venerdì 8 ottobre 2021
Troppo grandi per giocare ai pupazzetti, troppi piccoli per uscire fino a notte fonda. L’occasione per tirar tardi, però, era offerta dalla serata con gli amici diventata un appuntamento fisso: patatine, bibite analcoliche con quantità di zuccheri oltre limite umano. E luce rigorosamente spenta.
Il 1989 e il 1990 sono gli anni del fumetto Dylan Dog, di “Personal Jesus” dei Depeche Mode e “Cowboys from Hell” dei Pantera. Ma anche di “Zio Tibia picture show” (successivamente “Venerdì con Zio Tibia”), programma in onda su Italia Uno e condotto da un pupazzo, ispirato a Uncle Creepy: volto putrefatto, capello lungo, viveva in una cripta insieme al cane Golem e, in un secondo momento, all’assistente Astragalo. Iniziava così un viaggio di formazione “horror”, tra film “cult” del genere e opere di dubbio gusto che, però, hanno lasciato il segno in chi, ai tempi, se ne fregava del Festivalbar perché aveva bisogno di emozioni forti, o presunte tali.
“Maltrovati... cari zombetti”: Zio Tibia, con la sua risata perfida (con la voce di Fabrizio Casadio), salutava il pubblico alla sua maniera, prima di dare spazio a pellicole come l’Ammazzavampiri, Venerdì 13, Morte a 33 giri, La Casa 2, Brivido oltre a episodi della serie tv Nightmare. Roba forte, dove la paura era dietro l’angolo, soprattutto per gli scherzi che in taverna si susseguivano con ritmo incalzante. Quella paura per l’ignoto che accompagnava, inesorabile, lungo il tragitto verso casa.
Qualche anno fa è uscito il libro “Lo spiacevole ritorno di Zio Tibia”, a cura di Giuseppe Lippi. L’introduzione di Fabio Genovesi è un omaggio a chi, ormai più di trent’anni fa, aveva smesso di giocare con i pupazzetti ma non aveva ancora lo sprint per invitare l’amichetta a una passeggiata al mare: “Siamo così, siamo artigiani dell’emozione. Ce l’abbiamo nel sangue, è una cosa legata alla nostra generazione e anche alla nostra famiglia. Perché col tempo magari siamo diventati padri, professori, medici, imbianchini, benzinai, avvocati o elettricisti, ma nel profondo siamo ancora i nipotini dello Zio Tibia. E nel silenzio della notte lo zio viene da noi, ci sorride con quel sorriso sdentato, ci prende sotto il suo braccio scheletrico, e tutti fuori nelle tenebre a giocare”.
di Claudio Bellumori