“I Mezzalira”: panni sporchi fritti in casa

martedì 22 febbraio 2022


Mezzalira non è certo un cognome da banchiere. Ma nemmeno da Giuda, dato che lui almeno i trenta denari, frutto del tradimento, li ha pur avuti in tasca per un tempo. E nemmeno da miserabile visto che, anche se dimezzata, una lira l’ha nominalmente per compagna. Ma, insomma, chi sono I Mezzalira che vanno in scena al Cometa Off di Roma fino al 27 febbraio, per la regia di Raffaele Latagliata? Un’invenzione prettamente “verghiana” (da Giovanni Verga e dal suo Mastro Don Gesualdo) del brillante duo Agnese Fallongo (autrice del testo nello spettacolo che la vede impegnata nel doppio ruolo della madre Angelina e di sua figlia Pasqualina) e Tiziano Caputo (nella doppia veste del padre Santo e della madre di lui, nonna Pitta), con Adriano Evangelisti, che interpreta sia il figlio della coppia di contadini, Giovanni Battista Mezzalira detto “Petrusino”, voce narrante della storia drammatica; sia la figura tragica di Don Cataldo, il padrone delle terre e degli uliveti che producono l’olio dei desideri. Il sapore e il colore della povertà sono quelli del cappotto rivoltato che nasconde il cencio logoro dell’interno e una catasta di legna attrezzata, da cui spuntano come invenzione del genio poverello un carretto e il suo retro; un letto; i montanti di una porta e di una balconata immaginaria.

L’altra porzione dello scenario è un’edicola rotante che fa cucina da un verso, e bagno dall’altro di un minuscolo appartamento di una città del nord, in cui nonna Pitta con le sue deiezioni dà da mangiare ai grossi ratti con suo grandissimo “scuorno”, invece di concimare la terra come sarebbe stato buono e giusto. Tiziano Caputo dà il meglio di sé in questo strepitoso carattere di anziana dal passo lento e sdrucito, vestita di stracci e con gli scarponi logori ai piedi, che guarda il mondo tenendo costantemente gli occhi spalancati e spiritati di chi vede il diavolo in pieno giorno, mentre fa magie fritte con l’olio di oliva sottratto ai consumi della casa per essere consumato in occasione di eventi straordinari, o per soddisfare le richieste insistenti del nipote. Una nonna sagace sorda-udente e miope-vedente che sa guardare il tormento dell’anima altrui come si farebbe con un gioco di ombre cinesi, tessendo un dialogo polemico e conflittuale che va a comporre il trittico di tre generazioni di donne, suocera-nuora-nipote, per cui della gravidanza ne si fa una metafora da fornaio che inforna una pagnotta lievitata, destinata a crescere.

Panni sporchi che odorano di fritto ce ne sono tanti nella storia della famiglia poverissima e contadina dei Mezzalira, in cui nei tempi bui della carestia può succedere di tutto, come quello di concedersi a un padre-padrone per ottenere di che sfamare i propri figli in fasce, o sempre per amor loro, di rubare olio dalla damigiana rendendosi involontariamente responsabili di un dramma né voluto, né cercato. Una storia a sorpresa, cadenzata da nenie popolari e da un mix dialettale deliziosamente armonico, in cui sotto al lucido da scarpe esplode all’improvviso la polvere da sparo nelle suole. Un colpo alla nuca, per rendere in un solo attimo orfano un figlio che ha assistito all’ultimo tenero abbraccio dei suoi genitori, che se lo sono scambiato per la prima e unica volta al di fuori dell’intimità della stanza da letto. Sotto le ceneri dei risentimenti consumati si distendono l’ombra di un’infanzia assassina a sua insaputa; un ventre di donna gravida e un parto ambiguo: ingredienti segreti e avvelenati di una famiglia perbene. Perché, poi, la vita è fatta di incontri e di persecuzioni con e da parte di un padrone satrapico, la cui vita infame è riscattata da un imprevedibile erede che si incarica della giustizia del buon samaritano.

Una famiglia costretta a scegliere chi dei due figli debba studiare, risolvendo il tutto in base alla tradizione, per cui è il fratello mediocre a essere privilegiato in ragione del genere al posto della sorella dotata e brillante, al prezzo amaro di una madre che si consuma le mani dal gran cucire, rimasta vedova del suo uomo e con una casa di quattro persone da mandare avanti con il proprio lavoro. Una vita per un fritto d’oliva, una sorta di olio santo per un’infanzia denutrita e affamata. Perché, poi, nel regno della miseria, Avere significa olio e farina nella madia e l’Amore sa di fecondità e di semi sbocciati, ma anche di una lontananza lunga una vita per ripicca e orgoglio. Ma, alla fine, tutto inizia lì dov’era finito per l’alternanza tra generazioni, tra la vita e la morte. Spettacolo molto bello e originale. Da non perdere.

Cometa Off di Roma

Fino al 27 febbraio

Teatro de Gli Incamminati

presenta

I Mezzalira – Panni sporchi fritti in casa

Scritto da Agnese Fallongo

Interpreti: Agnese Fallongo, Tiziano Caputo e Adriano Evangelisti

Regia di Raffaele Latagliata

Musiche di : Tiziano Caputo

Scene : Andrea Coppi

Costumi : Daniele Gelsi


di Maurizio Bonanni