Thomas Hobbes, Francesco Bacone e Noi

lunedì 13 giugno 2022


La razionalità, la proprietà razionale che ciascun uomo ha in modo da reggere se stesso essendo appunto razionale, non si traduce inevitabilmente nella libertà, in quanto essendo l’individuo razionale ha la capacità di gestirsi. Può avvenire ed è avvenuto che la razionalità divenga o presuma di diventare un’attribuzione dello Stato o di una parte, una minoranza perfino, la quale si presenta come razionale e in diritto di guidare la società intera. Questo avvenne nella Rivoluzione Francese particolarmente nella mentalità giacobina e in certe formulazioni specifiche di Jean-Jacques Rousseau. Nel periodo in cui si afferma il Razionalismo e in ogni caso la capacità dell’uomo di aver fiducia in sé stesso e di gestire equilibratamente la propria volontà, quindi la libertà, vi furono concezioni di segno opposto, le quali non avevano fiducia nella capacità dell’uomo di orientarsi disciplinatamente e convivere.

Tutt’altro. Queste concezioni fanno capo specialmente sia al pessimismo religioso sia al pessimismo ateo. In ogni caso ad un orientamento non considera effettiva positivamente la volontà dell’uomo di convivere con l’uomo. Nello stato di natura, che alcuni nei secoli sedicesimo e diciassettesimo valutavano in modo ottimistico, altri valutavano in modo desolante, ritenendo che in questo l’uomo è nemico dell’uomo, e soprattutto cerca di appropriarsi dell’altrui, entrando in conflitto. Nello stato di natura esisterebbe una specie di comunismo della rapina vicendevole: il tuo può essere mio, il mio può essere tuo, secondo la forza che esercito. Non vi è la garanzia della proprietà, non vi è una forza superiore che garantisca la proprietà al di là degli individui.

è dunque necessario che questa forza vi sia, per impedire la reciproca rapina della guerra perpetua. Questa forza superiore è quella del sovrano, il quale impone la difesa della proprietà, elimina il comunismo furtivo (quello che è tuo può essere mio) e mette ordine. Per evitare il conflitto interno e per tutelare la proprietà, il cittadino rinuncia alla libertà, o la mantiene in forma innocua come dice esplicitamente Thomas Hobbes (1588/1679), di cui abbiamo esposto le concezioni. La guerra che tuttavia è insita nell’uomo, si sposta all’esterno, contro gli altri paesi, e rende unito il paese che lotta contro gli altri paesi. La guerra è un fondamentale mezzo per unificare un paese e associarlo avverso il nemico comune.

Difesa della proprietà e guerra all’esterno sono ritrovati per stabilizzare la società, dare ordine, garantire che il cittadino può godere dei suoi beni senza temere il prossimo al proprio interno. Evidentemente sono ritrovati, astuzie diciamo. In questa maniera si garantisce la proprietà di chi la ha, contro chi non la ha, e nello stesso tempo si garantisce la difesa di chi padroneggia, contro il nemico esterno, obbligando il popolo, magari sottomesso all’interno, a fare lega con i padroni, i proprietari, le classi dominanti, in nome del comune interesse nazionale. Sono elementi che ritroveremo ripetuti in circostanze che vanno al di là dell’epoca di Hobbes, ossia della nascita e affermazione della monarchia assoluta. In ogni circostanza problematica, difficile, le società ricorrono a questi accorgimenti.

In nome dell’ordine non intaccare la proprietà, e in nome dell’unità interna volgere il conflitto contro il nemico esterno. In tal modo la proprietà di occhi a diventa l’elemento da salvare, da tutelare, da proteggere, addirittura da parte di chi non ha, sfumando la libertà critica perché susciterebbe disordine, indebolirebbe l’unità, favorirebbe il nemico. Sono teorie, ripeto, che si riaffermano in modalità aggiornata ma che tendono a stabilizzare le società ricorrendo a un autoritarismo che cerca di nobilitarsi in quanto difenderebbe la sicurezza, l’ordine, e magari la salute, e magari la proprietà, e qualsiasi bene, che però viene tutelato riducendo il cittadino un esecutore di determinazioni statali, rendendo l’opinione critica fonte di disordine interno e favorevole al nemico esterno, e considerando ogni lamento di chi vive male una pretesa anti proprietaria.

Pressoché contemporaneo ad Hobbes fu un altro filosofo inglese Francesco Bacone (1561/1626). Bacone era un aristocratico, ebbe un’eccellente carriera politica, in un momento di sfortuna e addirittura di prigionia, decise di abbandonare la vita politica e dedicarsi maggiormente agli studi. È suo uno dei metodi di ricerca scientifica più radicali, determinato dalla certezza che bisognava eliminare le forme pregiudiziali della conoscenza, i difetti, le incrostazioni, o esattamente come li definisce, gli idola, che si frappongono tra l’osservatore e la realtà. Per Bacone l’uomo ha molti difetti nel rapporto con la realtà, sia perché è limitato naturalmente, sia perché usa un linguaggio improprio. Sicché bisogna eliminare questi difetti e passare all’osservazione della realtà in maniera nuda, senza pregiudizi incrostati, linguistici che siano, o di altro genere

È un tentativo che si ripeterà nella storia del pensiero, quando soprattutto si vuole rinnovare l’uomo e le concezioni come fu in quel tempo. Ma l’accostamento alla realtà denudata, senza pregiudizi soggettivi non è al modo di Galileo Galilei, ossia la verifica dell’esperimento, ma in forme più sostanziali e più qualitative. Bacone forgia delle tavole dove assegna le caratteristiche agli elementi secondo la presenza o l’assenza di un fenomeno e quel che hanno in comune, ad esempio: il sole e la luna hanno in comune la luce, ma non hanno in comune il calore, e questo per tutto ciò che esiste (tavola della presenza, tavola dell’assenza, tavola della comparazione). è un metodo del tutto qualitativo che più che altro ci dà quel che caratterizza un elemento, non la fenomenologia della natura come in Galileo Galilei, che forgia un metodo del tutto quantitativo, matematico. In ogni caso è un rilevante metodo di osservazione della natura e precisazione delle differenze degli elementi. Bacone è tra i massimi esponenti dell’utopismo. Percepì come nessuno gli incredibili risultati possibili della scienza, temendone gli effetti.

È il primo vero filosofo della scienza, degli effetti della scienza sull’umanità. Non soltanto di specifiche invenzioni ma di come la scienza dominerà il futuro, nelle esplicazioni tecniche operative, più che cognitive. Bacone ne è impressionato, non sempre e non del tutto favorevolmente. I grandi risultati della tecnica possono inorgoglire l’uomo al punto da renderlo esecutore trionfale della sua capacità attuativa di eventi strabilianti, compresa la distruzione. Sì, può accadere anche questo, che l’orgoglio umano di aver scoperto possenti mezzi annientativi può suggerire all’uomo di usarli per dimostrare quanto è potente (nel sapersi distruggere). Un Faust al contrario. Bacone anticipò questa stravagante concezione. “Io, uomo, sono perfino capace di annientare l’umanità. E ve lo dimostrerò.”

Tra i molti rischi che le società devono tenere in attenta difesa vi è lo stato che protegge l’ordine per non cambiare assetto e suscita il nemico esterno per distrarre dal nemico interno. Crea l’illusione che una crisi economica sia dovuta al nemico esterno e lascia come prima una società che dovrebbe essere cambiata e fa considerare pericoloso chi lo rileva, cercando di sminuire la libertà. È la scienza ridotta a tecnica e la tecnica rivolta all’accrescimento della potenza distruttiva. Hobbes, Bacone. Noi.


di Antonio Saccà