Giorgio Del Vecchio: scopo dello stato è attuare la giustizia

martedì 26 luglio 2022


In anni di incontrastato positivismo, la pubblicazione in successione di tre opere di Giorgio Del Vecchio, I presupposti filosofici della nozione del diritto (1905), Il concetto del diritto (1906), Il concetto della natura e il principio del diritto (1908), sconvolse il mondo degli studi filosofico– giuridici italiani. Al suo interno fermenti antipositivistici covavano, ma non trovavano la via per svilupparsi, mentre molti positivisti si risvegliarono da quello che si potrebbe chiamare kantianamente il loro sonno dogmatico. Ebbe inizio in Italia – così come in Germania con R. Stammler – quel capovolgimento dell’impostazione del problema filosofico del diritto, che vedrà quest’ultimo osservato non dalla parte dell’oggetto, come fenomeno che il pensiero passivamente conosce, bensì dalla parte del soggetto.

Giorgio Del Vecchio è rimasto sempre legato a Bologna, dove è nato il 26 agosto 1878, fino alla morte avvenuta nel 1970, tanto da interessarsi da ultimo anche della storia cittadina. Il trasferimento a Genova del padre – docente di statistica –, lo porta a laurearsi e a vivere in questa città, dove nel 1902 pubblica su Il Convito e sulla Rivista ligure di scienze lettere ed arti. Nello stesso periodo si dedica a due saggi scientifici, uno “L’evoluzione della ospitalità”, apparso sulla Rivista italiana di sociologia, e l’altro, “Il sentimento giuridico”, sulla Rivista italiana per le scienze giuridiche. Insegna Filosofia del diritto nel 1903 all’Università di Ferrara e pubblica Le dichiarazioni dei diritti dell’uomo e del cittadino nella rivoluzione francese.

Nel frattempo avvia alcune delle relazioni internazionali che caratterizzeranno la sua attività scientifica, frequentando l’Università di Berlino, dove conosce Lasson, Kohler e Paulsen. Nel 1906 viene chiamato presso l’Università di Sassari e successivamente, nel 1909, in quella di Messina; diventato ordinario, si trasferisce dall’Università di Messina a quella di Bologna, e nel 1920 a Roma. Nel 1905 scrive I presupposti filosofici della nozione del diritto, nel 1906 Il concetto del diritto e nel 1908 Il concetto della natura e il principio del diritto, raccolte successivamente nell’opera Presupposti, concetto e principio del diritto, denominata Trilogia nel 1959, apparsa in America già nel 1914 con il titolo unitario The formal bases of law, per la Boston Book Company, inserita nel 1921 nella The modern legal philosophy series.

Presupposti, concetto e principio del diritto rappresenta a pieno titolo il pensiero filosofico-giuridico di Del Vecchio: in esso egli definisce il diritto come “la coordinazione obiettiva delle azioni possibili tra più soggetti, secondo un principio etico che le determina, escludendone l’impedimento”. Gli studi su Kant e le riflessioni in un orizzonte di proiezione universale lo portano ad approfondire e ad avvicinare i neokantiani, che in Italia vede studiosi come Petrone, Bartolomei e Ravà. Il suo lavoro, in realtà, si muove tra idealità e prassi del diritto, nella ricerca costante di un’armonia che chiarifichi le distonie; l’ispirazione a Kant lo fa assimilare alla Scuola di Marburgo, mentre l’attenzione all’idealismo tedesco lo porta a criticare, in modo metodico, sia il positivismo filosofico che quello giuridico.

Alla filosofia del diritto Del Vecchio pone un problema preliminare: quello della possibilità della determinazione del concetto del diritto. È questa la prima delle tre ricerche proprie, come già avevano ritenuto Vanni e Petrone, della filosofia del diritto, la ricerca logica, quella fenomenologica, e quella deontologica.

Alla ricerca logica devono accompagnarsi secondo Del Vecchio quelle fenomenologica e deontologica. La ricerca fenomenologica, studio misto di filosofia della storia del diritto e di sociologia giuridica, non è fra gli aspetti più significativi del suo pensiero: essa dovrebbe consistere nella determinazione delle linee generali dello svolgimento storico del diritto, che dimostrerebbero la tendenza degli ordinamenti giuridici positivi a una progressiva adeguazione all’ideale della giustizia, in quanto nel corso del tempo emergerebbero, sarebbero riconosciute, e a poco a poco si attuerebbero le prerogative essenziali della persona umana.

Questo fine che Del Vecchio riconosce nello svolgimento storico del diritto – o piuttosto assegna a esso – indica quale sia la sua prospettiva riguardo al problema “deontologico”, ossia di ciò che il diritto dovrebbe essere: in altre parole, al problema della giustizia. In questa materia, da un’iniziale posizione kantiana Del Vecchio via via si avvicina a quella del giusnaturalismo cattolico: mediante l’attribuzione di un significato sempre meno formale e più contenutistico del concetto di persona. Del Vecchio dichiara “legge etica fondamentale” il dovere di operare “non come mezzo o veicolo delle forze della natura, ma come essere autonomo, avente la qualità di principio e fine…, non come individuo empirico (homo phaenomenon), determinato da passioni e affezioni fisiche, ma come io razionale (homo noumenon), indipendente da esse”. Il concetto, e la stessa terminologia, sono kantiani, e del resto il richiamo al Kant è esplicito.

Nel campo “dell’etica oggettiva”, ossia del diritto, da questa concezione della natura (nel senso di essenza) dell’uomo, discende logicamente il diritto soggettivo a non essere costretto ad accettare un rapporto con altri che non dipenda anche dalla propria determinazione; e questo diritto soggettivo costituisce il “principio, o idea– limite, di un diritto proprio universalmente della persona, insito in essa e non esauribile mai in alcun rapporto concreto di convivenza”.

Del Vecchio non esita a chiamare tale diritto “diritto naturale”, considerandolo “anteriore ad ogni applicazione e ad ogni rapporto sociale” – di cui esso è anzi la legge –, ed indipendentemente dal rispetto che un ordinamento giuridico positivo ne compia. Del Vecchio sostenne sempre, seguendo un giusnaturalismo che da quello kantiano andò avvicinandosi a quello tomistico, il limite al potere dello Stato costituito dai diritti naturali dell’individuo (o della “persona”).

Nella prospettiva ideale di uno “Stato di giustizia” la cui ragione prima è la tutela di tali diritti, egli respinge ogni teoria che ponga lo Stato al di sopra o al di fuori del limite giuridico costituito dalla sua intima ragione d’essere, l’attuazione della giustizia, in quanto solo da questa sua missione esso trae la propria autorità; anzi, di uno Stato che agisca in contrasto con la giustizia Del Vecchio giunge a parlare come di “Stato delinquente”. La giustizia è da lui affermata perciò “valida ed efficace anche contro un sistema giuridico positivamente vigente” quando questo contrasti irreparabilmente con le esigenze elementari della giustizia che sono le ragioni della sua validità: è legittima allora “la rivendicazione del diritto naturale contro il positivo che lo rinneghi”.

(*) Tratto dal Centro studi Rosario Livatino 


di Daniele Onori (*)