Il mito in Platone

lunedì 7 marzo 2022


La sterminata opera di Platone è pressoché interamente sotto forma di dialogo e ha come protagonista Socrate. Quasi tutto quel che conosciamo di quest’ultimo lo dobbiamo al nativo di Atene, in specie dobbiamo a Platone il “personaggio” Socrate, che, specialmente nella narrazione della morte, assume una esemplarità di forza danimo nei confronti del finire la vita, basilare come morte saggia, virile. Ma dobbiamo a lui anche il Socrate che discute, ironizza, e trae infine la verità, che è in ciascuno di noi. Basta saperla scoprire. Il metodo del dialogo è appropriato, Platone si impossessa del metodo sofistico (lo aveva già fatto Socrate), ma per giungere alla verità riconosciuta da tutti e non rimanere nella molteplicità delle opinioni, come per i Sofisti.

Tuttavia, Platone si rende conto che, su taluni argomenti la semplice esposizione teorica non sarebbe adeguata. Ricorre allora a forme narrative, al mito. Questo è vigente soprattutto in campo religioso, pure in tal caso il filosofo innesta un tratto spirituale nella filosofia. Quando taluni argomenti non potrebbero con certezza essere esposti filosoficamente, Platone ricorre ad una invenzione narrativa, che non è realtà effettiva ma fa capire questa. La faccenda forse non è andata come descritta nel mito, ma ciò che il mito descrive, narra, comunque serve a comprendere la realtà. Come spiegare i contrasti dellanima, ad esempio? Platone concepisce il mito della biga alata. Un guidatore, Lauriga, conduce una pariglia di cavalli, uno bianco, generoso, sereno, laltro nero, scalmanato, avido, questo secondo è assetato di desideri materiali, e obbliga lauriga, a volgersi alla terra, dove il cavallo nero dirige la sua veemenza carnale. Sta allauriga, a chi conduce i cavalli, saper domare il cavallo nero e forzarlo di risalire ai beni spirituali.

Il mito della biga alata deriva palesemente dallInduismo, anche per Platone la vita è una prigione causata dai desideri carnali da cui ci liberiamo con la morte virtuosa godendo limmortalità. Lanima immortale nel filosofo di Atene è personale, non si fonde nellanima cosmica come nellInduismo. Un ulteriore mito che avvicina Platone alla religiosità indù riguarda sempre lanima, la quale sta nellIperuranio e vede le idee. Quanto più a lungo si trova in questo luogo, migliore è la sua qualità, si che, ad esempio, i filosofi sono coloro che più a lungo hanno avuto unanima che rimase nellIperuranio senza fretta di incarnarsi. Anche per la sorte dopo il morire Platone concepisce un mito, quello di Er. È la narrazione fantasiosa di chi, morto, viene di nuovo a nascere e sceglie che incarnazione vuole, in quanto è libero di decidere. Per quanto dopo la morte la vita precedente è cancellata, qualcosa resta, perciò è opportuno comportarsi bene per avere la disposizione a scegliere una reincarnazione buona. chi ha ben vissuto nella vita precedente, sceglierà una vita buona. Linflusso induista è palese. Ma se in questo lanima si incarnava nelle caste, in Platone lanima si incarna in varie disposizioni.

La disposizione allira, anima irascibile, idonea per fare il guerriero; anima “concupiscibile”, avida di beni materiali, idonea a fare i commercianti, lanima razionale, idonea ai filosofi. Questi ultimi devono reggere la società. Ne diremo tra poco. Invece, sempre con riguardo alla conoscenza, Platone concepisce un ulteriore mito, sempre allo scopo di dare valore al mondo delle idee. Il Mito della caverna. Alla lontana, anchesso viene dallInduismo, per il quale la realtà percepita dai sensi, la realtà mondana è niente più che un insieme di ombre fugaci. Platone immagina schiavi rinchiusi dentro una caverna, ed uomini fuori dalla caverna che passano con delle statue. Le ombre sul fondo della caverna paiono agli schiavi la realtà, ma uno schiavo si accorge dei portatori di statuine, comprende che sulla parete vi erano ombre. Esce dalla caverna e scorge migliaia di oggetti, ed il sole che tutto illumina e fa vedere. Ecco, noi vediamo ombre che crediamo realtà, mentre la vera realtà sta nellIperuranio ed è costituita dalle idee. Vi è in Platone un poderoso influsso di Parmenide e di Eraclito, l’eterno essere del primo, pur se distinto nelle idee, e il non meno eterno divenire, le fugaci vicende e presenze terrene, come ritiene il secondo. Scopo ultimo dell’esistenza è risalire alleterno, al mondo delle idee, al vertice di questo. Il sommo bene, se non altro come aspirazione. Dunque: caduta dellanima dal mondo delle idee sulla terra, aspirazione dellanima a liberarsi dal corpo e vivere esclusivamente come virtuosamente immortale. Platone è certo che lo spirito è immortale, ed esiste. Poiché noi conosciamo riconoscendo le cose, questo significa che le abbiamo viste prima di incarnarci. Dunque lanima esiste prima del corpo.

L’amore platonico

Come pressoché tutti i greci anche e specialmente Platone dà somma importanza all’amore, anzi al dio amore, ad Eros. Egli in certo modo è il dio essenziale nella religione greca, essendo colui che lega gli dei e gli uomini. Nessuno resiste al dio Eros. Fa innamorare gli uomini tra di loro, intendo uomo con uomo, uomo con donna, donna con donna, con ragazzi, ragazze. Lo stesso tra gli dei, e tra uomini e dei. Platone conosce e sente questa potenza attrattiva ed esaltante di Amore. In molti suoi dialoghi manifesta le varie forme ed i vari motivi che accendono lamore. E anche in questo caso egli pone la spiritualità a fondamento del comportamento umano.

Lamore, poi detto “platonico”, proviene dalla nostra mancanza delle qualità che invece stanno nella persona amata, noi amiamo laltro, laltra perché amiamo qualità che laltro o laltra hanno. Dunque è un amore assolutamente contemplativo e conoscitivo, non solo amiamo le qualità che laltro o laltra hanno e noi non abbiamo, ma qualità superiori, nobilitanti. Ancora una volta, come in tutta la sua concezione, è il tendere a perfezionarsi che accende la filosofia in Platone. Non lamore passione, l’amore desiderio carnale, lamore possesso, piuttosto lamore che ci eleva in quanto amiamo chi vale più di noi, e quindi amando ci eleviamo alle virtù di chi amiamo, ne amiamo le virtù. E non basta, occorre salire allidea dellamore, superando ogni sembianza terrena di bellezza, pure se lamore della bellezza terrena è via allamore per la bellezza ideale. Questo lo scopo ultimo dellamore.

Interpretazione della filosofia di Platone

La filosofia di Platone può essere intesa in modi totalmente opposti. Una interpretazione lo può valutare come un negatore della vita terrena, quasi al pari degli induisti, un negatore della vita, dalla quale sciogliersi il prima possibile per vivere nellimmortalità dellanima. Al dunque, la vita dopo la morte vale maggiormente della vita materiale. Ma una seconda interpretazione è possibile e non meno opportuna: cogliere in Platone colui che indica mete ideali, superiori, e conquistare la virtuosa immortalità non contro la vita ma dopo aver ben vissuto.

Entrambe le evenienze interpretative sono legittime, come avviene per l’Induismo e come avverrà per il Cristianesimo. In concreto, Platone indicava mete superiori, spirituali, indubbiamente esse potevano dare l’impressione che il mondo fosse una degradazione, una prigione inferiore, e che solo liberati dai desideri mondani e dal mondo e dal corpo potevamo raggiungere la suprema spiritualità. Inteso in tal modo Platone svaluta la vita. Ma, l’abbiamo detto, potrebbe accadere l’opposto. Vivere in questo mondo, anche se coscienti che vivere è un breve passaggio, al più alto livello spirituale, e dopo aver ben vissuto, aspirare all’eternità dell’anima virtuosa. Insomma, conciliare, volgere la terra al cielo.


di Antonio Saccà