giovedì 27 maggio 2021
Il ventiquattro maggio ricorreva un anniversario degno di nota, il giorno in cui, nel 1915, l’Italia dichiara guerra all’Austria. Eravamo stati alleati con loro, la guerra già accadeva, e la Germania e l’Austria combattevano contro la Francia, l’Inghilterra e la Russia, l’Italia ebbe difficoltà ad entrare nel conflitto bellico. Infine, si comprese che i territori da noi richiesti erano sotto governo austriaco, assurdo dare guerra a Francia, Inghilterra, Russia se i territori richiesti erano in pugno all’Austria. È anche vero che l’Austria aveva accettato di concederli a noi, fossimo ancora alleati, ma potevamo fidarci, vinta la guerra, di riavere territori italiani utilissimi all’Austria e da tempo in sottomissione?
Sia come sia, Francia ed Inghilterra ci garantiscono quei territori e l’Italia si batte alleandosi con Francia, Inghilterra e Russia. Vinciamo. Ma perdiamo la pace, i territori promessi in parte non ci furono concessi. Ne vennero complicazioni. I socialisti dichiararono inutile tragedia la guerra; Gabriele D’Annunzio proseguì il conflitto, conquistando per qualche tempo Fiume; Benito Mussolini, da socialista fattosi interventista, esalta il nazionalismo oltraggiato, il reducismo, ed inizia la conquista del potere basandosi su gruppi abituati a combattere.
La guerra era stata cruentissima per l’Italia: seicentomila morti, spostamento di masse dal Sud al Nord, concessioni ai contadini strappati alla terra non realizzate, coscienza politica della povera gente, capi dell’esercito tutt’altro che affidabili, decimazione di soldati spesso in condizioni disumane, sacrificali. Eppure modernizzazione dell’industria, una maggiore coscienza nazionale, uno scuotimento sociale che inserì maggiormente il popolo nella politica. Nascono i partiti di massa: socialisti, popolari, comunisti. Si deprime il dominio dei liberali, il suffragio si estende, sarà il Fascismo a stabilire una soluzione all’avvento delle masse, in forme autoritarie.
Della Prima guerra mondiale resta per sempre l’eroismo umile, dolente, straziato del soldato che difende la Patria e serve una grande causa spesso ignorando di farlo o determinato a farlo. Leggere memorie, missive di tanti soldati, magari scritte ore avanti la morte, è una pena inconfortabile e riconoscenza senza fine. Vorremmo vivere senza guerre, senza nemici che vogliono dominarci. Vorremmo. Ma che fare se qualcuno ci offende, ci invade, ci strappa territori, ci sottomette, snatura parte di un popolo?
Siamo all’oscuro della situazione in cui si svolge il nostro vivere sociale. Non ci accorgiamo che viviamo difesi dalle forze armate, dai custodi dell’ordine. Gente che espone la vita per consentire ad altri la vita. Mai consegnare a costoro il potere, mai fare a meno di loro o spregiarli. Questa è la Patria, questo insieme difensivo ed affermativo, questa protezione dei nostri confini, questa certezza di un ordine pubblico libero, questo mantenimento di una civiltà nei suoi aspetti superiori garantiti: cultura, arte, benessere, difesi.
Volontà di affermarsi, di primeggiare, non dominare ma primeggiare, affermare se stessi, volere che ciascuno per sé, individuo e nazione, si elevino oltre sé, questa è la Patria, questa è la Nazione, prendere esempio da chi vale per valere, proseguire l’altrui nobiltà, essere sovrani in casa propria, e supremi quanto possiamo. Non sovranisti, non suprematisti, termini inadeguati che sfalsano i termini veri, non Stato governato dall’esercito o con forze di ordine pubblico, come se governare fosse fondamentalmente una faccenda di ordine pubblico.
Governare vale a dire sostenere, difendere, favorire la civiltà di un popolo, e civiltà vale a dire arte, cultura, natura, benessere per tutti o il maggior numero, tutelati da istituzioni che detengono la forza contro chi all’interno o da fuori stravolge questa civiltà. Fondare, tramandare, così fecevano i memorabili antichi, noi diciamo Grecia e suscitiamo la bellezza di statue e templi, e la potenza della ragione che comprende il reale.
Noi diciamo Roma, e ci figuriamo costruzioni da sgomentare, e in mezzo mondo propagate. Noi diciamo Medioevo, Rinascimento… e sempre appaiono arte, cultura, e sempre al sommo delle capacità umane, individui e popoli. Ecco la Nazione, ecco la Patria, contribuire alla Storia dell’Umanità, ciascuno a suo modo. Non basta esistere, occorre vivere. Vivere coniuga natura e società, far valere la propria terra, la propria lingua, la propria arte, non abbassando gli altri ma elevando noi.
Superarsi, perfezionarsi, valere e tentare di valere. Nessun pregio verso chi crede che soccombere conquisti l’uguaglianza. È il livello che conta, non l’uguaglianza se abbassa. Nessun timore di stimarci, anzi voglia di stimarci. Stimarci non è disprezzare gli altri ma non stimare noi stessi se non diventiamo stimabili, e diventiamo stimabili se riusciamo a renderci tali come individui, come patrioti e come uomini, non uomini generici ma uomini di una specifica nazione. La pianta di uva è stimabile, se suscita buona uva non un qualcosa di indistinto. Siamo natura resa storia, la natura per l’uomo passa per la storia ossia la nazione.
di Antonio Saccà