La “vita” e la filosofia

lunedì 12 settembre 2022


Di Arthur Schopenhauer ho scritto, accennevolmente, condensazioni. Esige larghezza di vaglio, ha modificato la spina dorsale della filosofia. Capovolta. Non la ragione, ma l’irrazionale a fondamento. L’uomo? Ben altro che pensiero, concettualità, conoscenza. Bilioso come era e inclinato allo sghignazzo ritengo che udire “Cogito ergo sum”, “Ogni reale è razionale, ogni razionale è reale”, “l’Io pone il non io”, gli smorfiasse il volto rughettato e la chiomona spiritata, e pestasse il terreno. Era nervosissimo, di ansia che lo travolgeva, una notizia ritardata, una parola equivocante gli dissestava l’apparato mentale. Richieste, spiegazioni, inquietudine, perfino Johann Wolfgang von Goethe ne subì le frenesie in uno scambio di missive sulla teoria dei colori da patologia neurotica.

La madre, di sicuro, bella, ricca per il coniuge, liberissima di sé, tratta dall’aura di Goethe, del figlio se ne incurò desertificatamente, e il figlio spasimò in pretese di amore, finché si pietrificò, come avvenne, in modo opposto, al piccolo Friedrich Nietzsche, disperatissimo, in collegio, per la mancanza della madre, per non sfasciarsi determinò di fare a meno dell’amore, di amare se stesso, reggersi con l’onnipotenza autosufficiente (il suo tragico sogno), Schopenhauer è meno estremizzato, addirittura rinuncia sia all’amore ed anche alla soggettività onnipotente. Chi è l’uomo in Schopenhauer? L’ho accennato. Una tempesta di mare, di vento, di sabbia, di correnti, il desiderio di vivere lo saetta, vede una bella donna e la desidera, la ama, la vagheggia; il sapere, certo, un’arsura inesausta, più conosci e il cielo si dilata, l’intera esistenza a studiare e stringi granelli che si sfarinano (di sicuro il Faust di Goethe incide).

La Storia? Una corsa a non finire, non vi è progresso. L’individuo? Mortale, mortalissimo! E questa pantomima come mai? Perché dentro di noi arde la volontà di vivere. Siamo nati per vivere e viviamo per vivere, amiamo vivere, vogliamo vivere, desideriamo vivere, ma è appunto questo assestamento che infligge dolore. Il desiderio rincorre, mai soddisfatto, o, soddisfatto, si annoia, dunque, insoddisfatto, tenta soddisfazione, ottiene, noia, insoddisfazione, soddisfazione, noia, insoddisfazione, o per insoddisfazione o per soddisfazione-noia, un percorso a saliscendi, felicità ne assaporiamo passaggi, del resto l’ansia gira su noi cornacchiosamente: mi ama, non mi ama, verrà, non verrà, chi bussa alla mia porta, l’ansiosissimo Fryderyk Chopin, ritardando l’amata George Sand, la concepì morta o quasi e compose tristemente.

Così il Tempo coinvolge gli attimi, questo furore interno ci raffigura il mondo come nostra fantasia, il mondo è una raffigurazione della volontà di vivere, se amiamo la donna che amiamo ci sembra Dulcinea, se ci infuoca eroicizzarci i mulini li mutiamo in giganti, le passioni creano la realtà, danno senso, la valorizzano, la ragione è sottomessa alle passioni, non esiste una realtà oggettiva, meno che mai razionale, né le persone né le società vivono secondo ragione ma secondo la dissensata passione che formula la realtà secondo la propria temperatura animante. Schopenhauer occidentalizza il pensiero indù e buddhista ma anche il mondo greco-romano, Eros, Voluptas (forzo alquanto, si volge al mondo orientale). La vita è sofferenza appunto perché l’uomo sente e vuole vivere.

Desiderio, inseguimento, attesa, ansia, insoddisfazione: volontà di vivere. Occorre smettere questa corsa, e se Johann Gottlieb Fichte ne coglieva la forza dell’Io sempre a porre l’ostacolo per superarlo, Schopenhauer è certo di sbattere, insoddisfazione ansiosa irrisolta, una continuazione ansimante. Che ha da relazionarsi questa duplice concezione, Fichte e Schopenhauer, con la produzione della società industriale, con il consumo? Il rapporto tra filosofia, storia e sociologia è rigogliosissimo. Dunque, occorre una volontà che risani dalla ansiosa volontà di vivere. La volontà di non vivere! Volontà di non vivere vivendo ossia non volontà di morire ma si continuare la vita sospendendone la tensione.

Schopenhauer crede di stringere i modi di questo sospendere o guarire la passione di vivere pur vivendo. Considerare tutti infelici ci conforta, è sorte universale non sono infelice soltanto io. Anche la compassione, avrebbe questo effetto rasserenante (errore totale!). Soprattutto l’arte che ci immedesima al grado che dimentichiamo la vita ansiosa, ci smemora di noi stessi ficcati nell’opera d’arte, ma cessata l’immedesimazione nell’arte torniamo ansiosi, preoccupati, desideranti, allora? La soluzione orientale, il Nirvana, il distacco da ogni passione, desiderio, ansia (atarassia greca). Non il Paranirvana ossia, vero e proprio morire. E così Arthur Schopenhauer scostava tutto e tutti, l’uomo, disidratato dal sentire, spento, con la fine del desiderio cessava il dolore. Ma è concepibile alterare la questione: vivere all’estremo per schiantare il dolore? Troppo infelici per non essere felici? Erano nati i due fratelli non gemelli della potenza sovraumana contro la pena di vivere: Karl Marx, Friedrich Nietzsche. Li faremo incontrare, ancora li incontreremo. La vita ansia a vuoto? Mai. Gioia voluta, imposta, calpestante, tallone di ferro! Marx e Nietzsche non ammettono Nirvane: fedeli alla terra!

Schopenhauer odiò l’Idealismo presso che quanto la madre, gran voglia di essere riconosciuto, non sembra tendente al sesso femminile non con altre proposizioni ma solitario, la immissione della “vita” come fonte costitutiva dell’essere e dell’agire e del pensare è una direzione curvilinea nella filosofia, si inoltrerà nella psicoanalisi di Sigmund Freud attraversando il pensiero sociologico tedesco di fine Ottocento. Anche se ebbe maggior peso per essere tedesco nella fase ascendente della Germania, Giacomo Leopardi, non superabile come poeta ha visione più ardita di Schopenhauer come filosofo. Richard Wagner fu cultore di Schopenhauer, Nietzsche ne rimase abbacinato, poi lo avversò (lo stesso gli avvenne con Giacomo Leopardi). Sia che sia, dopo Schopenhauer (1788-1860) la “vita” tornò nella filosofia. L’uomo non è un ente che conosce e pensa ma soprattutto un ente che “sente” e determina la realtà secondo il sentire! La sua scrittura aveva, ha ondeggiamenti sensibili non soltanto argomentativi. Amava lo stile aforistico.


di Antonio Saccà