venerdì 8 luglio 2022
La vita secondo ragione, sorvegliata, diretta dalla ragione, Immauel Kant la svolge con le celeberrime Critica della ragion pura (che riguarda la conoscenza), Critica della ragion pratica (che riguarda la morale), Critica del giudizio (che riguarda la natura e l’arte). Niente si sottrae alla ragione, Kant è un pensatore sistematico, ripete Aristotele nel voler rendere coerente e intesa la totalità, mettendo da parte San Tommaso che è un sistematico ma all’interno della teologia.
Kant si occupa di tutto e vuole spiegare tutto a lume di ragione e che dice la ragione con riguardo alla conoscenza? Dice che non c’è conflitto tra l’esperienza e la ragione, occorre la divisione dei campi, vi sono attuazioni della conoscenza per le quali non ho bisogno di esperienza basta la ragione, che due sommato a due rende quattro è un risultato mentale incorrente di esperienza, tale giudizio mi accresce la conoscenza, Kant lo denomina “Giudizio sintetico a priori”, sintetico perché accrescitivo di conoscenza, a priori perché non bisognoso di sperimentazione, la ragione è sufficiente per sé.
Vi in altro giudizio a priori ma è analitico, non dà accresciuta conoscenza, se dico: A è A, non ho bisogno di conoscenza sperimentale, quindi è un giudizio a priori, ma non mi cresce la conoscenza quindi è analitico. Ma se dico: i gravi cadono, posso affermarlo solo sperimentandolo, quindi è un giudizio a posteriori, successivo all’esperienza, sintetico perché mi fa apprendere quanto prima non conoscevo. “Giudizio sintetico a posteriori”. In tal modo Kant concilia razionalismo ed empirismo, nessun conflitto, basta assegnare i campi di conoscenza, in taluni la ragione, i giudizi a priori (matematica, geometria), in altri occorre la esecuzione sperimentale (gli scettici greci negavano questa concezione).
Ma per Kant la mente umana è dotata di capacità organizzative idonee a mettere ordine, distinzione nella realtà che si presenta alla rinfusa. Mai! Kant è un tedesco disciplinato e disciplinante, prende la realtà com’è e la mette a posto come fosse un esercito. La mente razionale ha repulsione per il marasma della realtà confusionaria, Kant individua nella nostra mente stupefacenti mezzi per disciplinare la realtà ben spartendola, abbiamo le “categorie”, uno strumento di catalogazione dei fenomeni. E come categorizzo la realtà? Facilmente. Se dico, tutti, pochi, categorizzo la realtà secondo il criterio della Quantità; se dico una bella ragazza, categorizzo secondo la Qualità; se dico: questo e quello, categorizzo secondo la categoria della relazione; se dico quello provocato da quell’altro valuto secondo la causalità. Kant divide ulteriormente ogni categoria, ma sono determinazioni secondarie. Con i giudizi e le categorie la mente può avere cognizione della realtà organizzandola. La mente? E noi siamo la “mente”? Noi siamo “Io”, categorie e giudizi fanno capo ad un io, a singoli individui, il soggetto personale al quale si intestano giudizi e categorie.
Dunque, ciascuno di noi va in giro con il suo proprio “Io”, le sue categorie, i suoi giudizi a priori e a posteriori e valuta, ordina, associa, conosce ordinatamente. Illusi! Mi dispiace, ma non è così. Infatti: sono “io” a conoscere la realtà con la “mia” mente, quindi conosco la realtà mentalizzata, le sensazioni delle cose da me organizzate, io non sono dentro le cose né le cose sono dentro di me. Esisterebbe una realtà sostanziale da noi inafferrabile che ci fornisce sensazioni che noi ordiniamo e giudichiamo ma ci è impossibile entrare nelle “cose”.
Non basta, addirittura non soltanto non conosciamo la realtà in sé ma vi sono realtà oltre la mente ed ogni conoscenza, Dio (Kant critica sia la prova ontologica sia le prove di Tommaso, se ne dirà); realtà fuori da ogni comprensione, il mondo; inoltre, l’Io non può conoscere l’Io. La ragione conosce, conosce, conosce, e che conosce? Conosce soprattutto i propri limiti. Dio, il mondo, l’Io si sottraggono alla conoscenza. È così? Che delusione! Tanta ragione per nulla. Non è così. Kant è un filoso di nomenclatura poliziesca. Risolve il mistero alla prossima “Ragione”. Quella “pratica”. È il valore narrativo della filosofia, trame, vicende, intrighi. Chi si stancherebbe?
di Antonio Saccà