Il Cristianesimo di Cristo

martedì 8 febbraio 2022


Vi sono uomini che hanno reso la morale il nodo scorsoio della loro esistenza tragicissima, uno milioni e milioni e milioni di persone in tante epoche lo considerate anche un Dio, l’altro un uomo che si considerava e si voleva considerare soltanto uomo, i loro nomi sovrastano, Gesù Cristo, Friedrich Nietzsche. Gesù nasce avvinto da circostanze straordinarie, eventi cosmici, perfino il firmamento sposta una stella per indicare il povero luogo dove è raccolto, Gesù è sovrumano ed umilissimo, appartiene ai due regni, l’universo dove spadroneggia, la terra dove si pone tra i miserrimi. Mentalmente, è prodigioso, discute con i sapientissimi maestri ebrei, discriminatori di linguaggio, del posto, del significato della particella sillabica.

Poi, non sappiamo, una latenza misteriosa, abbandona la famiglia, improvvisamente le predicazioni, sa che vuole dire, ha maturato, un predicatore che è un narratore, un uomo che insegna con esempi ,attingere alla natura, agli animali, alle piante, nulla di freddo, sentenzioso, piuttosto, colmo di affetto, di pietà, talvolta rabbioso contro i malvagi, lo tormenta l’infelicità degli altri, vorrebbe strappare a morsi fraterni il dolore: che nessuno soffra, lui prende il dolore dell’umanità, lui soltanto, lui basta, tanto dolore che non resta sul prossimo, la pietà lo consuma, a vedere il malato, la fame dell’affamato, il dolore di chi soffre sente in sé l’altro, non vuole togliere i peccati vuole togliere l’infelicità, non riesce a sopportare che l’altro patisca, il dolore altrui gli rimbomba dentro, non si cura di sé ,è la sofferenza degli altri che lo strazia, sì, ha detto ama il prossimo tuo come te stesso, parole, la realtà non è questa, egli ama il prossimo più di se stesso, si contraddice volontariamente, non è capace di amarsi, neppure per un istante, e tanto crede di poter dare, dover dare agli altri che compie l’atto transvalutativo, il miracolo, una volontà di potenza iperbolica compiuto ( o immaginato) quando la sofferenza dell’altro è tanta e tale che noi ci sforziamo risolverla spingendo all’estremo il compimento, forse illusionistico, salvifico: il miracolo.

In taluni vangeli apocrifi Gesù è un miracolante con il compiacimento di Maria che ho un figlio così portentoso. Troppo superiore, troppo risolutore, addirittura promette la resurrezione, addirittura promette il paradiso celeste per chi soffre sulla terra terrestre, addirittura promette la visione più ardua che si compia: che i malvagi saranno puniti. Promesse eccessive, per avere seguaci, per consolarli con inganni. L’uomo non è fatto per queste illusioni, gridano i suoi nemici. Lo catturano, lo straziano, Gesù sconta effettivamente il dolore quasi egli esclusivamente soffrisse tanto per tutti, esaurisse il dolore del mondo. Diciotto secoli dopo un uomo dagli occhi di rapace disperatissimamente ebbe timore che il debole, il povero, il malato non necessariamente erano coloro ai quali doveva dare premura determinante. Meglio, ritenne, aiutare il genio, altrimenti vi è la sopravvivenza di chi non vale. La compassione lo distruggeva, tentava di rendersi impietoso per il fine della civiltà, taluni creatori, altri, i molti, mezzi ai creatori. Era disperatissimo, temeva che prevalessero coloro che definiva “schiavi”, ciandala, invocava addirittura le caste indù per contenere al loro argine gli “inferiori”. “Meglio la morte che la mediocrizzazione”, scriveva.

Amava il Cattolicesimo rinascimentale, in effetti il cattolicesimo rinascimentale aveva adoperato le masse per l’arte. Non voleva la povertà, lo sfruttamento, per dire correntemente, voleva che lo spirito non diventasse una mercanzia alla portata dell’uomo qualunque. Paradossalmente, temeva che il cristianesimo non mantenesse la tragica passione soccorritrice di Cristo. Così, per Nietzsche il solo cristiano è Cristo, il quale senti vertiginosamente il prezzo della pietà. Come sappiamo, quando Nietzsche “sentì” la pietà vedendo un cavallo bastonato (vedendo il Cristo!), impazzì. Gente seria, divina o umana che sia, il bene ed il male torturano come tenaglie ardenti nelle tempie. E le parole, dette o scritte, sono vita. E che la civiltà, della morale o dell’arte, etica o estetica, esige l’anima, il corpo, una spietata dedizione anche in colui che ha pietà.

 

 


di Antonio Saccà