I segreti di Ansedonia

giovedì 3 giugno 2021


Nel Comune di Orbetello, sul tratto più meridionale della costa toscana, sorge il promontorio di Ansedonia che raggiunge i 114 metri sul livello del mare, nel punto dove la nota Feniglia si unisce alla costa maremmana. Ansedonia è una celebrata località turistica con numerose ville, seminascoste nella ricca vegetazione mediterranea. Negli anni Cinquanta, prima che il turismo la conquistasse, sul promontorio di Ansedonia spiccavano solo le rovine dell’antica città di Cosa, le Torri di San Pancrazio, di San Biagio e la Torre Puccini.

Cosa, fondata nel 273 avanti Cristo da Roma, era una città munita da una possente cerchia muraria, difesa da ben diciotto torri, aveva un foro e un tempio dedicato a Giove, decadde con la fine dell’Impero e nel Medioevo finì in totale abbandono. Prima dei Romani questo angolo di Toscana fu segnata dalla presenza degli Etruschi e proprio in questo periodo etrusco-romano che venne eseguita una grande opera d’ingegneria idraulica, la Tagliata: un canale scavato nella roccia per impedire l’insabbiamento del porto cittadino.

Al lato della Tagliata si trova qualcosa di difficilmente decifrabile: il “Bagno della Regina”. È una lunga e profonda scissura naturale con adattamenti artificiali, altamente suggestiva. Anch’essa era un tempo comunicante col mare per mezzo di due cunicoli, che ora sono completamente ostruiti. La funzione di questo straordinario impianto, oggi, non appare chiara. Il “Bagno della Regina” è stato, perciò, oggetto di leggende e ha suggerito numerose ipotesi, alcune delle quali estremamente affascinanti. Per alcuni era un sotterraneo destinato a proteggere tesori, una sorta di caveau naturale, per altri, invece, era un tempio cabirico, o un tofet dove si svolgevano sacrifici umani; vi è infine chi è convinto che si trattasse di un deposito di mercanzie approntato dai Fenici.

La cavità si apre con una stretta grotta naturale che conduce a un grande vano cupoliforme, scavato nella roccia, che prende luce da un foro, posto alla sommità, ora semi coperto dalla vegetazione. Un altro cunicolo porta ad un secondo ambiente a forma di campana, anch’essa illuminata dall’alto; infine, un nuovo cunicolo ci porta nell’ultima cavità che doveva essere il cuore del complesso, anche questo vano è illuminato dall’alto, ma possiede una pianta ellittica. Coloro che protendono per un’origine sacrale del sito affermano che i macigni collocati nel centro di quest’ultima cavità, siano i resti di un altare.

È probabile che meandri sotterranei del “Bagno della Regina” proseguano ancora ma un ulteriore cunicolo è sbarrato da macigni e, dunque, il mistero è reso ancora più fitto. Un luogo del genere generò immediatamente dei miti e anche il nome che gli è stato dato è leggendario. Si racconta, infatti, che una regina etrusca lo fece costruire, per potersi bagnare e prendersi cura della sua persona in modo riservato, pertanto il “Bagno della Regina” sarebbe stata una beauty farm ante litteram.

A questa storia, un po’ frivola, se ne aggiungono, tuttavia, altre più fosche. La più tenebrosa di tutte è dovuta a Fazio degli Uberti che nel “Dittamondo” sentenziò che l’antro era una via che portava direttamente all’Inferno. Di certo queste narrazioni servono a preservare, nei luoghi conquistati dal turismo, un’identità folclorica dovuta a un connubio di storia e leggenda, un connubio pronto ad accogliere l’aspetto inspiegabile che si insinua, inevitabilmente, nello scorrere dei secoli.


di Pierpaola Meledandri