I sofisti, Protagora: Così è se mi pare

martedì 22 febbraio 2022


Tutti i filosofi di cui abbiamo parlato appartengono all’area mediterranea, tra Asia Minore e Italia Meridionale (Magna Grecia). Già da millenni a. C., specie nell’Asia Minore, vi furono civiltà elevatissime soprattutto in campo artistico, e con il tempo queste si allargarono in Occidente, in Grecia e in parte dell’odierna Turchia, poi nelle colonie greche del meridione d’Italia, soprattutto in Campania, Calabria e in Sicilia. La Grecia non fu mai stato unitario, era composta da singole città sovrane, tra le quali annoveriamo Atene nella regione dell’Attica, Sparta, Tebe. Quando l’Impero persiano tentò di estendersi anche in Grecia, le città (polis) greche si unirono, sconfiggendo i persiani in battaglie famosissime, che iniziarono tante guerre successive, con le quali il Medio Oriente cercò di conquistare l’Europa. Siamo nel V secolo e la Grecia, soprattutto Atene, è al vertice della sua civiltà, forse al vertice della civiltà umana. Per noi europei è la civiltà “classica”, scienziati, filosofi, artisti, condottieri e uomini politici. Forse mai nell’arco di un tempo così breve, non più di due secoli, tanti uomini insigni vissero in uno spazio così ristretto.

Atene giganteggiò, i più tragici testi teatrali venivano giudicati dal popolo, poche migliaia di persone che eleggevano il vincitore delle gare teatrali, un popolo che era democratico nelle scelte. Questo connubio tra democrazia e aristocrazia consentì alla civiltà greca di raggiungere questo livello supremo. L’arte e la cultura erano apprezzatissime. Bisogna però tener conto che in quelle società esisteva la schiavitù, e i lavori più faticosi o più sgradevoli erano affidati a questi. Il denaro, se scopo dell’esistenza, era disprezzato. Ciò supponeva una consistente quantità di persone benestanti che poteva dedicarsi all’arte, alla cultura, alla stessa politica senza dover lavorare per vivere. Ben diversa era la società a Sparta, dove lo scopo del cittadino era di diventare un eroico guerriero. Non che gli ateniesi fossero meno guerrieri ed eroici, è che non limitavano il cittadino ad essere solo un guerriero.

Il termine sofista ha un doppio significato. Letteralmente significa conoscenza, il sofista è colui che studia, indaga. Ma nell’uso comune viene definito così colui che cerca espedienti anche ingannevoli pur di avere ragione, colui che vuole (con)vincere senza tener conto della verità. Storicamente i sofisti ebbero enorme fortuna alla metà del V secolo a.C., particolarmente ad Atene, città ricca, commerciale, portuale, dominante nel Mediterraneo. Con questo tipo di filosofi irrompe nella scena l’uomo, anzi: l’individuo. Prima dei sofisti la persona era un’entità fisica non distinguibile dal resto della natura. Acqua, aria, apeiron, essere, divenire riguardavano tutto il reale, non soltanto l’uomo, questo era una realtà tra le realtà. Con i sofisti l’uomo si pone sopra la realtà, la giudica, la valuta. L’iniziatore di questa dottrina è il filosofo Protagora, che esordisce così: “L’uomo è di tutte le cose misura, di quelle esistenti dato che sono esistenti, di quelle non esistenti dato che non sono esistenti”. L’uomo non è più compreso nella realtà ma la giudica, la valuta, la “misura”. E lo fa a modo proprio. Ciascuno ha un suo modo di giudicare. Entra con i sofisti nella filosofia la soggettività. Questa fin ora era sconosciuta nel mondo antico.

L’essere di Parmenide, il logos di Eraclito erano universali. Vi era netta distinzione tra vero e falso. Con Protagora, e con i sofisti in generale, questa separazione tra vero e falso è impossibile. Se l’uomo è misura, se l’uomo giudica e valuta, egli non ha un controllo che proviene dall’esterno, è lui che stabilisce il vero, il non vero, e ciascuno può farlo a modo suo. Come detto, ciascuno giudica secondo la sua misura, le sue capacità, la sua mente. Ma c’è di più: per i sofisti non esiste niente che non possa essere valutato in modi diversi.

Su qualsiasi argomento si può sostenere qualsiasi opinione, Protagora stesso afferma che si possono sostenere due opinioni opposte. Dunque, non esiste una verità. Questo filosofo sosteneva che l’anima non è al di sopra dei sensi, e a proposito degli dei sosteneva che la brevità della vita e l’oscurità dell’argomento gli impedivano di dire se esistessero o no. Egli è considerato l’inventore del discorso dialettico, del confronto delle opinioni, della discussione filosofica, che poi eccelse con Socrate. Teneva letture filosofiche a pagamento, sembra sia nato ad Abdera, e che sia stato discepolo di Democrito. Per le sue idee sulla morale e sulla religione dovette fuggire da Atene. Morì a settant’anni.

Gorgia

Celeberrimo è Gorgia, un altro sofista che portò alle estreme conseguenze le concezioni di questa corrente, nativo della Magna Grecia, in Sicilia, a Leontini. Recatosi ad Atene per una ambasceria di amicizia tra Leontini ed Atene, egli impressionò per la sua capacità oratoria e venne sollecitato a trattenersi per insegnare, avendo come discepoli i giovani ateniesi e diventando amico di Pericle. La novità dei sofisti consisteva nell’uso dell’arte retorica, quindi del linguaggio. L’uomo è l’animale ragionante, parlante, argomentante, dialettico. Chi sa meglio argomentare e convincere, prevale. Come detto, la mente, per i sofisti, si staccava dalle cose, queste sì esistevano, ma venivano interpretate, misurate dall’uomo. Aveva ragione chi meglio argomentava e metteva a tacere l’interlocutore. Inoltre per i sofisti non esistevano cognizioni universali, non esistono l’albero, l’uomo, ma quell’albero, quell’uomo, e, in un determinato momento, la conoscenza era sempre particolare, momentanea, in quanto ogni realtà muta è considerata da soggetti dissimili, soggettivanti.

Gorgia è l’ideatore di una argomentazione che dà l’idea di come la mente dell’uomo è, in fondo, chiusa nella sola capacità di formulare parole, discorsi. Ecco la sua notissima formulazione: “L’essere non è, se anche fosse non potremmo conoscerlo, se anche lo conoscessimo non potremmo comunicarlo”. Impossibile, in questa sede, commentare l’intera frase, ma basta analizzare l’ultima parte: che se anche conoscessimo l’essere non potremmo comunicarlo. È la radicale separazione tra uomo e realtà. L’uomo conosce la realtà ma la trasforma in parole, in discorso. Quando la comunica ad un altro uomo trasmette appunto parole e discorsi, non cose. Il termine cielo è una parola, non il cielo stesso, e così per tutto il resto. Dunque, se anche conoscessimo la realtà, non potremmo comunicarla. I sofisti rappresentano un momento altissimo del pensiero umano. L’aspetto essenziale delle loro convinzioni sta nel ritenere l’uomo un soggetto senza altra bussola che se stesso.

Ciascuno di noi ha se stesso come fondamento delle scelte e dei valori. Per questi filosofi non vi sono valori oggettivi: è bene quel che ciascuno ritiene bene, non quel che ciascuno ritiene male, vero quel che ognuno ritiene vero, errato quello che si ritiene errato. Non si tratta di pensare a “casaccio”, ma del fatto che tutti sono imprigionati nella propria mente e non si può uscirne. Si è obbligati alla soggettività, e non esiste una entità superiore ed universale di cui avvalersi. Se l’uomo è misura delle cose esistenti e non esistenti, ciascuno, come abbiamo detto, misura, valuta a suo modo, non esistendo per i sofisti un’entità superiore all’uomo, ciascuno deve addossarsi l’incarico di pensare con la propria mente. I sofisti non credono a leggi naturali o divine, sono gli uomini che stabiliscono le leggi, a favore dei più forti o per frenare la forza di questi. Gli uomini sono totalmente staccati dalla natura e dalle divinità, parlano tra di loro, ciascuno con l’abilità del suo discorso, vince chi sa meglio argomentare.

Questa concezione ha ricevuto e riceve una opposta valutazione. C’è chi, specialmente Aristofane, Socrate e ancor più Platone, considera i sofisti corruttori, educatori negativi del saper giocare con le parole e con gli argomenti, senza curarsi della verità. In qualche modo più che filosofi degli avvocati. In effetti, nell’Atene del V secolo a.C. la vita commerciale e politica era molto animata, la città si staccava dalla natura, l’uomo si sentiva dominatore. Ma c’è anche un aspetto tragico nei sofisti, appunto perché l’uomo non ha più dei o leggi naturali a cui riferirsi. Egli è solo con se stesso, privo della minima certezza. Quantunque abile argomentatore sente che quel che afferma oggi non vale l’istante dopo, che un uomo che sa meglio argomentare prevale al di sopra del vero e del falso. Ogni persona vive un un vertiginoso mutamento, tutto è mutevole, egli stesso cambia ogni secondo: un divenire senza logos. L’uomo vive tra gli uomini senza bussola o bussola di se stesso e, se da un lato può inorgoglirsi di essere colui che misura e valuta, dall’altro sa che le sue valutazioni durano un istante, possono cambiare perché non esiste una verità stabile per tutti.

È l’aspetto tragico dei sofisti, il sapere che non ci sarà mai una ed una sola verità, identica per tutti e ferma per sempre. Ma è anche l’aspetto ardimentoso di questi: saper fare della parola, del discorso argomentato, un mezzo di conquista nella tenzone sociale. Il messinese Evemero sosteneva che gli dei sono divinizzazione delle caratteristiche umane. Protagora riteneva che ciascuno formulava gli dei a sua propria immagine. Quanta solitudine, quanta reciproca incomprensione in questa luminaria di comunicazione! Euripide espresse il tutto, tragicamente e ironicamente.


di Antonio Saccà