giovedì 27 maggio 2021
Finalmente ho potuto intervistare qualcuno guardandolo negli occhi, e che occhi! Appuntamento a casa sua. Mi dirigo nel quartiere Camilluccia, a Roma, e al primo piano di un palazzo signorile trovo ad attendermi un signore gentile, dall’accento siculo, il quale mi fa strada per attraversare il lungo corridoio ed arrivare nel salotto. Lì, ad aspettarmi, seduto su una sedia a rotelle, che a me è sembrato un trono, avvolto in una mantella bordeaux, un giovanotto di 95 anni, che compirà il 17 giugno.
Sì, avete letto bene, “novantacinque anni”. Lucidissimo, una memoria di ferro, quattro lingue parlate correttamente, ma io faccio fatica a stargli dietro anche se parla solo in italiano. Figuriamoci con il tedesco, il francese, forse un po’ con lo spagnolo. Non disdegna di cantarmi qualche verso di canzoni napoletane, ricordi del suo amico Giacomo Rondinella.
Il personaggio in questione è Elio Pandolfi: attore, doppiatore, speaker radiofonico, cantante ma anche ballerino, mimo, regista, caratterista e tanto altro. Nato a Roma da due genitori adorabili: papà Saturno, custode dell’Istituto Tecnico Commerciale “Vincenzo Gioberti”, nel meraviglioso Palazzo Sora, dove abitò con la famiglia fino al 1954, e di Maria Queroli, la persona più importante della sua vita. Entrambi provenienti da Vivaro Romano, paese della provincia di Roma a cui Pandolfi ha dedicato un suggestivo cortometraggio.
Terzo di quattro figli, racconta un’infanzia felice e di come bastava poco per stare davvero bene. Fin da giovanissimo ha sentito il fuoco sacro del palcoscenico e questa predisposizione lo ha portato ad impegnarsi e a dedicare tutta la sua esistenza all’arte dello spettacolo. Il debutto, dopo essersi diplomato all’Accademia nazionale di arte drammatica di Roma, arriva nel 1948 a Venezia, nel ruolo di mimo-ballerino in Les malheurs d’Orphée di Darius Milhaud; lo stesso anno entra con Orazio Costa al Piccolo Teatro di Roma. Nell’anno successivo debutta alla radio, scritturato da Nino Meloni per la Compagnia del teatro comico musicale di Roma. Compagnia frequentata anche da Nino Manfredi, Renato Turi, Carlo Giuffré, Antonella Steni, Silvio Noto e moltissimi altri grandi che hanno fatto la storia della radio, della tv e del teatro italiano. Molti connotano Elio Pandolfi nella categoria di attori da rivista, anche se lui ci tiene più volte a rettificare dichiarandosi attore drammatico.
Ma se pensiamo alla sua carriera, non possiamo ignorare trasmissioni di rivista quali La Bisarca di Garinei e Giovannini (1949-51), La Briscola di Puntoni e Verde (1949-51), dal Giringiro (1951), a Caccia al tesoro (1952-54) ancora di Garinei e Giovannini, da La Canasta di Fiorentini a Rosso e nero con Corrado (1951-57) e Campo de’ Fiori, diretto da Giovanni Gigliozzi (1955). Fino ad arrivare a L’impresario delle Smirne, diretto da Luchino Visconti. Nel 1954 il debutto come cantante nell’operetta di Alfredo Cuscinà La barca dei comici, per poi dedicarsi all’attività teatrale con Wanda Osiris, Carlo Dapporto, Lauretta Masiero, Febo Conti e Antonella Steni. Il nome della Steni, amica e collega molto amata, compare spesso nella nostra chiacchierata. Negli anni ‘60, in pieno fermento dei cantanti urlatori, prese parte con Dino Verde a numerose trasmissioni radiofoniche di varietà, fra cui Urgentissimo, Scanzonatissimo, I discoli per l’estate e 20,30 Express.
Da notare, soprattutto per i più giovani, come alcuni dei titoli siano stati poi usati in anni più recenti per trasmissioni fatte passare per novità. La carriera di Pandolfi è infinita, impossibile raccontarla in un’unica intervista. Provo a riassumere le due ore di chiacchierata, tra aneddoti interessantissimi, di episodi vissuti accanto a grandi nomi dello spettacolo del Novecento. Il tutto contornato da pareti sulle quali non esiste uno centimetro quadrato libero, piene di fotografie: c’è quella con Bice Valori e Paolo Panelli che aspetta di essere consegnata alla figlia della coppia; c’è quella dell’amata mamma; ci sono diverse foto di Elio da giovanissimo, nelle quali sfoggia un fisico mozzafiato. Lui mi parla, e io, lo guardo incantata. Fisicamente dimostra almeno venti anni di meno, mentalmente invece, potrebbe dare una bella lezione a uno di trent’anni. Ogni parola è connotata da grande ironia.
Grazie Elio, grazie per avermi invitata a casa sua. Posso darle del tu?
Ma scherzi? Certo che puoi, devi!
Grazie… chi è quel signore chi mi ha aperto?
È mio figlio adottivo.
Vive con te?
Sì, sono tanti anni che sta con me. Mi aiuta in tutto, è molto caro.
Come stai?
Sto bene. Ho qualche problema alle gambe, vedo poco e sento meno, nell’insieme però sto bene. Avrei ancora tante cose da dire.
E non le puoi dire? Chi te lo impedisce?
Beh, se volessero, potrei andare in tv e raccontare tante cose. C’è tanta gente che ricopre ruoli che francamente non dovrebbe. Anche nel teatro. Non voglio essere polemico, ma è così.
Cosa bisognerebbe fare per mettere le persone giuste al posto giusto?
Mah, non so. Ai miei tempi un provino era una cosa seria. Si valutava a lungo e con attenzione se un attore potesse davvero interpretare un certo ruolo. Questi di oggi si sentono tutti troppo sicuri. Sono tutti uguali, io non riesco a distinguerli (a parte che non la vedo più la televisione, meglio non vederla), non c’è più quella attrattiva come ce l’avevamo noi: che c’è stasera in tv? Vita col Padre. E allora sì che vedevi cast incredibili. Ora per vedere qualcosa di interessante bisogna andare su Rai 5 dove fanno tutti gli spettacoli di allora. Che fior di attori, che bravura, anche di secondi ruoli.
Quanto è importante l’attore-spalla nel teatro?
Importantissimo! Innanzitutto, deve essere una spalla valida. Alcune davvero eccezionali, come Gianni Agus, un attore e un individuo estremamente simpatico, Carlo Rizzo, Mario Castellani, famosa spalla di Totò. Quando la Magnani faceva già spettacoli di categoria extra, nessuno la conosceva. Anche se sulla locandina si leggeva così: Anna Magnani, in primis. Poi: Giacomo Rondinella, Raimondo Vianello, Mario Riva, Diana Dei, Marisa Merlini. Ed erano tutte parti di fianco per valorizzare lei, la prima attrice. Per alcuni di loro era solo un rodaggio per poi passare ad essere protagonisti, altri sono rimasti spalla a vita. Bisogna avere la fortuna di trovare chi crede in te e ti da fiducia. Io feci uno spettacolo a Napoli che si chiamava: Diavoletion, pensa un po’. Eravamo in ditta io, Antonella Steni, con la quale ho lavorato molti anni, Nino Taranto, Enrico Simonetti, Carlo Taranto. C’era una sintonia in tutto e per tutto.
Come sono stati i tuoi esordi?
La vedi quella foto lì? Quella in costume da bagno, io ero così. Ero considerato ballerino-canterino, chiacchierato. Non è stato facile.
Attore, doppiatore, mimo: come ti identifichi, dove ti collochi?
Io leggevo i libri a mia mamma, e non solo a lei, durante le notti di guerra. Cambiavo voce a seconda del personaggio che interpretavo. Mi capitò di leggere La vita di Bernadette e mentre ascoltavo la mia voce capii che avrei fatto l’attore drammatico. Ancora ricordo le battute del primo film che vidi al cinema con mia madre, rimasi sconvolto. Le ricordo tutte (me le ha recitate, nda). Anche se l’esplosione per il mondo dello spettacolo dentro di me avvenne quando andai a vedere il primo film musicale. Pensa che Biancaneve e i sette nani, che so a memoria, l’ho recitato nella piazza di Vivaro Romano nel giorno della festa patronale. Tutto da solo. Fu un trionfo. Mi dicono che nel corso degli anni ho fatto “solo” seicento voci. Ora che sono sul viale del tramonto, ogni tanto mi metto a guardare quello che ho fatto. Per vedere se davvero ero capace. Soprattutto mi piace rivedere i ruoli drammatici. Perché sai, me ne hanno dette di tutti i colori. Spesso venivo appellato con nomignoli. Io ho cercato di sentirmi e vivere per quello che ero.
Ha contato per te il giudizio altrui?
Ma no, alla fine il talento prevaleva su altri fattori e tutto sommato era un giudizio positivo. La cosa più bella è che sono nato a suon di musica. Quando mia mamma era incinta e io mi agitavo nella pancia, negli ultimi tempi della gestazione si accorse che quando cantava le arie io mi calmavo. Anni dopo, ero nascosto in un sarcofago nella scuola Gioberti, e cantavo (mi canta per intero O mio babbino caro di Giacomo Puccini), evidentemente era una reminiscenza. Amo la musica tutta, quella napoletana poi non ne parliamo. Il mio amico Giacomo Rondinella, che voce, che pulizia: si avisse fatto a nato (mi canta quasi tutta Malafemmena). Io ho anche insegnato canto, in particolare a un baritono tedesco [e mi canta una canzone in tedesco], l’impostazione anche fisica è importante sul palco. Bisogna essere protagonisti con il corpo, con la faccia e con la voce. È un insieme: cantare è come recitare, i fiati vanno dosati allo stesso modo.
Cosa pensi della musica rap?
Non è per me. Non penso. Io vado avanti con le melodie che canta Mina, Milva per esempio. Lei l’ho conosciuta tanti anni fa a un provino, era il 1959. Era sconosciuta ma quando aprì la bocca: oh, che voce e che personalità. Aveva le scarpe strette, chiese se poteva esibirsi a piedi nudi. Siamo diventati amici, ha fatto una carriera stupenda, ha cantato in tutto il mondo. L’ho aiutata a togliere qualche difetto di pronuncia con il tedesco (e mi parla per alcuni minuti in tedesco imitando Paperino. Poi mi intona una canzone tratta da Giulietta e Romeo).
Come è avvenuto l’incontro con tuo figlio adottivo?
(Mi parla con l’accento siciliano). Ho conosciuto suo padre, lavorava con me. Fu una grande amicizia. Aveva una casa bellissima davanti alle Eolie, a Milazzo. Era il 1954, feci amicizia con questa famiglia, d’estate me ne andavo anche per un mese a casa loro. Poi morì mia madre e io restai solo. Suo padre mi chiese di adottarlo e io accettai.
Hai avuto la vita che volevi?
Questo non lo so. Per tutto quello che ho dimostrato di saper fare, forse avrei potuto avere di più. Probabilmente sapevo fare troppo.
E nel privato, hai avuto quello che volevi?
Sono felicissimo di essere nato a Roma ed avere avuto la mamma che ho avuto. Lei si accorse che io avevo qualche cosa in più. Lei mi adorava ed era adorata da tutti. A volte ero additato come facevano con gli ebrei. Un giorno raccontai a mamma di un episodio, io ora non te lo racconto altrimenti lo scrivi, lei disse: “Che c’è di strano, se è successo doveva succedere. Senti Elio, non darti cruccio. Vivi come puoi se puoi, se non puoi, come vuoi”.
Sei stato fortunato ad avere una mamma così.
Sì, molto.
Vedo tante statuine di gatti, come mai non ne hai uno vero?
Ho avuto una gatta per 22 anni, Chicca. Ora mi sono intristito. Hai toccato un tasto che mi fa stare male (respira a fatica e mi preoccupo, ma subito si riprende). Ne avevo anche una da ragazzo che si chiamava Frou Frou, come Frou Frou del tabarin.. (e me la canta per intera).
Che rapporto hai con l’idea della morte?
Mi incuriosisce. Mi piacerebbe andare e ritornare per raccontare cosa c’è dall’altra parte.
di Giò Di Sarno