Testimonianze: la solennità della parola

martedì 30 marzo 2021


Ogni giorno ha la sua pena, dice l’Ecclesiaste nell’Antico Testamento. Noi di pene ne abbiamo più che una al giorno, e riguardano anche, e soprattutto, la nostra civiltà e la nostra cultura. Se la scuola e l’insegnamento sono ormai indiretti, il commercio lo diviene: i ristoranti, i ritrovi esporteranno le pietanze, le bevande, i teatri diverranno visuali e i rapporti tra gli esseri umani si affermeranno per immagini o voci trasmesse. Ma un’altra cosa preziosa è scomparsa: l’amore per la propria lingua, con tutti i ricordi che per mezzo di essa legano un popolo al suo passato. Da oggi i francesi non scriveranno più, per esempio, Luigi XIV ma Luigi 14, e altri Paesi agiranno similmente perché, così dicono, la gente, il “volgo”, non capirebbe quel modo di scrivere. Cancelliamo dunque le lingue nazionali, perché altri non le comprenderebbero!

Cominciò la Chiesa Cattolica a eliminare le liturgie in latino: un errore enorme, totale. Erano formulazioni millenarie, maestose, solenni, che distanziavano assai le formulazioni in lingua odierna. Ma quale sordo mentale può accettare “andate, la messa è finita” al posto del latino “Ite, missa est!”? Un conto è dire: “Tantum ergo sacramentum / veneremur cernui / et antiquum documentum / novo cedat ritui. / Praestet fides supplementum / sensuum defectui. Genitori genitoque / laus et jubilatio / salus, honor, virtus quoque / sit et benedictio. / Procedenti ab utroque / compar sit laudatio. / Amen”. Un conto è dire: “Un così gran Sacramento, dunque, adoriamo consapevolmente; ceda la vecchia Legge al nuovo sacrificio. Supplisca la fede al difetto dei sensi. Al Padre e al Figlio lode e giubilo, salute, potenza, benedizione. A Colui che procede da ambedue pari gloria e onore sia”.

E il Pater e l’Ave Maria? Santificetur, gratia plena. Sono espressioni sacre, solenni, intraducibili. Sostituirle con “sia santificato”, con “piena di grazia” significa accondiscendere alla “plebaglia”: dico “plebaglia” perché il popolo per millenni udì il latino e restò cattolico.

Non parliamo poi della catastrofe nel campo della musica: oggi nella “santa” messa suonano le “chitarrate”, quando le religioni, tranne l’islamica nemica della musica sacra, hanno concepito le più elevate composizioni proprio nella musica religiosa. È cosa orribile e indegna abbassarsi per acconsentire alla “gente” che così, invece di innalzarsi, per l’appunto si abbassa. Sciagurati amici francesi, Luigi XIV, segnato in cifre latine, si congiungeva ad una dinastia di cui era il quattordicesimo regnante, si riferiva ai Romani, apparteneva e voleva appartenere ai loro imperatori. Anche i Pontefici pongono numerazioni latine, eredi come furono degli imperatori romani. Non dobbiamo vivere di passato ma non dobbiamo abolirlo, distruggere la Storia, svuotare la civiltà, falsare la realtà. “Luigi 14”! Un misfatto volgarissimo: 14 va bene per il gioco al lotto, non per un Sovrano maestosissimo quale egli fu.

Al pensiero che un giorno si scriverà Pio 5, Bonifacio 8, Leone 13, se qualcuno scriverà Napoleone Uno, per indicare il primo Napoleone, è finita! Che desolazione passare per “passatisti” quando si vogliono salvare granelli di civiltà. Ma al peggio non vi è termine. Qualche parroco, per modernizzarsi, potrebbe togliere i grandi orologi sulle chiese con segni romani, che noi guardiamo con gioia e che precisano il tempo dell’epoca. “Un popolo senza passato è un popolo senza futuro”. Ed io concludo con una mia poesia.

 

L’ombra

 

Come ti avviene l’inerzia,

la svogliata voglia di non fare,

la noia di parlare e di ascoltare,

restare in una camera seduto,

non desidèri, non atti,

assaporare lo scorrere del tempo

come un passaggio dal nulla al nulla?

 

Perché finire la vita

se la vita non è finita!?

Ascoltami:

il Tempo perduto

non lo ritroverai.

Il cimitero del Nulla

copre di macerie

i tuoi anni

e dell'intera umanità.

 

Traccia qualche segno,

consegna opera e nome

al ricordo. Un silenzio muto

annienta il minimo dettaglio

degli esistenti.

Lascia che ti sopravviva

almeno l'ombra.


di Antonio Saccà