“Spatriati”, Magnificat Lgbt+

giovedì 1 settembre 2022


Ma davvero la differenza dei sessi è un prisma cangiante e al suo interno ciascuno di noi è libero di scegliere dinamicamente, momento per momento, il colore che più gli aggrada e si intona con i suoi stati umorali? Veramente occorre provare di tutto, in termini di dissacrazione e devianza (sostanze psicotrope e sintetiche comprese, fino a quelle che bruciano al primo colpo i neuroni cerebrali) per poter dire a se stessi e, se mai ci saranno, ai propri figli e nipoti che si è vissuta una vita interessante? Il libro Premio Strega 2022 di Mario Desiati, intitolato Spatriati (Einaudi) costituisce una sorta di Magnificat dionisiaco del mondo Lgbt+ “no-limits” che contraddistingue in Occidente la società liquida attuale.

La storia è ambientata in gran parte nella bellissima e barocca Martina Franca, ridente cittadina della provincia pugliese di Taranto, città paleo-industriale, quest’ultima, di cui ricorrono qui e là le atmosfere livide e avvelenate prodotte dai fumi dell’acciaieria dell’Italsider, nota oggi con il nome ancora più tristo di Arcelor Mittal. Così, i suoi personaggi principali, i due amici d’infanzia, Claudia e Francesco, il secondo perdutamente innamorato della prima che bacerà solo una volta, pur dormendo centinaia di notti nello stesso letto, si vedranno dapprima avvolti e prigionieri nelle radici profonde della loro terra, per poi disaccoppiarsi senza mai veramente lasciarsi. Proprio loro sono eretti a prototipo dell’androginità maschile e femminile, dato che ambedue assaporano amori di entrambi i sessi, provenendo da situazioni familiari in cui la madre del primo, infermiera nell’ospedale cittadino, è l’amante del padre medico di lei che lavora presso la stessa struttura sanitaria.

I due adolescenti si dovrebbero odiare ma, per legge del contrappasso, diventano come un’unica mela del pomo della discordia: nocciolo duro il primo, da restituire alla stessa terra che ne ha partorito il frutto; polpa tenera la seconda, che si fa deflorare in circostanze brutalmente post-romantiche da un brutto tipo del quale si era innamorata e che, nel seguito, entra lui stesso in un altro inviluppo della storia come amante della madre di Claudia, Etta (diminutivo di Elisabetta), per poi derubare assieme alla sua nuova donna la figlia di lei di tutti i suoi averi. Mentre Francesco rimarrà per i due terzi del romanzo nella sua Martina, Claudia, dopo altri turbolenti amanti locali, approfitterà di un dono in denaro di suo padre per rompere il cerchio magico che la garrota, andando a studiare prima a Milano e trasferendosi poi, una volta laureata, a Berlino.

Nella città tedesca dove d’inverno il sole se ne va alle due del pomeriggio, costringendo i suoi abitanti a drogarsi di Vitamina “D”, Claudia scopre e si fa coinvolgere e sconvolgere da un mondo notturno berlinese estremamente variegato e degradato, con le sue profonde depravazioni e variopinte variazioni sul tema sessuale (come gruppi laocontici con i sessi sfoderati e bene in vista al centro delle varie piste), per cui passerà senza soluzioni di continuità dagli amori etero di coppia, a legami morbosi e insani di varia natura. Prima innamorandosi di una specie di Midnight Cowboy omosessuale, Andria, ex muscoloso e massiccio guerriero georgiano, che lavora come Drag queen di maschi disturbati (perennemente travestiti da incubi felliniani) in un locale a luci rosse di Berlino.

Per finire poi in un rapporto lesbico profondo e intenso con Erika, una friulana naturalizzata berlinese, anche lei protagonista delle notti folli di Berlino con lazzo alla mano e costume succinto sadomaso, con cui formerà una coppia stabile, dopo che lei tornerà a Berlino incinta di un maschio violento, che ricuserà la paternità della bimba, allevata poi dalle amorevoli cure “anche” di Claudia e Francesco. Il quale, ovviamente, si innamorerà perdutamente del macho omosessuale Adria, da cui sarà sedotto e abbandonato dopo un’intensa convivenza.

E come se tutto ciò non bastasse, la madre fedifraga di Francesco abbandonerà e divorzierà dal proprio marito, una volta morto il suo amante dottore a causa di un infarto improvviso, per creare un’altra coppia omosessuale matura con una sudamericana. Nel finale, tutti assieme appassionatamente andranno a festeggiare a Berlino le loro nuove storie nella casa in cui convivono Erika e Claudia assieme alla bambina della prima. Ovviamente, in questo bel racconto edificante molto para-pornografico e pruriginoso, gli unici maschi superstiti, i padri di Francesco e di Claudia e il defloratore di lei, fanno una pessima e meschina figura, l’uno ritornando nella casa coniugale per ricomporre la finta unità della famiglia, l’altro dandosi ad attività del tutto fuori luogo e misura per le sue possibilità, come la politica locale, in cui fallirà miseramente, mentre il terzo rimane un prosseneta in pectore.

Romanzo, questo di Spatriati, che non ha nulla a che vedere con una storia, per molti versi analoga, raccontata da Hanif Kureishi, nel suo Il Budda delle periferie, ambientato nella Londra degli anni Sessanta-Settanta, dove ricorrono le stesse stramberie del sesso poliedrico e la spregiudicatezza della libertà dei costumi, in cui il protagonista bisessuale appartiene alla minoranza indo pakistana, come tutta la sua numerosa famiglia. Cosicché hanno uno sfondo sociale e razziale anche i gusti perversi del famoso regista del teatro di rottura, Pyke, borghese e ossessionato dal sesso, che adora le perversioni sessuali e gli scambi di coppia, facendo persino accoppiare sua moglie con Amir, il giovane protagonista, mentre si dedica da parte sua alla giovane fidanzata di lui, Eleanor, attrice come Amir nello stesso spettacolo di successo diretto da Pyke.

In Kureishi, in realtà, il vero protagonista non è mai il sesso, ma semmai prevale il suo esercizio di fustigazione estrema del Politically correct (termine che lo stesso Kureishi utilizza negli anni Novanta, nel testo del suo racconto) dell’ipocrisia borghese, mentre in testa a tutto è posta la forma artistica, che sia teatro, letteratura, o musica hard rock, di completa rottura con il Very British delle corse ippiche e della caccia alla volpe. Ne Il Budda delle periferie sono i poveri musulmani a massacrarsi tra di loro, facendo implodere le rispettive famiglie a causa dell’inconciliabilità tra la loro tradizione di origine e la laicità dei costumi inglesi. Niente a che vedere, quindi, con gli aspetti fin troppo pruriginosi del Premio Strega Spatriati. Sarebbe stato meglio, molto, meglio, assegnare l’ambito riconoscimento alla bravissima Viola Ardone, per il suo ultimo romanzo Oliva Denaro!

 Spatriati di Mario Desiati, Einaudi 2021, Supercoralli, 288 pagine, 20 euro


di Maurizio Bonanni