Visioni. “House of Gucci”: una soap opera sul mondo della moda

giovedì 23 dicembre 2021


House of Gucci è un film ridondante sull’ascesa e la caduta di Patrizia Reggiani, moglie di Maurizio GucciIl lungometraggio, tratto da una storia di Sara Gay Forden, pubblicata da Garzanti, è firmato da un celebrato maestro del cinema come Ridley Scott. La prospettiva narrativa sposa lo sguardo americano sugli italiani, ritenuti volgari, mafiosi e, costantemente, sopra le righe. Il film, distribuito nelle sale da Eagle Pictures, racconta una dinastia del mondo della moda. L’impresa viene fondata nel 1921 a Firenze da Guccio Gucci, nonno di Maurizio. Nel 1993 il marchio passa di mano: lo acquisisce il fondo arabo d’investimento Investcorp. Appena sei anni dopo è guidato dal gruppo francese Kering, il cui attuale presidente e ceo è François-Henry Pinault.

Una vitalissima e caricaturale Lady Gaga dà il volto (e le burrose fattezze) a Patrizia, figlia di un piccolo imprenditore dei trasporti che, nella Milano “da bere”, a una festa conosce l’elegante Maurizio Gucci (un introverso Adam Driver), figlio del borioso Rodolfo (Jeremy Irons). È l’inizio di una storia d’amore, di intrighi, di denaro, potere e di sangue che, sul grande schermo, dura fin troppo: quasi tre ore.

Maurizio e Patrizio convolano a nozze, nonostante l’opposizione di Rodolfo. Il quadro di famiglia è completato da altri due personaggi: Aldo Gucci (un decadente e autoironico Al Pacino) e il figlio Paolo (un comico-grottesco Jared Leto), ora alleati, ora avversari della donna e del suo insicuro marito. Patrizia è passionale e ambiziosa, ma priva di classe. Così Maurizio, via via si allontana da lei e dai suoi modi poco urbani, per cercare altre donne, altri luoghi e, soprattutto, nuovi progetti. A quel punto, Patrizia, in preda alla paranoia, con la complicità della cartomante Pina Auriemma (la sensuale e insieme improbabile Salma Hayek), cambia il destino della storia.

Lady Gaga offre un’interpretazione fin troppo manierata. La sua Patrizia Reggiani è una donna che fa il verso alle maggiorate italiane degli anni Cinquanta, senza possederne il fascino e la dolente ingenuità. Dal canto suo, Adam Driver è austero, distante, aristocraticamente disinteressato. Invece, Al Pacino e Jared Leto sembrano i protagonisti di un altro spettacolo. Che si tiene su un altro palcoscenico. Con un altro copione. Con un’altra storia. Il loro rapporto cita, in chiave parodistica, il legame (in quel caso, di fratellanza) tra lo stesso Pacino-Michael Corleone e John Cazale-Fredo. Un amore malriposto, un sentimento di crudele rivalsa.

Nelle intenzioni di Ridley Scott, House of Gucci dovrebbe rappresentare una rilettura farsesca, in chiave contemporanea, della tragedia shakespeariana di Lady Macbeth. La resa finale è ben lontana dai buoni propositi. Il film è pieno di difetti. Una soap opera sull’universo della moda caratterizzata da un’inesistente evoluzione dei personaggi. Il perché delle loro scelte è assolutamente immotivato. Il montaggio imperfetto evidenzia le lacune della scrittura. La sceneggiatura di Becky Johnston e Roberto Bentivegna è una sequela di fatti enunciati, senza alcun collegamento diretto. Un copione costellato da dialoghi inverosimili e situazioni imbarazzanti: “Nel nome del padre, del figlio e della famiglia Gucci”. Nessun dubbio: il film è un appuntamento mancato.


di Andrea Di Falco