I due Pennacchi del “fasciocomunismo italiano”

giovedì 5 agosto 2021


A 71 anni per un malore improvviso è morto lo scrittore Antonio Pennacchi, detto il “fasciocomunista” e vincitore del Premio Strega nel 2010 con Canale Mussolini. Il mio ritratto inedito. Ricordo Antonio Pennacchi a un dibattito nella cittadina dove vivo, Velletri, e non mi rimase simpaticissimo. Ma avevo lavorato a Il Giornale a stretto gomito con il fratello dello scrittore, Gianni Pennacchi. E Gianni, scomparso prematuramente a 64 anni nel 2009, era un romantico, un po’ dandy, soprattutto un buono. E un fior di giornalista, un vero cronista parlamentare: acuto, ironico, indipendente. Il Pennacchi giornalista era stato una colonna di Stampa sera e successivamente, sotto la direzione di Carlo Rossella, era stato inviato di punta a La Stampa. Poi negli anni Novanta Ricky Levi lo volle a L’Indipendente, dove incontrò Vittorio Feltri, il quale lo portò con sé a Il Giornale, dopo le dimissioni di Indro Montanelli. Insieme a Bobo Craxi, Gianni Pennacchi ha scritto la storia degli ultimi anni di Bettino Craxi, da Tangentopoli alla morte in Tunisia.

Gianni ci parlava del fratello scrittore in modo altalenante, ma erano più le sfuriate degli encomi. Ogni tanto si sfogava di brutto, volavano telefonate al fulmicotone, siamo stati dirimpettai di scrivania e me lo ricordo bene. Tuttavia lo elogiava come romanziere, gli riconosceva la capacità di narrare, ma non gli perdonava la rudezza e la maleducazione. “È un ignorante”, si lamentava, lui sempre raffinato con tratti dannunziani e idealmente un socialista. Era vero, salvo che il fratello Antonio aveva fatto della vena scorbutica la sua fortuna, nei rapporti, nella politica e nell’editoria.
Antonio e Gianni Pennacchi sono nati nell’Agro Pontino, a Latina, dove la famiglia veneto-umbra era giunta in seguito al piano di bonifica di Benito Mussolini. Antonio operaio per oltre trent’anni si era iscritto all’Msi, ma ne fu allontanato. Allora è stato maoista, socialista, Cgil, poi Uil, poi di nuovo Cgil, sempre “cacciato a pedate da tutti” per la sua antipatica trasversalità. Con l’inconfondibile basco in testa e sciarpa al collo da militante rosso, sfoggiava baffetti da regime.

Dalla sua esperienza missina nacque nel 2003 il celebre romanzo, Il fasciocomunista. Vita scriteriata di Accio Benassi appunto, da cui è stato tratto il film Mio fratello è figlio unico di Daniele Lucchetti. Insomma, Pennacchi era un grumo di rabbie di qua e di là. In realtà era più di là, ovviamente, verso gli operai e contro i fascisti e i borghesi. Per cui se c’era stata una cosa buona nel fascismo, come intuì sarebbe emerso con l’opera dell’Agro Pontino, la buttava subito dalla sua parte. Con lui infatti si identifica quel fenomeno a me sgradevole e che ritengo alla base dei mali del nostro tempo, che si identifica proprio col nome di “fascio comunismo”, cioè la caduta degli ideali, la commistione di idee e lo spregiudicato arrivismo sulle ceneri del pensiero unico. Memorabile lo scontro tra Pennacchi scrittore e Matteo Salvini, che trovò chi lo mise all’angolo sotto un rovescio di insulti: “Sua madre era meglio gli avesse dato un sacco di botte, così non diventava così”, gli rinfacciò l’autore. Inutili gli sforzi di Salvini di difendersi perché Pennacchi aumentava la dose, non sopportando nessuno che non fosse comunista e un comunista come lui. Buon viaggio irascibile, saluti al mite fratello e collega Gianni, che siate in pace almeno lassù.


di Donatella Papi