Mary J. Blige e la creazione dell’Hip hop soul

giovedì 28 luglio 2022


Con il suo debutto a dir poco all’avanguardia, Mary J. Blige diventa la regina di una categoria musicale da lei ibridata: l’Hip hop soul. L’eloquenza e il tono evocativo della sua voce è difficile da riprodurre, così unico da scoraggiare gli eventuali imitatori. What’s the 411?, uscito precisamente trent’anni fa, è uno degli album più freschi ed esplosivi degli anni Novanta, una lezione di Mary J. sull’abilità vocale.

I pezzi Real Love e lo pseudo-gospel Sweet Thing sono e rimarranno dei frammenti di anima soul che sembrano non subire il passare del tempo. You Remind Me e I Don’t Want to Do Anything (dettata con K-Ci) non sono da meno, colpendo l’ascoltatore quasi allo stesso modo. C’è da dire però che non è chiaro quanto dell’attitudine Hip hop di Blige sia farina del suo sacco o dei produttori che hanno contribuito in What’s the 411? (tra cui Sean “Puffy” Combs, Dave Hall, DeVante Swing, il beatmaker Tony Dofat e il rapper Grand Puba).

La cantante vuole apparire “vera” – come si direbbe oggi vantando una ricercata credibilità di strada, essendo l’Hip hop nato dal cemento delle case popolari del Bronx. C’è da dire però che l’album di debutto della newyorkese è l’unico che presenta così forti influenze rap, con perfino delle “barre” rimate nella title track. Col senno di poi è decisamente più facile trovare i punti deboli di What’s the 411?, come gli inflazionati intermezzi che simulano una segreteria telefonica o la piattezza di alcune produzioni piene di sintetizzatori e poco organiche, che non rendono giustizia ai potenti riadattamenti dal vivo di quest’ultime.

Tirando le somme, chi preferisce un soul più umile e “suonato” apprezzerà sicuramente My Life – il secondo album di Mary J. Blige – più del predecessore. What’s the 411? però resta senza ombra di dubbio l’album più significativo per la carriera della cantante, per la sua consistenza, per aver raggiunto un ampio numero di ascoltatori e per aver nobilitato, insieme ai grandi dell’Hip hop, la musica “degli ultimi”.


di Edoardo Falzon