lunedì 25 luglio 2022
A 74 anni si è congedato dal mondo il professore, il Maestro, Luca Serianni. Unanimamente considerato uno dei più influenti linguisti italiani, grande filologo e accademico, per decenni ha insegnato Storia della lingua italiana all’Università di Roma La Sapienza. La morte è sopraggiunta pochi giorni un tragico incidente avvenuto nella sua Ostia: Serianni è stato investito, di buon mattino, mentre attraversava le strisce pedonali.
Dopo quest’ultima frase sarei tentato di scrivere ogni male possibile su chi guida in città come fosse in autostrada, su chi non rallenta e non si ferma, su chi schiva i pedoni come fossero oggetti insignificanti posti tra la loro macchina e la fretta patologica. Ma rischierei solamente di perdere un’occasione, preziosa e unica, per parlare di Luca Serianni. La biografia è accessibile a chiunque.
Porto il mio ricordo, recente e profondamente umano di Serianni. Solo pochi anni fa mi iscrissi a Lettere moderne: era l’ottobre del 2017 e per noi non c’era scampo al difficile corso di Linguistica storica di Serianni. Il professore era già ufficialmente in pensione, pochi mesi prima aveva tenuto – in un’Aula Magna gremita all’inverosimile – la sua lectio magistralis dal promettente titolo “Insegnare l’italiano nell’università e nella scuola”, ma decise di insegnare ancora un anno. E già ritengo il mio destino vagamente più buono con me, per avermi concesso questa incredibile possibilità.
Pochi giorni dopo l’inizio del corso, il 30 ottobre, venne il suo settantesimo genetliaco: decidemmo di fargli un bel disegno alla lavagna, e i colleghi mi chiesero di trattenerlo fuori dall’aula per terminare l’opera. Corsi verso le scale e fermai il professore con le domande più assurde: ricordo che abbiamo percorso pochi metri di corridoio in più di cinque minuti, con un compagno di corso che dalla porta dell’aula mi faceva segno di aspettare. Il professore aveva intuito il motivo del mio sequestro e si mise a ridere. Quello di Serianni era un sorriso timido, delicatamente impacciato; lui era magro, sempre elegante, con la giacca leggermente larga. Aveva uno sguardo penetrante, spesso severo, ma bastavano davvero poche parole per fargli cambiare volto. Alla fine, dovetti lasciarlo entrare e gli cantammo tutti “tanti auguri”. Lui, con un tono tra il serio e il sorpreso, esclamò: “Non vi si può proprio nascondere nulla!”.
Alle sue lezioni il padrone era il silenzio: accademico, religioso, quasi mistico, ma spesso interrotto dalle battute taglienti, mai banali, del professore. Tenne un meraviglioso corso su Francesco Petrarca. Un corso difficile, immenso, a tratti esasperante. Il giorno dell’esame ero molto emozionato e dimenticai quasi tutto: l’assistente mi interrogò su una parte del corso, rimproverandomi per la preparazione “discreta” e invitandomi a ritornare. Invece, tentai la seconda parte dell’esame, con il professor Serianni, e li feci poco di meglio. Lui mi chiese come fossi andato con l’assistente e io risposi: “Ehm, non bene”. Allora fece qualche calcolo a mente, scuotendo la testa e mi disse: “D’accordo, un 18 glielo posso dare”. Mi scusai, dicendogli che mi vergognavo di come fossi andato. Lui, mentre mi autografava un suo volume d’esame, disse: “Nella vita di certo non bisogna vergognarsi di un esame andato poco bene”. Gli strinsi la mano: quasi tremavo dall’emozione, lui rideva. Mi augurò buona vita.
È stata l’ultima volta che lo vidi. Negli anni sono rimasto in contatto con lui: alle mail, anche ai semplici auguri di Natale, rispondeva sempre con amicizia, gentilezza estrema e affetto discreto. È questo che tutti ricordano di Luca Serianni: prima del suo immenso talento da docente, prima dei suoi straordinari contributi allo studio delle discipline linguistiche e filologiche, prima ancora della sua influenza sui docenti e sugli studenti (ricordiamo tutti i suoi consigli per il tema di maturità, a cui anche io mi affidai pochi mesi prima di conoscerlo) ricorderemo la sua dolcezza geniale, la sua sempre viva attenzione e rispetto agli allievi, il fatto che ci fosse sempre, per ogni questione, per ogni confronto, per ogni riflessione.
Caro professore, caro Luca, nel vedere il declino della nostra cultura (che il tuo inguaribile ottimismo ripudiava) ti lascio con la più bella – a mio parere – frase di Dante, a cui hai dedicato i tuoi studi più importanti: “Nessun maggior dolore che ricordarsi del tempo felice nella miseria” (Inferno, V).
di Enrico Laurito