Salvatore Dino e il futuro delle imprese

martedì 23 agosto 2022


È morto Salvatore Dino, editore e imprenditore. Aveva un “progetto”, lo chiamava in tal modo. All’inizio veniva da Ugo Spirito, poi da Luigi Zampetti, infine da me. Ugo Spirito aveva pubblicato con Dino il testo La rivoluzione in Iran. Dino era in contatti amichevoli con lo Scià Reza Pahlavi, che intendeva modernizzare il suo Paese, anche se in modi verticali e Spirito tracciò un andamento di economia mista Stato/privati dettagliato, in ogni campo.

Il testo fu diffuso in migliaia e migliaia di copie, ma gli avvenimenti della sollevazione integralista islamica misero fine alla trasformazione. Dino rimase in contatto con lo Scià, la cui sorella fu sua ospite e anche Farah Diba, che era persona del tutto europea, anche nell’abbigliamento. Successivamente il “progetto” prese forma da Pierluigi Zampetti, docente cattolico. Zampetti era un convinto teorico della “partecipazione” agli utili e pubblicò per Dino dei testi a riguardo. Non ero e non sono della stessa opinione e pubblicai, con Dino. “Lavoratore imprenditore”, nel quale prospettavo la proprietà completa dei lavoratori dell’impresa non con l’esclusione della impresa del proprietario privato tradizionale, ma coesistendo.

I progressi tecnologici, la produttività elevata, l’automazione rendevano e rendono, per me, inevitabile anche l’auto-occupazione dei lavoratori, non esclusiva. Due possibilità (o altre) di impresa: l’imprenditore privato e i lavoratori imprenditori.

Nella fantastica villa sull’Appia Antica che Dino accresceva, direi, quotidianamente attivammo incontri culturali. Venivano tutti, da Domenico Fisichella a Maurizio Gasparri, Rocco Buttiglione, Umberto Capuzzo, Nicola Abbagnano, Vittorio Mathieu, Battista Mondin, teologo internazionale, Augusto Del Noce, vari cardinali, Doddis, presidente delle Pmi, Gustavo Selva, Franz Maria D’Asaro, Francesco Grisi, Fausto Gianfranceschi, Lando Buzzanca, Giulio Maceratini.

Io curai di fatto una collana, Ragione e Tempo. Vi pubblicarono dei testi Abbagnano, Buttiglione, Mathieu, Aldo Di Lello, Capuzzo, io stesso. Conobbi Salvatore Dino nel 1980, avevo già collaborato con un testo riguardante il Pontefice Giovanni Paolo II, curato da Francesco Mercadante, mi pare. Fu Grisi che mi chiese di accompagnarlo da Dino, in una villetta in stile Liberty, vetrate colorate, statuette greche. Da quel momento, trascorso qualche mese dalla conoscenza, non ci fu giorno in cui non ci sentissimo.

Pubblicai un libro, “La Quarta Scelta”, che immaginava l’automazione e il dramma di una società in cui scompare il lavoro. Nel bene e nel male che questo evento avrebbe suscitato, scrissi le biografie di Karl Marx, Friedrich Nietzsche, Sigmund Freud, personalità essenziali per la cultura nella civiltà mondiale e segnatamente occidentale. Io ero, e sono, europeista “nazionale”. Scrissi “Europa o Morte”. Dino era legato agli Stati Uniti, segnatamente ai Repubblicani. Sue erano conoscenze con esponenti ragguardevoli statunitensi. Anche il trascorso ambasciatore persiano, Said Anzari, veniva spesso.

Oltre l’attività editoriale di cui ho accennato Dino svolgeva quella di editore di testi imponenti, enormi, raffigurati, con vestizione dorata, spesso, narrazioni biografiche di personalità mondiali da  Reza Pahlavi a Ronald Reagan a George Bush, padre. Aveva in programma un testo su Sadat, che venne ucciso mentre stava per iniziare la stampa. Il personaggio cruciale di queste edizioni d’arte fu Giovanni Paolo II. Credo di poter dire che erano amici. Dino lo andava a incontrare nello studio privato, talvolta con il figlio Salvatore junior.

Alle edizioni metteva mano anche il pittore Dante Ricci, ritrattista capace, commensale divertente, amico indimenticabile. Dino fu un esemplare di spirito imprenditoriale, un uomo di azione, con la capacità di rendere realtà i propri desideri, indomabile nella volontà affermativa con quel tanto di estroversione esibizionista che accende la voglia di fare per mostrarsi.

Uno stanzone della villa era tempestato di sue (e nostre) immagini. Da lunedì a venerdì andava in viaggio, dai suoi collezionisti, le sue opere avevano costi pesanti e molti seguaci. Tempi duri ne visse mai, perdendo volontà di fare. Ciò che realizzava lo immetteva nella villa: un albero, un tocco di giardino, un accrescimento di mobili, rendendola forse la più bella della via Appia Antica!

Per trentacinque anni, con una minima interruzione, ci vedevamo almeno una volta alla settimana, ci chiamavamo tutti i giorni. Il sabato, crollasse il cielo, al ristorante, quasi sempre Il Matriciano in via Germanico. Domenica, spesso, in villa. I figli li ho visti nascere, dal matrimonio con Eva, tedesca biondissima (Dino Junior, Chiara, Rachele), poi dal matrimonio con Livia, brunissima italiana (Benito, Alessandro). Teneva all’abbigliamento, fazzoletti da taschino spumeggianti, cravatte con nodi grossi, tutto a sfarzo di colori, altezza sulla media, sportivo, viso fermo, reciso. Quante passeggiate nel parco della sua villa, quante donchisciottate, eppure quante realizzazioni. Usava automobili supreme: Rolls Royce, Ferrari. Quest’ultima mi sgomentava: quando scattava, pareva un decollo tuonante di un aereo.

Che una personalità così attuativa sparisca è una vera mancanza. Da anni non stava bene. Io a sentirlo, a vederlo l’uomo che non era colui con il quale scambiavo circuiti elettrici, mi immalinconivo e non ressi a incontrarlo. Mi dispiace senza rimedio. Era stato, era e resterà un amico. E do alla parola il significato proprio, antico. Una mancanza. Voleva vivere e visse per lasciare un segno. I libri, il nostro “progetto” non tramonteranno facilmente. Anzi si attualizza oggi massimamente.

È nota la contraddizione ipotizzata dai teorici del XIX secolo, l’automazione sostitutiva del lavoro umano. Questo fenomeno, inevitabile, susciterà difficoltà impeditive, meno soggetti verranno impiegati. Il che crea problemi di consumo: i soggetti senza lavoro non possono consumare, e tutto questo, incredibilmente, nel momento i cui aumenta la produttività.

Le sperimentazioni che stiamo vivendo: soccorsi, bonifici, aiuti, reddito a chi non lavora mostreranno la loro insufficienza d’accatto. E la loro reale motivazione, dare per certa la disoccupazione di massa, ma non risolvono. L’ipotesi di lavoratori-imprenditori, i quali stabiliscono collettivamente orari di lavoro secondo lo scopo della sussistenza della impresa: salari, profitti, orari, potrebbe favorire l’occupazione perché ha come fine l’occupazione!

Il capitalista del profitto, poichè tiene al massimo profitto licenzia, se le macchine gli forniscono, maggior profitto con meno occupazione. Certo, può esistere un munifico imprenditore che sceglie un minore profitto per una maggiore occupazione, ad esempio riducendo l’orario di lavoro. Ma siamo nella rarità. L’impresa del massimo profitto con meno lavoratori e più macchine sarebbe avvantaggiata nella concorrenza e l’impresa di lavoratori che cercano di tutelare la massima occupazione sarebbe destinata al fallimento competitivo? Non saprei. In quanto non ha come scopo il massimo profitto, potrebbe mantenere una minore ricchezza ma una più diffusa occupazione, l’impresa dei lavoratori!

Ovviamente sono problematiche. L’idea dei lavoratori-imprenditori oggi è assolutamente da valutare. Del resto, il percorso attuale è sbarrato, l’automazione porrà dilemmi di occupazione /consumo in tempi iper-produttivi che, continuando al modo presente, suscitano “soluzioni” micidiali: diminuzione dell’umanità secondo la concezione che l’uomo deve vivere in piccoli nuclei associati o l’altra ipotesi, esposta in  programmi di Focus, nei quali si documenterebbe che l’epoca glaciale la quale presso che mise fine alla vita quando cessò sortì da organismi monocellulari a organismi pluricellulari. Insomma, la catastrofe atomica permetterebbe ai sopravvissuti di vivere, in piccoli gruppi, concezione erratissima perché avremmo l’inverno nucleare mortale assolutamente.

Abbiamo deserti infiniti, una campagna illimitata. Abbiamo soprattutto la fusione nucleare, pianeti colonizzabili. Dare consumi e lavoro a miliardi di persone che ancora muoiono di penuria. Certo, occorre cambiare l’assetto produttivo. Pensiamo a quest’ultimo evento, non che vi sia un’epoca di automazione iper-produttiva scemando la presenza umana! Di questo bisogno di innovazione nell’assetto produttivo parlammo, decenni, con Salvatore Dino. Che strano, non c’è ma da giorni mi sembra effettivamente di passeggiare e ripasseggiare nel parco della villa. Niente, non riesco né voglio convincermi che sia morto. Un uomo così operoso, così al posto che gli era appropriato: vivere!


di Antonio Saccà