’abuso e della violenza sulle giovani ragazze, la maggior parte straniere in cerca di fortuna e lavoro, che finiranno nel loro night e nella annessa casa di piacere, alternandosi nell’uno e nell’altro ruolo, come acqua avvelenata che filtra in ogni fessura delle crepe del rispettivo edificio esistenziale.

Così, in una delle prime scene, appaiono in primissimo piano tre bellissime ragazze provocanti e vestite di nulla, con indosso indumenti discinti da outlet di sexy shop, perché tutti capiscano il gioco che saranno invitati a seguire, dove il Denaro è tutto, signore e padrone indiscusso delle loro vite. Lui, lo sterco del diavolo, che ispira ogni azione dei due Satanassi nelle vesti del prosseneta e del manager fallito che sfrutta, umilia e sottopaga Alfio e il suo apprendista che lui, il demonio, vorrebbe fare una spia per distruggere quel siciliano maturo, violento e irascibile. Giustizia vuole però che entrambi, il proprietario del night-bordello e il manager, dovranno rinunciare alle loro vittime: il primo, assistito e istigato dalla sua perversa moglie, perché la loro giovane preda viene assassinata e il suo corpo affidato dai due sfruttatori alle correnti del fiume, per cancellare le possibili tracce. Il secondo, perché la più giovane e abusata delle figlie di Alfio e il povero, ingenuo apprendista si riconosceranno nella loro purezza, prendendo assieme il treno della fuga e della salvezza.

In un quadro separato e coevo si svolge il racconto di un altro dei tentativi della modernità di regolare conflitti e disturbi comportamentali degli individui, attraverso lo strumento dialettico e razionale della psicoanalisi. Mentre, invece, ci dicono i giovani autori e interpreti, la nostra umanità dolente e addolorata che si siede sul lettino dello psicanalista come sua ultima speranza ha, in fondo, una semplice esigenza: essere “abbracciata”, ricevere un autentico gesto d’amore che le parole di un estraneo non potranno mai offrire, né garantire. Quell’affetto mancato che porta Alfio a commettere un delitto osceno, amarissima conclusione del percorso di vita di una persona disturbata, che ha confuso la dedizione incondizionata al lavoro e alla famiglia con il senso della vita. Bravi tutti. Spettacolo da rivedere, si spera quanto prima, nei circuiti del teatro romano e italiano.


di Maurizio Bonanni