La Secessione e l’Italia: al Museo di Roma i capolavori di Klimt

giovedì 28 ottobre 2021


“Esistono solo due pittori, Velázquez e io” (Klimt)

Fino al 27 marzo 2022 sarà possibile visitare Klimt, la Secessione e l’Italia, questo è il titolo dell’esposizione nata dalla collaborazione tra il Belvedere di Vienna, la Klimt Foundation, la Sovrintendenza ai beni culturali di Roma Capitale e co-prodotta da Arthemisia. In questa occasione si potranno conoscere Klimt e gli artisti della sua cerchia nell’inedita prospettiva del loro rapporto con l’Italia. Infatti forse non tutti lo sanno, ma nel corso della sua esistenza, Gustav Klimt non avrebbe voluto viaggiare ma lo fece comunque e come racconta egli stesso in alcune delle cartoline inviate a Emilie Flöge, allora sua compagna, che troverete esposte in una delle sale della mostra, nel 1903 si recò in Italia per studiarne l’arte rinascimentale. Infatti tra la metà dell’800 e i primi del 900, per gli artisti europei ancora fortemente influenzati dallo storicismo, austriaci compresi, l’Italia era una tappa obbligata, anche ‘scomoda’ perché ormai rappresentava quasi un freno all’evoluzione delle nuove correnti artistiche che si stavano affermando.

Gustav di suo era un artista non facilmente impressionabile: in Italia lo colpì quasi più la povertà e il maltempo in cui si imbatté che il resto, a esclusione dei mosaici bizantini del duomo di Ravenna che, per studiarli, lo fecero tornare ben due volte a visitarla. Era un uomo sicuro di sé e, anche per questo, riteneva di non aver bisogno di trarre ispirazione né dai maestri italiani, né da altri. All’epoca Vienna era all’apice della sua gloria e lui era un cittadino totalmente fedele alla sua città, da cui tra l’altro raramente si allontanò se non per le vacanze estive che trascorreva sull’Attersee nel Salzkammergut. Gli bastavano il Kunsthistorisches Museum e le opere di Diego Velázquez che, come egli stesso dichiarò, fu l’unico artista che lo influenzò oltre a sé stesso. La selezione di opere vi offriranno una vista privilegiata su Vienna e l’Italia di inizio secolo, e vi permetteranno di vivere in prima persona l’ascesa dell’artista. Ci ha particolarmente colpito l’allestimento del fondo scuro per le sale, scelta che potrebbe apparire quasi tetra ma che, a nostro parere, è molto azzeccata perché così potrete vedere ben in risalto l’uso che Gustav fece del color oro, che lo consacrò nel periodo omonimo.

D’altronde Klimt, nato nel 1862 a Baumgarten, un sobborgo di Vienna, era figlio di un orafo affermato quindi è comprensibile quanto, sia nelle scelte cromatiche che nell’uso che fece di fregi carichi di simboli, ne fu influenzato nel corso di tutta la sua vita. Ma i Klimt, la madre una cantante lirica mancata e i sei fratelli, avevano quasi tutti doti artistiche: in più sale vi imbatterete in alcune opere di Ernst, probabilmente oltre all’autore de Il bacio, il più noto tra i Klimt perché insieme al fratello e a Franz Matsch fondò la comunità d’artisti Künstler-Compagnie che si occupò della decorazione di numerosi edifici in Austria e all’estero e anche perché sposò Helene Flöge, sorella di Emile. Ma Ernst, come potrete vedere nelle sue opere esposte, non riuscì a essere originale e ‘oscuro’ come Gustav: è forte in lui l’influenza dei preraffaelliti, le sue figure femminili appaiono come esseri ancora troppo angelicati e il simbolismo non è ancora così determinante. E continuando per la mostra, tra Giuditta, Le Amiche, La Sposa, Il Ritratto di Signora e altre opere, si arriva alla fine del percorso dove una maestosa sorpresa aspetta i visitatori. Ma di ciò non ci sentiamo di dire nulla perché va vissuta in tutta la sua bellezza.


di Mariagrazia Gallù e Paolo Ricci