lunedì 29 agosto 2022
Un conto erano i libri di Virgilio (Georgiche, Bucoliche). Un altro conto erano le vite simbiotiche di Buddha, di Henry David Thoreau, degli eremiti, dei navigatori. Poi è arrivato Bernard Charbonneau, con la sua critica al concetto di ambiente, inclusa la deificazione di Madre Natura con riti mediatici e consumisti in onore di quel pianeta edenico tramontato già al tempo di Adamo ed Eva, quando l’agricoltura sostituì l’economia dei raccoglitori-cacciatori. Charbonneau ha pubblicato “Il Giardino di Babilonia”, saggio che da sinistra apocalizza il credo del post socialismo piddino, quello dei “diritti civili” assunti come unica forma della politica, dopo che l’economia mista della socialdemocrazia post-sovietica si è dimostrata fallimentare rispetto al libero mercato del post-capitalismo liberale.
La prefazione e la post-fazione del “Giardino di Babilonia” (dove per Babilonia si intende la società neo/post borghese) sono un meraviglioso controsenso. La prefazione è a cura di Goffredo Fofi, ex Lotta Continua che si è occupato di cinema, ambiente e lotta di classe, senza assorbire quel socialismo pariolino che d'estate partecipa ai convegni intellò-ambientaltristi della Capalbio che non vuole né autostrade né rigassificatori, e nemmeno le classiche cameriere (come ricorda Guia Soncini, oggi la dizione politicamente corretta per “cameriera” è “la-donna-che-mi-aiuta-per-le-pulizie”).
La postfazione è a cura Serge Latouche, una delle efelidi della non molto gloriosa scienza economica francese. Latouche negli anni Novanta predicò (sembra un millennio fa) una fanfaluca così co(s)mica da sembrare fantozziana, – “Breve trattato sulla decrescita serena -Come sopravvivere allo sviluppo” – che, grazie al successo editoriale, con altri suoi testi, gli valse la nomina a professore emerito di Scienze economiche all’Università “Paris Sud-Saclay”. Certo che al confronto Vladimir Putin meriterebbe una trentina di Nobel e la nomina a Beato da parte del papato, visto che ha contribuito a realizzare perfettamente i desiderata di Latouche, a partire dalla feroce opposizione alla “Occidentalizzazione del mondo”, sempre in nome della decrescita “felice”, e continuando con titoli di questa attualità “Come si esce dalla società dei consumi”.
Ebbene, nonostante queste matrici marxiste-dorotee, Bernard Charbonneau riesce a costruire una perfetta critica al Beau monde ambiental-animalista di sinistra (ma anche di destra: si ricordi Michela Vittoria Brambilla, ex ministra per il Turismo nel Governo Berlusconi IV e sottosegretaria alla presidenza del Consiglio, poi presidente e fondatrice della Lega italiana difesa Animali e Ambiente). Anche se usa categorie marxiste classiche, Charbonneau sembra parlare proprio ai biocyberdroidi che si scagliano in difesa di cinghiali e gabbiani e che sono devoti a san Mario Tozzi e a santa Licia Colò: “Nella società borghese la natura rientra nell’ordine del lusso”. La “natura” secondo Charbonneau, rientra nel novero delle esperienze da fare o, come meritoriamente e coraggiosamente ricorda Davide Brullo sul Venerdì di Repubblica – numero 1796 – è un “mero atto culturale da studiare, fotografare, colonizzare”. Charbonneau dice anche che “liquidare la natura sul piano della cultura permette di distruggerla senza smettere di amarla”. Brullo incalza, parlando della nuova sottospecie umana, ovvero del “turista che si bea dei mari a patto di non essere irritato dalle meduse, che sogna un’India senza insetti, un’Amazzonia fotogenica, bene educata, pulita, profumata e protetta”, anzi schiava perché deve ubbidire ai suoi filantropi. Ma una natura che non reca danno ma pio conforto è snaturata. Aggiungerei che, per meglio capire cosa si intende per “natura” oggi, più che rileggere le dure accuse dei Romantici alla Giacomo Leopardi contro la Natura matrigna o i romanzi di Cormac McCarthy, bisognerebbe capire la differenza tra la scientificità ancora linneiana dei documentari di David Attenborough o di Piero Angela a confronto con la natura oggi descritta nei sussidiari delle scuole elementari, e con quella già fiabesca/artificiale che ieri veniva disegnata da Walt Disney, adesso rieditata dai vari Disney World.
Ha ragione Charbonneau anche quando critica le città, e a partire da quelle non alt-right, quelle smart che stanno dalla parte giusta, al cui ingresso stradale sono apposti cartelli come “città denuclearizzata”, quelle dove la nuova classe aristocratica e socialista si droga di costosi cibi biologici e di costosi pannelli fotovoltaici con pompa di calore, forse prodotti in Cina con “l’aiuto” di oppositori politici o religiosi condannati ai lavori forzati (Pechino dirà “gli uomini che ci aiutano per le fabbriche”, imitando le ipocrisie polcorr delle massaie della Alta Società postsocialista?).
Quelle città così lisce e levigate, dove i “diversi” sono tollerati ma i rom sono spariti più che nelle città alt-right, sono le più distanti dalle giungle e dai temporali. Come si diceva una volta, servirebbe praticare di più quell’antico epiteto andate a zappar, per capire cosa è “madre natura”, ovvero una cosa meravigliosa che a volte però – come la vita – può diventare una tremenda strega.
(*) Bernard Charbonneau, “Il Giardino di Babilonia”, Edizioni degli Animali, 25 euro
di Paolo Della Sala