Raffaella Carrà, l’italiana per sempre del nazional-popolare

martedì 6 luglio 2021


Carramba che tristezza! Le prime pagine dei giornali grondano l’ultimo saluto a Raffaella Carrà: Raffa, l’ombelico d’Italia, la fantastica, la più amata, la regina della tivù, dal tuca tuca a caschetto d’oro, l’icona del pop. La triste notizia ha fatto irruzione alle 16.30 di ieri. Il 18 giugno aveva compiuto 78 anni e aveva ringraziato i suoi fans per gli auguri. Nessuno, neppure tra gli amici, conosceva il suo stato terminale, che ha voluto tenere nascosto. Solo poche parole del suo ex compagno e coreografo Sergio Japino: “Raffaella ci ha lasciati. È andata in un mondo migliore, dove la sua umanità, la sua inconfondibile risata e il suo straordinario talento risplenderanno per sempre”.

Un brutto male aveva aggredito il suo corpo. Diciamo la verità, per tanti che hanno attraversato i fantastici anni Ottanta si è come spenta una luce. Quella di Raffaella Carrà è più di una morte, è la fine di un’epoca. Basta un’occhiata ai giornali per capire che il suo “addio” coincide con una fase intricata e complessa. Prima il Covid, che l’aveva terrorizzata, poi il temibile male hanno stroncato anche una stakanovista come lei. Hanno detto bene gli ospiti di Quarta Repubblica, il programma di Nicola Porro imbastito per commemorare la “signora del piccolo schermo”, che l’uragano Carrà non si fermerà e la sua energia continua a produrre mito e storia, perché Raffaella è sicuramente un pezzo di storia di ciascuno di noi.

Dalle Canzonissima a Fantastico, dalle Domenica in alla neo tivù del Mezzogiorno col suo salotto un po’ trash e un po’ kitsch, il suo vaso di fagioli, inconfondibile intervistatrice e narratrice, ballerina e cantante, ma anche intrattenitrice della tivù di una volta che non usava la contrapposizione. Il suo nome è immancabilmente legato a quello di Biagio Agnes e Gianni Pasquarelli, i direttori generali della Rai servizio pubblico, e a quello dei direttori di rete Emmanuele Milano e Carlo Fuscagni, quando la prima rete era l’ammiraglia di Pippo Baudo. E la sua carriera coincide con il successo del “gruppo di Bandiera gialla” guidato da Gianni Boncompagni, a lungo suo partner, e da Renzo Arbore.

Raffa grande artista internazionale, perché la sua fama è corsa in tutto il mondo, dall’incontro con Franck Sinatra, che la portò a Hollywood, a quello fortunatissimo con la Spagna del dopo Franco. Come Al Bano e Romina Power Raffaella Carrà ha esportato il made in Italy nel globo. Invano si cerca un’erede, si fa il nome di Lady Gaga, ricordando il tributo che ha riservato Madonna al “tuca tuca” di Don Lurio ed Enzo Paolo Turchi nel tour Mdna del 2012. Così nacque l’icona pop. La rivoluzione di Raffaella Carrà è stata “gentile” anche se il suo sensualismo ammiccante ha rotto gli schemi di un Paese ingessato, mentre irrompevano il femminismo e le battaglie sui diritti. Ma da qui a farne un’immagine gay, come tenta qualcuno, è una forzatura dei tempi.

Certo Raffaella non si è mai scandalizzata, laica ma credente, soprattutto talent scout, cioè ammaliata dal talento e una delle sue ultime “creature” è stato Tiziano Ferro, in cui ha creduto quando era alle prime apparizioni. Possiamo dire che la Carrà sia stata “la Fracci dello spettacolo leggero”, perché con l’altra grande diva condivide un successo totale e un perfezionismo diamantino. Nonostante le distanze artistiche, Carla e Raffaella hanno segnato principalmente un metodo, che i giovani stentano a riconoscere. E cioè quello del “lavoro ostinato”, fatto di un incessante esercizio, di una meticolosa preparazione, di un credo nel merito e nella carriera di devozione, di ore interminabili in sala prove fino all’ultimo. Quindi simbolo smagliante di un paese che non c’è più, per cui non contano il partito e l’ideologia, ma l’appartenenza all’articolo 1 della Costituzione e a uno star system fondato sul valore e sull’identità. “Va in un mondo migliore”, ha detto Japino.

Pochissime parole che tradiscono una lacrima sul volto per un’Italia sfregiata dal degrado, che affonda nella crisi, selvaggia e straniera, in crisi identitaria oltre che economica. Facile capire che Raffaella in questa miscela di proibizionismo ed estraneità non si riconoscesse. Non possiamo dimenticare anche chi tanto l’ha avversata. Il “nazional popolare” della Carrà è stato il grande nemico delle sinistre, che hanno martellato contro la tivù che riconduceva le rivoluzioni in famiglia, mentre prendevano il largo il divorzio, il femminismo e le susseguenti battaglie liquide e omosessuali. Raffaella col suo “tuca tuca” e l’ombelico in vista ha accompagnato l’emancipazione incanalandola nella tradizione. È l’ultima regina della nazione unita, sempre pro e poco contro, della libertà ma anche del rigore, del lavoro contro l’assistenzialismo, internazionale ma anche e soprattutto un’italiana per sempre.


di Donatella Papi