Madeleine Albright, la tenacia e la missione mondiale

mercoledì 30 marzo 2022


Come molte donne di successo, anche la Albright ha un passato giovanile complicato. Madeleine Korbel Albright, nata Marie Jana Korbelová nasce a Praga il 15 maggio 1937 e muore a Washington il 23 marzo 2022). Va fuori dal Paese di origine nel 1948. Si trasferisce in Inghilterra. Cerca di ritornare nel suo Paese di origine che cade sotto il regime comunista. La sua famiglia fa una deviazione e si trasferisce negli Stati Uniti. Gli studi sono brillanti. Insegna nelle università. Acquisisce una notevole competenza geopolitica nei settori mediorientali e del Nordafrica. I suoi modi sono autoritari e sbrigativi denotando una volontà durissima e inflessibile. È la più attenta realizzatrice di un nuovo ordine mondiale costruito sull’interventismo americano in tutte le zone della terra dove esiste un impedimento allo sviluppo degli interessi Usa nel mondo. Un “destino manifesto” sostenuto dai crescenti interventi della Nato e dell’Onu.

Il suo curriculum è eloquente. Rappresentante permanente alle Nazioni Unite. Segretario di Stato nel secondo mandato di Bill Clinton dal 1997 al 2001 è la prima donna americana a ricoprire tale incarico. Sostiene accanitamente l’intervento militare contro i serbi durante la crisi del Kosovo del 1999. Diventa consigliere personale di Barack Obama. Sostiene a spada tratta l’espansione della Nato spingendola ad intervenire nei Balcani, ufficialmente per fermare i genocidi in corso e diffondere la democrazia nel mondo! Impedisce l’intervento dei caschi blu per fermare il genocidio in Ruanda. Non nasconde una forte avversione verso i popoli balcanici. Prepara un marchingegno negoziale a Rambouillet il 6 febbraio 1999 che giustifichi i bombardamenti della Nato in Jugoslavia causando centinaia di migliaia di morti per cancro da uranio impoverito, inclusi moltissimi (la cifra è ancora segreta) militari italiani inviati dal governo presieduto da Massimo D’Alema, da Sergio Mattarella come vicepresidente del consiglio, con delega ai servizi di sicurezza e da Carlo Scognamiglio come ministro della Difesa.

Uno degli interventi programmati dalla dirigenza statunitense di riassetto geopolitico è l’Iraq di Saddam Hussein. Il Paese era riuscito ad avere una discreta autonomia operativa ed economica sul piano internazionale. Questa autonomia non è gradita dagli Usa perché aumenta la possibilità di un patto con la Libia di Gheddafi. Il paese diventa bersaglio di ferocissime sanzioni promosse dal Consiglio di sicurezza dell’Onu. Il blocco internazionale, guidato dagli angloamericani, fa collassare l’economia irachena. Usa e Inghilterra passano immediatamente all’assalto dell’Iraq provocando immense perdite fra i civili inermi e soprattutto fra i bambini, un “danno collaterale” accaduto nel periodo 1991-1998, causato dalle brutali sanzioni e dal collasso dell’Iraq, viene quantificato dall’Unicef.

Il calcolo dall’agenzia mondiale certificò la morte di stenti e per fame di mezzo milione di bambini con età inferiore ai cinque anni. Durante una intervista filmata e disponibile in rete la signora di ferro ammise che questo genocidio era un danno collaterale accettabile nel quadro di una più vasta strategia mondiale avente il proposito di esportare la democrazia nel mondo. Nel caso dell’intervento russo in Ucraina, la vulcanica signora aveva recentemente riproposto le solite ricette: sanzioni vaste e durissime, compattamento degli stati europei a trazione Nato, realizzazione di un cambio di regime in Russia con l’appoggio logistico di rivolte interne, anche a prezzo – ci risiamo – di enormi perdite umane fra i civili. La sperimentata strategia dimentica che la Russia ha un potenziale di armamenti, una vastità territoriale e una capacità di risposta militare di magnitudine distruttiva ben diversa rispetto agli stati africani e agli staterelli balcanici aggrediti di sorpresa. Sostenendo queste linee operative, la Albright dichiarò apertamente che lo scopo era quello di spostare gli stati europei verso la ricerca di fonti energetiche alternative a quelle russe (leggi fonti angloamericane a costi quadruplicati) e ad un ulteriore potenziamento della Nato sul quadrante dell’Europa orientale.

La Albright sarà ricordata per la sua dura capacità decisionale con effetti a spese di altri, ovviamente. A suo merito il fatto che non ha esitato ad attribuirsi la responsabilità delle sue decisioni nel corso della sua straordinaria carriera, una qualità che manca al 99 per cento dei politici. Tutti gli organi di informazione, i potentissimi centri decisionali americani e mondiali (Aspen Institute, American Progress, Nato, Ispionline, Defense.gov, Sipri, Carnegie) la ricordano riduttivamente per il risibile merito di essere stata la prima donna ministro degli esteri Usa. Con una prospettiva più distante, garantita dal passare del tempo, saranno certamente disponibili analisi più attente che esamineranno il lunghissimo e complesso operato di una donna fuori dal comune dalle qualità superiori ma anche dai difetti superiori.


di Manlio Lo Presti