venerdì 28 maggio 2021
Il libro “Legge omofobia perché non va. La proposta Zan esaminata articolo per articolo”, a cura di Alfredo Mantovano, nonostante sia stato distribuito in libreria dal 18 marzo 2021, è stato oggetto di ripetute segnalazioni da parte di numerosi clienti che desideravano acquistare il saggio presso la catena di librerie Feltrinelli, ma si vedevano rispondere che Cantagalli (casa editrice del libro) è distribuito da Messaggerie Libri spa o che il libro è fuori catalogo ed è reperibile solo nelle bancarelle dei libri usati presente in tale catena (è presente invece e disponibile su librerie Feltrinelli on-line).
La libreria o la catena di librerie ha tutta la discrezionalità di poter scegliere quali libri vendere compiendo valutazioni di carattere commerciale, come un negozio di scarpe, dove la proprietà sceglie che modelli e che marchi proporre alla propria clientela. Tuttavia la libreria o la catena di librerie non ha diritto di rifiutare un ordine di una persona che è interessata al libro e intenda ivi acquistarlo, impedendo di fatto la vendita di un libro.
Ci si chiede allora se questo sia stato un semplice disservizio oppure una censura, dovuta all’oggetto del libro: una critica di carattere tecnico-giuridico al Ddl Zan. Un atto che dimostra, in anticipo, quali sarebbero gli effetti di questo provvedimento illiberale, che ha come principale obiettivo quello di far tacere chi la pensa diversamente in ordine alle tematiche principali dell’agenda LGBTQ.
Francesco Petrarca, nelle sue Rime, scrisse riguardo ai libri: “Ora questi, ora quelli io interrogo, ed essi mi rispondono, e per me cantano e parlano”.
In effetti è cosa nota che leggere aiuta a trovare una risposta a quelle grandi domande che la quotidianità non sempre permette di affrontare con la cura necessaria. Ma soprattutto si legge contro i poteri e le ideologie dominanti, i quali da sempre traggono vantaggio dall’ignoranza delle masse e, pertanto, hanno naturalmente tutto l’interesse che queste non leggano, e in particolare che non leggano certe cose – così come non gradiscono che si vedano certi film, o che si ascolti certa musica, o che si assista a certi spettacoli. Gli esempi storici sono molti. Possiamo ricordare il caso dei proprietari di schiavi delle colonie britanniche del Seicento che, nonostante un apposito decreto del sovrano Carlo II d’Inghilterra, non si lasciarono convincere ad istruire gli indigeni caduti in schiavitù ai precetti del cristianesimo: la sola idea di una popolazione nera colta li terrorizzava, perché sapevano che nei libri si potevano trovare idee estremamente pericolose. Dall’avversione dei potenti per la lettura, specialmente per quella libera e non controllata, nasce l’esperienza dei roghi di libri. Il più antico di cui abbiamo notizia è quello che distrusse le opere di Protagora, avvenuto nel 411 a.C. ad Atene; nel 213 a.C., invece, l’imperatore Shih Huang-ti cercò addirittura di eliminare completamente la lettura, attraverso la distruzione di tutti i libri esistenti nel territorio cinese. Fahrenheit 451 è il titolo del più celebre romanzo di fantascienza di Ray Bradbury, pubblicato nel 1953, ed è anche quella che l’autore riteneva essere la temperatura d’accensione della carta, cioè la temperatura a cui la carta comincia a bruciare. L’opera descrive un’ipotetica società futura in cui leggere o possedere libri costituisce reato e in cui il corpo dei vigili del fuoco, al quale appartiene il protagonista Guy Montag, non si occupa di spegnere incendi, bensì di appiccarli. Armati di lunghi lanciafiamme, i militi irrompono nelle case dei sovversivi e bruciano tutta la carta stampata che trovano, come vuole la legge; la stessa legge che prescrive che sia invece la televisione, controllata dal governo, l’unico mezzo di istruzione e di informazione dei cittadini. Si tratta certo di un’invenzione letteraria, di un prodotto della fantasia, e tuttavia non è poi così lontana dalla verità. Bradbury si era ispirato ad eventi realmente accaduti: alcuni antichi, come la distruzione della biblioteca di Alessandria, altri invece recenti, come roghi di libri organizzati dal regime nazista e la campagna politica di repressione messa in atto da Stalin, le cosiddette grandi purghe, durante le quali numerosi scrittori furono arrestati e giustiziati. La distruzione di libri o di intere biblioteche infatti è una pratica piuttosto comune, che non appartiene unicamente al nostro passato, ma che in determinati casi viene tuttora utilizzata. Essa nasce dalla necessità di cancellare informazioni o idee potenzialmente pericolose per il contesto storico in cui vengono attuate, e di solito è legata alla presenza di guerre o regimi dittatoriali, ovvero di situazioni in cui imporre un certo orientamento al pensiero comune diventa una priorità.
Chi consegna un libro alle fiamme spesso è consapevole della limitata efficacia del suo gesto: è probabile che altre copie dei libri distrutti rimangano in circolazione clandestinamente. I provvedimenti di carattere censorio possono susseguirsi senza sosta, ma il più delle volte non raggiungono gli effetti desiderati, perché di pari passo il divieto di leggere un certo testo riesce solo a generare un interesse ancora maggiore intorno ad esso. Il 10 maggio del 1933, nell’Opernplatz a Berlino, i nazisti fecero un grande rogo dei libri sgraditi al regime. I Bücherverbrennungen erano un atto simbolico di annientamento delle culture non sottomesse all’ideologia nazista, affinchè questo possa non più ripetersi , bisogna sempre difendere i libri come libera possibilità di espressione di idee e di pensiero, contro ogni censura. Tra le opere bruciate dai nazisti vi furono anche gli scritti del poeta Ebreo-tedesco del Diciannovesimo secolo Heirich Heine, che era molto amato dal pubblico e che nel 1820-1821 aveva scritto, nell’opera teatrale Almansor, un famoso verso di ammonimento: Dort, wo man Bücher verbrennt, verbrennt man am Endeauch Menschen (Là dove bruciano i libri, alla fine verranno bruciati anche gli esseri umani).
(*) Alfredo Mantovano, “Legge omofobia perché non va. La proposta Zan esaminata articolo per articolo”, Cantagalli, pagine 256
di Daniele Onori