Johann Gottlieb Fichte: la missione dell’intellettuale

giovedì 25 agosto 2022


Sebbene denominata epoca napoleonica, la fine del XVIII e l’inizio del XIX secolo, con giustificate ragioni dovute alla personalità e ai compimenti di Napoleone, è la Germania, quantunque non resa nazione/Stato, a segnare l’epoca.

Quella Germania pose le problematiche della modernità nel modo più estremizzato: il valore dell’individuo in relazione allo Stato (Nazione), la “vita” in contrapposizione all’intellettualismo e alla stessa scienza, la Grecia quale identità europea (più del Cristianesimo? Fu un dilemma). Con disinvolta proposizione, diremmo che la Germania sostituisce l’Inghilterra e la Francia nel dominio dell’investigazione, con l’estremismo specifico dei tedeschi, che amano tanto i greci (i romani e gli italiani) perché non sono greci e mancano della levità greco-italiana.

Non bastò a Johann Gottlieb Fichte che l’uomo organizzasse e categorizzasse la realtà! Compì un salto pindarico: l’uomo “crea” la realtà e la crea per affermarsi. L’Io pone se stesso. Ma porre se stesso senza altro che se stesso è stare nel vuoto, brancolare alla cieca in stanze prive di muri. Dunque, l’Io si fa Dio di se stesso: crea l’oggetto. L’Io ha un oggetto non solo da conoscere ma da “superare”! Certo, da superare, perché l’Io non subisce catene: si mette alla prova, sfida, supera continuamente. Ha posto un oggetto, lo conosce. Subito un nuovo oggeto e non si quieta. Io/Non Io/Cognizione/Superamento.

Una scoperta sensazionale: l’uomo non si limita a conoscere (Immanuel Kant), l’uomo crea la realtà. La realtà è un ostacolo da sormontare perennemente. La borghesia aspettò decenni per ritrovare, nel linguaggio materialistico di Karl Marx quanto Fichte esaltava in forme idealistiche. La concezione avrà svolgimenti. Indubbiamente, risente del Faust di Johann Wolfgang von Goethe, l’indomito operare. E si inoltrerà, in forma capovolta, in Arthur Schopenhauer, che vede in questa arsura di compimenti una insoddisfazione irrimediabile o, peggio, la noia da momentanea soddisfazione. Culminerà in Friedrich Nietzsche che spezzerà ogni cautela morale di superamento come perfezionamento. In Nietzsche il superamento diverrà la potenza illimitata che ha in sé la “sua” morale. La morale della potenza, ciò che è potente è morale secondo la morale della potenza al di sopra della morale comune (della separazione tra bene e male). Echi flebili ma con il solito linguaggio neo-arcano li avremo in Martin Heidegger.

Dunque, Fichte è un “individualista”? No. Questo appassionato sostenitore dell’Io sta nell’ambito della Nazione. Nobilitarsi come individui per nobilitare la Nazione! La Germania sopra gli altri sia come individui, sia come Nazione (perfino Nietzsche, che viene considerato individualista, al contrario, concepiva la “casta”, che è l’aspetto aristocratico della Nazione, al modo induista, e, pure, greco, ne diremo; il non leggere gli Autori ma i commentatori degli Autori secondo una disgraziata ermeneutica dell’interpretazione degli interpreti perpetua colonnata di sbagli, considerare Marx un teorico dell’uguaglianza, dallo stesso Marx avversatissima. Addirittura, Marx è più ostile di Nietzsche verso il comunismo egualitarista da lui definito “comunismo dell’invidia! ).

Dunque: Io e Nazione, Nazione tedesca da contrapporre alla Nazione per eccellenza a quel tempo, la Francia. Mai ridurre tale gara alla guerra: era uno scontro di chi alza lo Spirito, la Cultura, la Scienza, la Filosofia. Certo, a ogni costo. “Meglio la morte che la mediocrizzazione” (lo dice Nietzsche ma è in Fichte e in Marx). Il “Dotto” aveva questa missione. I tedeschi hanno pressoché sempre coltivato il sentimento di valere e farsi valere, talvolta in forme peggiori che bestiali, spesso in forme da stimare, al punto che “oggi” se l’Europa reggerà lo dobbiamo al residuo del nazionalismo tedesco (un discorso in altra sede).

Pensiero, superamento, superiorità, individuo, Nazione, Stato. Non c’è un punto di arrivo. La vita è una corsa verso una meta nell’infinito intangibile? Georg Wilhelm Friedrich Hegel inorridiva. Occorre un valore finale. Heidegger confonde la fine (la morte) con il fine (come vivere in un valore certo, supremo). Ma la Grecia soccorreva. Soccorre, l’arte. Nel vivere, che è la situazione più fortunosa, strabiliante, amatissima vi è la manifestazione che scaglia al vento ogni altra espressione. Essa, incredibilmente, fa vivere la vita che viviamo trasferendola in espressione.

È questa metamorfosi l’attributo che connota l’uomo da ogni esistente: l’arte. I tedeschi si gettarono su di essa (la Grecia, l’Italia) come se avessero trovato l’eternità. Giusto. L’arte salva per sempre il “sentire”. Contemporanei di Fichte lo proclamarono. A parte Goethe, Johann Gottfried Herder, Johann Georg Hamann resero l’arte il valore finale. L’arte giustifica la vita in quanto la mantiene in vita “sensibilmente”. È Friedrich Schelling a comprenderlo, e ha bisogno di un luogo tutto suo.

Se perdiamo “questo” valore finale, l’esprimere per risentire la vita, vivere per esprimere e sentire, se non salviamo il sentire da risentire, la vita che vive se stessa e si mantiene viva esprimendosi sensibilmente non solo concettualmente o utilitaristicamente, basta… l’Europa è finita. E non possiamo essere tutelati da chi non ha “questi” valori. Non ci salverebbe. Occorre fare un discorso alla “Nazione” europea!

Johann Gottlieb Fichte nato nel 1762, a Rammenau, in Prussia. Di famiglia contadina, poverissima, fortunosamente è tenuto in considerazione da un benestante, che gli consente di studiare. Fichte scorrerà l’esistenza a insegnare, pervenendo a incarichi superiori e a affrontando traversie, accusato di ateismo in quanto poneva la religione sotto i limiti e nell’ambito della ragione, scostandola dalla fede.

Immanuel Kant ne respinse la devozione. L’uomo che conosce e ordina ignorando in sé, il noumeno, non aveva somiglianza con l’Io che pone il non Io.  Fichte rendeva l’Io non soltanto creatore ma il vero noumeno, la realtà vera era costituita dall’Io. Suppongo che il disciplinato, misurato Kant giudicasse questa tesi di un Io scatenato una schizofrenia da incatenare, una contaminazione tra pensiero e realtà. Per Fichte, l’aspetto morale dell’intellettuale è fondamentale. Il “Dotto” ha compiti educativi, non solo informativi.

Come accennato, formare il cittadino è la missione dell’intellettuale, il cittadino è colui che eleva la Nazione e se stesso. Come per tutti i tedeschi, tranne forse i sovrani, da tali personalità possiamo strappare il razzista, l’immoralista, l’imperialista o il fautore di un rispetto dell’uomo come fine all’uomo, della pace, della Grecia e della vita estetica.

Vale la necessità di aggiungere che “oggi” l’Europa può continuare a esistere, se il nazionalismo tedesco ritrova nella sua volontà di salvarsi. Oggi la salvezza della Germania è quella dell’Europa. E la Germania, salvandosi, può salvare l’Europa. La catastrofe verrebbe da un “si salvi chi può” tra le nazioni europee. La missione dell’intellettuale è salvare l’Europa. Da sé, in sé, per sé.

Fichte morì nel 1814: meno celebrato di Hegel, ha una influenza serpeggiativa. Non soltanto nell’Idealismo ma anche nell’Esistenzialismo.


di Antonio Saccà