Budapest 1956: la rivoluzione

giovedì 28 ottobre 2021


Nel luglio del 1956, ad appena un mese dalle giornate polacche dell’insurrezione di Poznan, Ernò Gerò sostituì alla guida del Partito Comunista ungherese il fuggiasco Mátyás Rakosi, riparato in Unione Sovietica allo scoppio della rivoluzione. Hannah Arendt, nel suo “Le origini del totalitarismo”, evidenzia che “nulla è più caratteristico dei movimenti totalitari in genere, e della qualità della fama dei loro capi in specie, come la sorprendente rapidità con cui questi sono dimenticati e la sorprendente disinvoltura con cui sono sostituiti”; così mentre il vertice politico-istituzionale ungherese continuava in un incessante walzer manovrato dal Cremlino, la nazione ungherese prendeva in mano la situazione contrapponendosi proprio a Mosca sulla pregressa scia della Polonia.

L’occasione si offrì il 22 ottobre quando circa cinquemila studenti si radunarono per manifestare la loro solidarietà alla popolazione polacca. Gli studenti si riunirono alla facoltà di tecnologia di Budapest; al termine della riunione, durata parecchie ore, formularono il manifesto della rivoluzione in ciò che è passato alla storia come “i sedici punti”. Le richieste più importanti riguardavano il ritiro delle truppe sovietiche dal territorio ungherese; elezioni libere e a scrutinio segreto; un processo a Rakosi e ai suoi aguzzini; la riorganizzazione dell’economia e dell’industria ungherese; la libertà di circolazione, di opinione, di espressione, di stampa e di radiocomunicazione. Al termine della riunione gli studenti ritennero opportuno trasmettere i sedici punti alla radio per infondere coraggio e fiducia tanto alla Polonia quanto e soprattutto alla stessa Ungheria non più disposta a vivere sotto i talloni di Mosca. Si decise, quindi, una manifestazione per il giorno 23 di ottobre tentando di recarsi alla sede centrale di Radio Budapest per trasmettere il manifesto.

Il ministro degli Interni, fidato uomo di Gerò, non disponeva dei mezzi per fronteggiare una ingente forma di protesta, così che verso mezzogiorno dello stesso 23 ottobre la radio emise la comunicazione che tutte le manifestazioni pubbliche a Budapest erano assolutamente vietate. Il meccanismo era però ormai in movimento e sempre più persone affollavano le piazze della capitale. Quasi 30.000 persone erano assiepate, ignorando il divieto di manifestare, verso le 16,30 nella piazza Bem, una delle maggiori della città. La situazione stava irreversibilmente precipitando. A Mosca un trepidante Nikita Kruscev riceveva dispacci continui da Budapest, fin quando il maresciallo dell’Unione Sovietica, Georgij Zukov, lo avvisò che Gerò aveva espressamente richiesto l’intervento militare per sedare una manifestazione difficilmente controllabile. Furono presi d’assalto tutti i simboli sovietici e vennero bruciate pubblicamente le opere di Marx, Lenin e Stalin; le statue di quest’ultimo, con un braccio teso ed un paterno sorriso, vennero abbattute, sfregiate e letteralmente fatte a pezzi a mani nude.

Kruscev acconsentì, e già nel tardo pomeriggio i comandi dell’Armata Rossa in Ungheria furono allertati. La manifestazione si era intanto ingrandita a dismisura e parecchie migliaia di dimostranti avevano raggiunto anche la piazza dinanzi al Parlamento ungherese. Il complesso di edifici di Radio Budapest fu presto raggiunto dai dimostranti, ma era ben protetto dalle forze di sicurezza e dalla polizia politica: in tutto circa trecento militari completamente armati e con l’ordine di sparare a vista. Dopo sanguinosi scontri armati la folla riuscì a impadronirsi dell’edificio della radio, ma senza poter trasmettere il messaggio, poiché vi era un altro trasmettitore all’interno del ministero degli Interni in grado di controllare e sabotare le frequenze. Il palazzo di Radio Budapest venne allora incendiato. La situazione era completamente sfuggita di mano ai “proconsoli” di Mosca in Ungheria. A Mosca, Kruscev convocò i suoi uomini più fidati per decidere il da farsi.

I capi militari optavano per una dura risposta militare; unica voce fuori dal coro quella di Anastas Mikojan che riteneva si dovesse seguire la pista più morbida come fu in Polonia nel giugno precedente. Qui era stato insediato Władysław Gomulka ben visto dalla popolazione. Lo stesso si doveva fare a Budapest reinsediando Imre Nagy come primo ministro. Kruscev acconsentì all’insediamento di Nagy, acerrimo rivale di Gerò, essendo del tutto insoddisfatto di come quest’ultimo aveva gestito l’intera faccenda fin dal principio. Kruscev decise inoltre di mandare emissari per controllare sul campo l’evolversi della situazione. Partirono per Budapest lo stesso Mikojan con l’ideologo Michail Suslov. Inoltre, furono inviati anche il capo del Kgb, Ivan Serov e il capo di Stato Maggiore, generale Mikhail Malinin.

Nella notte fra il 23 e il 24 ottobre, Nagy assunse nuovamente, e dopo tanto tempo, per mano dei sovietici, cioè di coloro che lo avevano estromesso anni prima, la carica di primo ministro come garante per l’una (il popolo ungherese) e per l’altra parte (Mosca), affiancato da Janos Kadar. La macchina militare sovietica però si era già messa in moto e l’intervento con l’uso della forza era stato comunque deciso. Fra le due e le tre del mattino di mercoledì 24 ottobre 1956 le forze sovietiche entravano così a Budapest. Poco più di 6.000 uomini con 700 carri armati della 2ª e della 17ª divisione meccanizzata stanziata nei quartieri militari sovietici di Szekesfehervar invasero i quartieri della capitale. Altri 20.000 uomini al confine occidentale con l’Austria, 1100 carri armati e circa 200 velivoli erano stati messi in allerta.

Il pugno di ferro di Mosca era pronto per sferrare un colpo ferale alla tenace richiesta di libertà e di democrazia del popolo ungherese stanco del comunismo, dello stalinismo, della presenza russa in suolo patrio e delle continue vessazioni, torture e devastazioni che venivano perpetrate a suo danno. La rivoluzione aveva senza alcun dubbio avuto inizio e così la sua brutale repressione. La partita, però, era ancora aperta: avrebbe vinto chi fosse riuscito a resistere più a lungo fra la carne e il sangue di Budapest e l’acciaio di Mosca.

(*) Leggi il primo capitolo

(**) Leggi il secondo capitolo


di Aldo Rocco Vitale