“Tempesta in giugno”, un libro di grande spessore

lunedì 3 ottobre 2022


I grandi eventi storici, che hanno segnato un discrimine nella storia umana, sovente sono stati raccontati in modo magistrale nei grandi libri, come è il caso, al di là di ogni dubbio, del libro di cui è autrice Irène Némirovsky intitolato Tempesta in giugno, edito dalla casa editrice Adelphi e da poco approdato in libreria. Nella narrazione, che ha un carattere polifonico poiché mostra come la guerra, con l’invasione della Francia avvenuta nel 1940 da parte delle truppe tedesche e naziste, sconvolge e muta per sempre il destino di un popolo, provocandone la sofferenza e il dolore. Nel libro, infatti, il lettore incontra innumerevoli personaggi, la cui condizione sociale è diversa, colti durante il 10 giugno del 1940, quando la Francia perdette la propria sovranità ed indipendenza e venne occupata, dopo feroci bombardamenti e violenti combattimenti.

I borghesi erano abituati a tendere l’orecchio agli scoppi e alle detonazioni per capire quanto fosse sopraggiunto il momento di cercare riparo nei rifugi per evitare le conseguenze devastanti dei bombardamenti. Parigi appare, in quel momento storico, come una città assediata dalla paura e dell’angoscia. I Pericand, il 10 giugno del 1940 ascoltano alla radio la terribile notizia che l’Italia fascista ha dichiarato guerra alla Francia. La signora Pricand, moglie di Adrian, direttore di un importante museo di Parigi, accoglie la notizia con rassegnazione, compiendo un gesto con la mano quasi a voler dire che era inevitabile che accadesse tutto questo. Adrien Pericand, dopo che è rientrato in casa, informa i familiari che il governo sta per lasciare la capitale francese, poiché oramai i tedeschi sono alle porte di Parigi.

Tutti questi personaggi sono avviluppati dalla smania di fuggire per mettersi in salvo ed evitare di rimanere a Parigi sotto il dominio nazista. Lo scrittore Gabriel Corte si trova sulla terrazza della sua splendida villa e pensa di essere al riparo dalla volgarità e dalla bruttezza, visto che le sue preoccupazioni riguardano ideali nobili quali la bellezza e la voluttà. La guerra, pensa in preda alla angoscia, ha una insolenza che gli provoca un fastidioso rimbombo nelle orecchie e gli fa comprendere di essere vulnerabile e debole, distogliendolo dal suo compito che risiede nel coltivare l’ideale della perfezione artistica. Maurice e Jeanne Michaud sono marito e moglie e lavorano come semplici impiegati in una banca parigina. Il loro unico figlio, Jean Marie è in guerra e non ne conoscono la sorte e il destino. Il direttore della banca, il signore Corbin, dove lavorano, li avverte che il loro istituto è in procinto di lasciare Parigi per trasferirsi a Tours. Fino al giorno prima, Corbin aveva dichiarato che non ci sarebbe stato alcun trasferimento.

Il personaggio che colpisce per il suo dramma interiore è Philippe Pericand, appartenente alla ricca famiglia con cui il libro si apre, il quale si tormenta, mentre come prete e tenente dell’esercito francese si domanda, visto che non riesce a venire meno alla solidarietà di classe verso gli esponenti della borghesia, come mai sia così debole ed imperfetto da non riuscire a raggiungere quella vetta dell’amore assoluto, in cui non si scorge nelle creature altro che il segno manifesto dell’opera grandiosa del signore. Scrivendo una lettera a suo fratello Humbert, Philippe ha dichiarato di essersi fatto prete per condividere le sofferenze sperimentate da Cristo, versare il suo sangue per salvare le anime, ed essere umiliato e maltrattato come il Messia.

Adesso, per colpa della guerra, Philippe, la cui anima è sorretta e illuminata da un ardore spirituale profondo, è costretto ad uccidere il prossimo, agendo in modo contrario ai suoi ideali e alla sua fede religiosa. Charlie Langelet si trova nel suo sfarzoso appartamento parigino e, in preda all’estasi dei sensi, sigilla e ripone nelle scatole la sua collezione di oggetti preziosi mentre è in procinto di abbandonare Parigi. Inorridito e angosciato per la fuga di massa che induce i parigini verso altre città, pensa che lui in questo momento ha il desiderio di scappare dalla terra intera che gronda sangue e gli appare un cadavere mezzo decomposto, martoriato dalle ferite, per cercare rifugio in un luogo di pace e di bellezza in cui non vi sia spazio per la brutalità della guerra.

Adrien Pericand lascia Parigi, dopo che le opere più prestigiose del suo museo sono state portate in un luogo sicuro, a bordo del camion su cui viaggiano i giovani redenti di un istituto, l’opera dei piccoli redenti, finanziato dalla sua famiglia, che ha il compito di rieducare i ragazzi, responsabili di condotte criminali. Mentre la città dove si trovano di passaggio è bombardata, Adrien Pericand, in una cantina in cui ha trovato rifugio, viene ucciso da alcuni di questi ragazzi, in modo atroce e crudele. La signora Pericand, che ha lasciato Parigi come tutti i cittadini della capitale, pensa, osservando la fuga di massa, che questo movimento collettivo di persone toglie la voglia ed il desiderio di mostrarsi caritatevoli, poiché la folla miserabile gli pare non possedere più nulla di umano, somiglia, pensa, a un branco di animali in rotta. Un tratto uniforme accomunava queste persone: i vestiti strappati e in disordine, le facce sconvolte, le voci arrocchite.

Per questo, preoccupata di raggiungere Tolosa e la sua dimora principesca con i suoi figli, nota che la carità cristiana, la mitezza dei secoli, le buone maniere forgiate dalla civiltà lungo i secoli, le cadevano di dosso a causa dell’istinto di sopravvivenza, che aveva il sopravvento in tutte le persone. Muarice e Jeanne Michaud, gli impiegati di banca, camminano a piedi tra i diseredati, tra i disgraziati e i proletari. Queste persone rappresentano i poveri e i perdenti, quelli che, non sapendo trarsi di impaccio, vengono respinti ovunque, e che per questo sono condannati a rimanere sempre in fondo. Jean-Marie Michaud si trova ferito su di un camion. Improvvisamente comprende che fino a quel momento non aveva creduto nella disfatta, i tedeschi erano ancora dietro di loro, i francesi fuggivano, vedendo l’esercito allo sbando, ma lui, come tanti altri, non aveva perso la speranza.

Humbert Pricand, e qui è evidente il riferimento alla Certosa di Parma di Stendhal e all’episodio di Fabrizio del Dongo che si trova coinvolto nella battaglia, si allontana dalla sua famiglia, in fuga verso Tolosa. Pensa Humbert Peicand che la vita, citando Shakespeare, era mirabile e tragica, e che le persone che lo circondano la sminuiscono con il loro scarso coraggio e la mancanza di eroismo. Un mondo, mentre fugge pensa Humbert, sta per crollare, sicché non resteranno che macerie e rovine, ma loro non cambiano, rivelando la loro natura inferiore e pavida. In seguito, trovandosi come un intruso privo di competenze militari coinvolto nella guerra e nei combattimenti, Humbert non può fare a meno di ammettere che tutto l’egoismo, la viltà e quella feroce e crudele violenza a cui aveva assistito lo nauseavano e lo inducevano a provare disprezzo per i suoi simili.

In più occasioni viene spintonato ed insultato, fino a finire in un albergo in cui troverà ospitalità. La signora Pericand, che è in viaggio, ancora non sa che suo figlio Philippe è morto mentre combatteva. Il 17 giugno del 1940 a mezzogiorno e mezzo, alla radio il Maresciallo Philippe Pétain aveva dichiarato con la morte nel cuore che l’esercito francese era in procinto di deporre le armi. La signora Pericand, trovandosi sul treno diretto a Tolosa, apprende questa notizia e si chiede se l’incubo sia giunto alla fine. Una volta rientrati a Parigi per ordine delle forze tedesche, come molti parigini, Maurice e Jeane Michaund hanno un dialogo tra i più belli e profondi del libro.

Jeane, in attesa di avere notizie del figlio, si domanda: per quale motivo tocca soffrire sempre alla gente come noi, sono i nostri figli che vengono mandati a morire in guerra. Il franco è in ribasso, i nostri risparmi vengono erosi, le conseguenze della disoccupazione ricadono su di noi, così come l’aumento del costo della vita e la disfatta militare. Diversamente quando si vince e le cose vanno bene, sia la ricchezza che le riforme sociali non ci sfiorano. Ascoltando queste amare riflessioni della moglie, Maurice Michaud osserva che l’uomo, a dispetto della massima evangelica, non riesce ad amare il prossimo. Prevale sempre l’avidità e l’egoismo. Un libro di grande spessore intellettuale e letterario.  

Tempesta in giugno di Irène Némirovsky, Biblioteca Adelphi 2022, 339 pagine, 20 euro, traduzione di Laura Frausin Guarino, Teresa Lussone, a cura di Teresa Lussone, Olivier Philipponnat


di Giuseppe Talarico