L’anima selvaggia: “Brado”

venerdì 14 ottobre 2022


Un Oscar da cavallo! Ancora una volta il primitivo che è in noi incontra la sua contro immagine nel mondo senziente extraumano, e le verità essenziali di cui quest’ultimo è portatore fanno da struttura e da lente reticolare per una fenomenale messa a fuoco di ciò che siamo e, soprattutto, di Chi eravamo. Kim Rossi Stuart, protagonista e regista del suo ultimo film Brado, una sorta di western metropolitano, nelle sale italiane dal 20 ottobre, con Kim Rossi Stuart (Renato), Barbora Bobulova (Stefania), Saul Nanni (Tommaso), Viola Sofia Betti (Anna), unisce il fascino delle cose già viste con una vena originale, per cui stavolta la fortuna non arride agli audaci. In linea di massima, la storia (semplice nella trama, ma assai meno lineare nei suoi significati traslati) si articola in una foliazione interna a quattro livelli.

Il primo, in cui si porta implicitamente a far coincidere il primitivo che è in noi con l’animale vero, si presenta come una molla carica di energia, che si rilassa velocemente in una corsa sfrenata a inseguire e a farsi ricorrere dalla vita come le narici tese di uno splendido cavallo al galoppo, un campione del salto fuori controllo che teme l’acqua. Brado è il mondo chiuso di un ranchero (Roberto) ed è l’unico vero scopo della sua vita, nutrita secondo natura come quel suo terreno fertilizzato. Attorno a lui si muovono fantasmi e coprotagonisti reali di un’esistenza tenuta assieme da passato e presente, mentre il futuro è tutto da scoprire, ma non da solo, come si vedrà.

Suo figlio Tommaso (un bravo Saul Nanni) è una di quelle figure geneticamente simili ma mentalmente lontanissime, in cui si apprezza come secondo livello il contrasto tra la vertigine dell’altezza (nella vita Tommaso si guadagna da vivere come carpentiere acrobata) dove un sistema di contrappesi e di corde mobili vince la gravità, in contrasto con gli zoccoli sul terreno di Trevor, un cavallo semialato in grado di saltare barriere oltre il metro e sessanta. Chi vola sulle pareti lisce di un grattacielo, o di una grande struttura sospesa sull’oceano, è però un personaggio completo, malgrado la sua giovane età, educato a stare sul filo della morte per affogamento dall’educazione selvaggia di un padre tanto affettuoso quanto fuori dagli schemi, dove una caduta da cavallo è poesia pura e non un fattaccio o disgrazia senza conseguenze di cui fare tesoro. Ma Tommaso rimane sempre e comunque vigile nella sua coscienza di figlio e di uomo.

Con le ossa forti per non spezzarsi quando le giovenche lo calpestano perché troppo dolce e remissivo in amore, ma con il cuore nobile per dimenticare un’infanzia tormentata da separazioni, liti e attese infinite di ritorni e di riconciliazioni mai avvenuti. Lui sarà la spalla, la stampella e l’approdo di un padre come Roberto, ormai quasi alla fine del suo viale del tramonto. Brado è, quindi, un rapporto teso e mai veramente risolto tra padre e figlio, in cui però la comune, viscerale passione per i cavalli fa da mediatore sinaptico per sciogliere tutti i grumi di rancore che la vita ha accumulato nell’esperienza di entrambi.

Nel terzo livello, interconnesso e inscindibile con tutti gli altri, c’è il gigante denominato Amore, quello per cui si ama per tutta la vita la donna che ti ha dato due bellissimi figli, abbrutendosi nel ricordo e nella speranza vana del ritorno, per contrasto a un’altra donna molto più giovane e tormento di un figlio innamorato di quella sua coetanea che gioca l’amore pendolare, ora nelle braccia dell’uno, ora dell’altro, capace di ferire fino alla disperazione.

Ma, anche qui, è il selvaggio che ci viene in aiuto, liberandoci dell’ossessione causata dall’infedeltà, alla fine di una lunga cavalcata che, per caso, come sempre, ti fa incontrare quella giusta, paziente che vuole amarti e stare solo con te. Quando il materno ti abbandona bambino, del resto, e si pone al tuo livello da adulto come un’adolescente viziata, stagionata e stupida, allora se hai una forza tua autonoma dentro, se punti in alto e guardi dal tetto di un grattacielo tutto quel che c’è e si agita al di sotto di te, allora le miserie umane iniziano a diventare piccolissime ai tuoi occhi, proiettando un’ombra insignificante sulla volta di un cielo sovrastante sgombro di nuvole, pieno di promesse di una giovinezza forte e nobile, tutta da scoprire.

Al quarto e ultimo livello, si pone la questione escatologica della morte, che ha come punto interrogativo lo stesso “perché”: perché si muore e si nasce? E qui il film svolge un suo tema particolarissimo dell’incontro con la morte, secondo le regole del brado selettivo: si tengono nel ranch solo gli animali che si possono accudire e sfamare, gli altri, come una nidiata di cuccioli, vanno soppressi, anche se gli occhi di un bambino ricorderanno per sempre quel gesto che non riusciranno a perdonare.

Ma dare la morte a un animale ferito senza più speranze di sopravvivenza è tutt’altra cosa che darla guardando negli occhi l’Altro da te, un peccato mortale da compiere tra uomo e uomo, dove il rantolo del morente ti diventa insopportabile e nel tuo interior panico e colpa si annodano tra di loro, scatenando risonanze mentali così acute da impedirti l’atto di disporre del fine vita di un tuo simile, che ti rende fin troppo vicino e al contempo lontanissimo dall’essere Dio.


di Maurizio Bonanni