Il sorriso di Leonardo

lunedì 13 settembre 2021


Personaggi della civiltà, il Rinascimento: Leonardo da Vinci

Il disegno che Leonardo fece a se stesso palesa un volto severissimo, accigliato, occhi che scrutano per loro natura e che penetrano, traforano. Ma quest’uomo serissimo diede all’umanità i più leggeri, evanescenti, indecifrabili sorrisi, nei suoi dipinti. Non soltanto nel celeberrimo sorriso della Gioconda, nel quale la Gioconda esiste fondamentalmente in quanto esprime “quel” sorriso, ma pure, meno approfonditamente, direi meno filosoficamente, “quel” sorriso è pure nel volto di San Giovanni, della Madonna e di Sant’Anna, nella Vergine delle Rocce. E che sorriso è mai? E perché Leonardo fa sorridere le sue figurazioni? Innanzitutto è un sorriso, non un riso, anzi differente dal riso. Il riso si evidenzia, si accentua, è rivolto all’esterno; il sorriso accenna, è al confine dell’essere e del non essere, spesso rivela un qualcosa che vorrebbe non rivelare. O lo nasconde. I sorrisi di Leonardo che significano? Perché Leonardo ha dipinto volti sorridenti? Prendiamo San Giovanni.

Non è arruffato di capelli, non smagrito dai digiuni nel deserto, la sua carnagione non è bruciata, inaridita dal sole, niente di selvatico in Lui, anzi è giovane, quasi adolescente, pelle rosa intenso, liscia, rotondità femminee, sguardo tenero ed il sorriso mentre con le braccia e le mani indica qualcosa che non appare. Ciò che viene indicato ma non appare lo immaginiamo, è il Messia. Il sorriso cela e svela, accenna il segreto di quella prodigiosa venuta. Giovanni né è lieto, ma non eccede, è, appunto, il segreto di un evento che accadrà. Il sorriso di Giovanni è dunque la felicità velata del Messia atteso. In Sant’Anna, la Vergine e il Bambino, il sorriso è spiccatamente materno, anzi doppiamente materno. Sant’Anna sorride dietro il sorriso di Maria, che sorride al piccolo Gesù. In un certo senso, il sorriso di Sant’Anna trapassa la figlia Maria per sospingersi fino a Gesù. Questo raddoppiamento di sorriso materno, questa duplicazione di maternità palesata nel duplice sorriso è il tratto supremo del dipinto, un raffinato compiacimento materno, di Sant’Anna verso la Figlia ed il Figlio della Figlia, mentre Gesù bambinello inconsapevole riceve quegli amorosi sguardi e le bocche delicatamente curvate, dagli occhi e dalla bocca fiorisce il Sorriso. Ma il Sorriso assoluto, per eccellenza, ineguagliabile è sul volto della Gioconda.

Il volto della Gioconda è serio, dignitoso, una personalità di rango che rispetta se stessa, “posa” e sa di posare. Il sorriso è al minimo, e l’occhio che guarda consapevolmente chi lo guarda, costituisce, appunto, il sorriso. Non è un sorriso di amore, non è l’annuncio è un evento felice, è, piuttosto, il sorriso della autocoscienza, di chi sa che viene guardata, lo riconosce e sa anche di essere guardata come donna, e sa che forse verrà guardata per sempre e prova un orgoglio che trova manifestazione in quel sorriso minimo come a dire: so chi sono, so che mi guardi, so di essere donna e che mi guardi come donna, e mi stai ammirando, sì, mi giudichi, sono ammirata, vero, lo so, lo sarò sempre. Il sorriso della Gioconda è rivolto a sé nella consapevolezza che Lei viene osservata dagli altri, la Gioconda è consapevole in sé dell’essere guardata, sa di essere guardata e guarda con questa consapevolezza, il sorriso è un sorriso di autocoscienza, ripeto, nel sapersi guardata e nel dichiarare sottilmente di sapere di essere guardata, non soltanto guardata ma ammirata, e Monna Lisa ammira se stessa nel sapere di essere ammirata dagli altri.

È il Ritratto della consapevolezza di sé e del sapere che gli altri la guardano. Consapevolezza di apprezzamento di sé e lievissima ironia verso gli altri che non si rendono conto che Lei sa di essere guardata e sa perché la guardano, che è Lei a guardare non Lei oggetto dello sguardo. Il volto in primo piano, composto, signorile, in atteggiamento nobile, privo di lucentezza, di sfolgorio di colori, rifinito al grado ultimo, consistente ma garbato, guarda con distacco e una certa superiorità, Leonardo impresse l’orma dell’unicità, del ritratto più concentrato di femminilità mai dipinto, perché è nella cognizione del proprio essere donna che si svela il sorriso della Gioconda, Monna Lisa sorride perché sa di essere ammirata come donna.

Con la Gioconda inizia il ritratto mondano, l’uomo, la donna senza accrescimenti religiosi o vesti sacre, inizia, dicevo, nella sembianza più elevata, la coscienza di sé e dell’altro nella coscienza di sé, la coscienza di esistere, di vivere, di essere quell’individuo, e, nel nostro caso, di essere quella Donna, Monna Lisa, e di sapere di esserlo e di essere guardata. È il ritratto più cosciente, Io sono, so di essere, so che gli altri vedono che io sono e comprendono chi sono. Siamo nella piena affermazione dell’individualità. Di ritratti ve ne saranno una enormità, comincia l’epoca dei ritratti, e qualcuno, ad esempio Antonello da Messina, perfino, quasi, concepisce il ritratto come autocoscienza di sé e coscienza che l’Altro ha coscienza di me ed io di lui che ha coscienza di me. È l’affermazione magistrale, insisto, della individualità come consapevolezza relazionale, è la mondanità radicale. Gli altri faranno meravigliosi ritratti di personaggi, ma Leonardo ha superato il ritratto, e basta, Leonardo ha concepito e attuato il ritratto dell’individualità consapevole.

Leonardo non è pittore di getto, di ispirazione febbrile, può darsi che lo fosse ma cercò di ragionare sull’impeto. La sua è pittura e scienza della pittura. Vi è in Leonardo una concentrazione studiata che rende intense le sue opere, non ha la bellezza netta, sfolgorante di Raffaello, non ha la potenza maestosa di Michelangelo, non ha la tragicità cupa di Caravaggio, non ha il disfacimento dei corpi come nell’ultimo Rembrandt o Tiziano, lo somiglierei piuttosto a Vermeer, alla capacità di condensare in quadri relativamente piccoli un momento assoluto che immobilizza il tempo. La Gioconda ci dà tale fissità di eterno presente.

 Leonardo nacque a Vinci, in Toscana, nel 1452, pare non abbia conosciuto la madre. Il padre lo mise a bottega da un pittore di vaglia, il Verrocchio, e durante l’apprendistato Leonardo dipinse L’Annunciazione e L’Adorazione dei Magi, quadri maturi e di elevata, serena concezione, come sempre avverrà in Leonardo. Un lungo periodo, dal 1482 al 1499, lo trascorse a Milano, alla corte di Ludovico il Moro. È in questi anni che compie l’opera più estesa, L’ultima cena, a Santa Maria delle Grazie. L’accordo tra le posizioni delle figure degli apostoli, la loro espressione personale, la coloritura degli abiti, la delicatezza soffusa di spiritualità dell’ambiente e dello sfondo in cui dalle arcate viene luce e si coglie la natura, la sospensione aerea del tutto non è comparabile per finezza quasi immateriale, è suprema raffinatezza.

Leonardo non rende tragica, drammatica l’ultima cena, la cena del tradimento, ma la sospende nella celestialità di Gesù, che oltrepassa la miseria morale umana e irradia benevolenza amorosa. Compose anche la strana Vergine delle rocce, dalle oscure tonalità coloristiche, ed il cavallo per il monumento a Francesco Sforza, distrutto nel 1499 quando Ludovico il Moro perdette il potere.

Successivamente la vita di Leonardo diventa errabonda, Venezia, Mantova, Firenze, dove ha la rovinosa vicenda di un dipinto, La battaglia di Anghiari che si disfà nel mentre Leonardo lo dipinge, forse per non opportune mescolanze sperimentate di colori, tuttavia è a Firenze che dipinge la Gioconda. Si reca di nuovo a Milano, poi a Roma, infine dal Re Francesco I, dal 1517 al 1519, muore nel Palazzo di Cloux, nella Loira, che il Sovrano francese gli aveva concesso.

Con Leonardo ha inizio l’Era Scientifica. La Natura, umana, ma anche animale, vegetale, minerale, e le macchine sono studiate ed inventate in modo ossessivo, una curiosità inesausta, un voler sapere, un’indagine conoscitiva ma anche pratica, utilitaristica. Lo studio dell’uomo, della Natura, l’invenzione delle macchine con Leonardo divengono, dicevo, un’ossessione, lo scopo ultimo di Leonardo è rendere scientifica l’arte e artistica la scienza. In effetti i suoi dipinti sono studiatissimi e i suoi disegni scientifici arte. Leonardo entrò nel corpo umano, lo sezionò, lo capillarizzò, lo spartì, inoltre inventò presso che l’inventabile su quanto l’uomo poteva compiere, volare, immergersi, armarsi. C’è un dilettantismo illimitato in Leonardo, l’invenzione libera di manifestarsi senza argini, un osare il non concesso all’uomo. Leonardo è Ulisse e anticipa Faust e l’intera epoca moderna.

Ma non contrappose arte a scienza, scienza ad arte, fu un umanista rinascimentale. Una delle personalità più colme di terrestrità dell’intera storia. I suoi disegni sono raccolti in tre codici, Atlantico, a Milano; Arundel, a Londra; Madrid, a Madrid. Possiedo un librone di molti chilogrammi, un tutto Leonardo, atomo per atomo, da sfogliare come la Divina Commedia dell’arte e della conoscenza.


di Antonio Saccà