Dolore Sotto Chiave/Sik-Sik l’artefice magico

martedì 14 dicembre 2021


Il teatro di Eduardo vive!

Carlo Cecchi: The Theater’s Dolmen! Così ci appare l’anziano protagonista, all’età di ottantadue anni, nel suo multiruolo di regista-attore per il suo ultimo lavoro in scena al Teatro Argentina di Roma fino al 23 dicembre: Dolore sotto chiave/Sik-Sik l’artefice magico, due atti unici del grande Eduardo De Filippo. Sì, perché, in fondo, un gigante è tale quando sa far rivivere, rigenerandolo, un mostro sacro come il raffinato teatro edoardiano del secolo scorso, tramandandone ai tempi d’oggi la forza dello spirito critico e la vis teatrale. Cecchi è quell’Interprete-Dolmen, cioè, la figura anziana ed esperta che non sta sulla scena ma che attira la scena su di sé, sull’espressione quasi immobile del proprio viso, secondo forme che provocano correnti umorali ed emotive assoggettate a un moto lento, spiraleggiante. Tale, insomma, da far convergere tutta l’attenzione sulla mimica del volto e sulle frasi stentoree che si diffondono come neve leggera nello spazio teatrale della Quarta Parete, richiamando in Terra un mondo marziano. Quell’universo, cioè, lontano e perduto delle autentiche radici popolari dell’arte dal vivo, disperse ormai nel grande vuoto siderale in cui si muovono i linguaggi social e le forme espressive dell’arte contemporanea, dove l’unico dio è l’originalità fine a se stessa e il conformismo portato all’eccesso, nel rispetto ossequioso del pensiero unico mainstream.

La prima parte dello spettacolo, completamente autonoma dalla seconda, è un’attenta esecuzione ed esaltazione del paradosso esistenziale, per cui quando si crede in buona fede di sferruzzare la calza della vita per il trionfo del bene, accade che talvolta si operi, in realtà e nostro malgrado, per la massimizzazione del male e del danno individuale nei confronti del presunto beneficiario. La storia è semplice e lineare. La scena iniziale (del tutto essenziale e statica, con separé e pannelli mobili che offrono un sostegno leggero e trasparente per porte in legno che si aprono e si chiudono) vede un fratello e una sorella, Rocco e Lucia Capasso, che si ritrovano nella sala da pranzo della casa di lui, architetto, rientrato dopo un anno di lavoro in Sardegna, convinto di avere a che fare con una moglie morente, amorevolmente accudita da Lucia. Vietato fare qualsiasi rumore nella casa, per non disturbare la quiete sempre precaria della malata di cuore, senza speranza di guarigione. Vietato, nei lunghi mesi di assenza coniugale, parlarle o attendere da lei una qualsiasi frase scritta, sempre intermediata dalla cognata in risposta alle insistenti domande del fratello. In realtà, la poveretta risultava già morta a soli venti giorni dalla partenza del marito. Lucia aveva tenuto all’oscuro Rocco del luttuoso evento, per tutta la durata del soggiorno del fratello sull’isola, convinta in buona fede di operare per il suo bene, sapendolo profondamente innamorato della cognata e, quindi, in quanto tale, persona che difficilmente a suo giudizio avrebbe tollerato l’idea della scomparsa della propria moglie, arrivando persino a commettere ipotetici gesti disperati.

Per rendere credibile il tutto, Lucia aveva tenuto in piedi la storia della malata cronica inventando mille scuse per tenere lontano il fratello, come il continuo ricorso ai medici e ai farmaci che sconsigliavano qualsiasi emozione o contatto fisico qualora il marito fosse tornato, e così via. Quando però un esasperato Rocco fa volare tovaglia e stoviglie con un gesto d’ira, avendo intuito e poi scoperto l’imbroglio con un’invasione a tutto campo nella stanza matrimoniale, ovviamente vuota, Lucia è costretta a confessare. Per poi rendersi conto del grave danno causato a fin di bene al fratello, perseguitato per un intero anno dai sensi di colpa, convinto di aver tradito con un’altra donna la moglie malata, che era arrivato a odiare, in quanto ostacolo vivente al pieno e felice godimento della sua nuova coppia. E, ovviamente, non sapendo di essere vedovo e della sua sopravvenuta qualità di uomo di nuovo matrimoniabile, Rocco arriva a perdere la sua adorata amante, che decide nel frattempo di sposare un altro. Attorno al suo doppio lutto, si agita un gruppo di fastidiosi vicini che tenta, in tutti i modi, di approfittare del suo dolore di vedovo per fini del tutto venali. La seconda parte dello spettacolo, invece, rappresenta una riflessione pirandelliana sul teatro, costruendo una sorta di piano interpretativo di complessità due (in informatica la definizione riguarda programmi che creano altri programmi).

Tra l’altro, Sik-Sik è una forte contrapposizione di linguaggi, dialettale e volgare, laddove il primo ha volutamente (per volontà dell’Autore) ancora più bias di quello originale del dialetto parlato, per cui lo stesso popolano ignorante che interagisce con il mago non riesce a capirne i suggerimenti. Del resto, l’illusionista è una sorta di guitto magrissimo (sik-sik = secco-secco) che calca i più scalcagnati palcoscenici di provincia per poche lire, avvalendosi di una “spalla”, o complice, confuso tra la gente in platea, per finalizzare i suoi maldestri giochi di prestigio. Quindi, nella metafora, l’attore è un manipolatore della credulità del pubblico, rispetto al suo ruolo e alla situazione scenica che lo inviluppa, mentre veste i panni dei vari personaggi. A complicare il tutto, il controcanto di ben due “spalle” litigiose, una occasionale e l’altra per così dire strutturata, che segue cioè regolarmente l’illusionista e sua moglie nelle varie tournèe.

Per un equivoco, i due finti spettatori si trovano in contemporanea sul palcoscenico, non volendo l’uno concedere il pubblico all’altro. Classica situazione, in metafora, dell’inutile rivalità tra prime donne dello spettacolo in genere che, oltre a farlo fallire rendendolo ridicolo, cambiano natura e carattere alla rappresentazione stessa, che però ha ugualmente successo presso il pubblico all’oscuro di quelle beghe interne, proprio a causa delle molte nature del teatro dal vivo, per cui lo spettatore ignaro si convince che si tratti di una vicenda e di una rappresentazione preconfezionata, e non casuale. Perché, poi, il teatro nel teatro è ancora “realtà”! Spettacolo per tutti, grandi e piccini!


di Maurizio Bonanni