L’uomo estetico

venerdì 26 agosto 2022


Epoca della Razionalità, il Settecento: illuminista, cosmpolita. Tutti razionali, tutti si intendono essendo tutti razionali. Fraternità nella razionalità condivisa. E le passioni, le emozioni, il sentire? Pazzia, irrazionalità. E la storia di una specifica Nazione differenziata da un’altra? Mai più. La nazione mondiale, razionale, nell’intesa della razionalità. E le varie religioni? Superstizioni. E la Natura? Buona, armoniosa, finalizzata.

La Borghesia si dava questo splendore fondativo del commercio mondiale e della diffusione della macchina (industria), esempio netto di razionalità strumentale. Ovviamente, la libertà era sottomano della ragione. Immanuel Kant strappava alla morale la compassione e, all’arte, l’immedesimazione emozionale. L’arte diventava un libero gioco creativo che forniva una contemplazione rassicurata. Se un quadro era sconvolgente, che disturbo ne avevo? Un quadro-non realtà. Tutto questo infranse barriere, limiti, localismi micragnosi.

Ma l’uomo è anche un animale e la natura è una fioritura in tumulto. E taluni pensatori di un uomo siffatto non ebbero riguardo. Oltre Johann Gottlieb Fichte, che scatena l’individuo ed esalta l’intellettuale nazionale non cosmopolita. Altri, molti, si scatenarono contro l’uomo soltanto razionale, contro una natura finalizzata e/o meccanicistica, contro la negazione (a parole) della Nazione. E l’arte ricondotta a gioco della mente che armonizza l’insieme e dà il piacere dell’armonia. Tra costoro, Johann Georg Hamann, Johann Gottfried Herder meritano considerazione. Accanto a molti, ripeto, anti-illuministi e pre-romantici. Con differenziazioni, tutti negano alla sola ragione di assolutizzare il primato. Non basta dirsi a favore della ragione per stabilire il giusto valore, la giusta scelta.

Hamann stabilisce una obiezione sostanziale: l’uomo è una entità essenzialmente espressiva e l’espressività dell’uomo si adempie in forme figurative, emozionali, oscure, soprattutto gravate del sentire. Vi è di certo un contributo di Giambattista Vico, è la poesia (l’arte) la primogenitura espressiva dell’uomo, carica di sentire. Oltrepassare questa situazione, diventando razionali, non sarebbe e non è una conquista. Herder, a sua volta, dilaga. Nega ogni cosmopolitismo, esige la fedeltà alla lingua nazionale e alla Nazione. Rende l’arte il solo modo per conservare la sensibilità. Teme la perdita dell’identità attraverso le emigrazioni e le immigrazioni. Paventa un uomo generico, infedele alla propria storia e senza storia, un cittadino del non si sa dove e, soprattutto, indifferente alla mancanza del sentire non avendo alcunché di proprio. Quindi senza individualità, perché l’individualità è nel sentire. Il sentire individualizza, mantiene la vita e la soggettività.

Invece l’arte mi fa sentire la vita. Non l’arte come manifestazione dello spirito soggettivo (Georg Wilhelm Friedrich Hegel) ma l’arte come persistenza del sentire racchiuso nell’espressione, l’espressione che mantiene la vita (il sentire). Ma di certo è Friedrich Schelling a rilevare massimamente il modo di salvare l’uomo dalla razionalità devitalizzata. Schelling comprese che lo Spirito e la Natura rischiavano una separazione mortale (con diverse cause è il rischio odierno). Pone entrambi nell’Assoluto. E cerca di farli incontrare. Innanzitutto, nega che la Natura sia soltanto oggetto, e per di più con funzionalità meccanicistica, rifacendosi a Giordano Bruno. Rende viva la Natura, e, colpo di teatro, come e chi mantiene all’interno, reca all’interno dello Spirito la Natura, rendendo lo Spirito vivo, senziente?

L’arte, l’artista. Ci voleva. Altrimenti, l’uomo diventa un animale conoscitore o calcolatore. Ma no, è un animale espressivo senziente. No, non sarà. Non è facile mantenere questo soggetto, l’uomo, come espressivo senziente. Oggi meno che mai. Bisogna lottare. L’uomo estetico espressivo senziente.


di Ant.Sac.