Il mondo che verrà: il cyber-feudalesimo

venerdì 12 marzo 2021


È un po’ come in Matrix. Le macchine hanno preso il potere e un’élite tecnologica domina il mondo. È il post-mondo. Quello più irreale, metafisico e virtuale che si possa immaginare. L’intuizione di un futuro distopico che renderebbe tutti meno liberi e con meno grano nel portafoglio. Se volessimo riportare sulla terra il nostro lettore, potremmo collocare temporalmente questo nuovo corso della storia poco prima che la rivoluzione francese scoppiasse in quel 14 luglio 1789 a Parigi. La presa della Bastiglia non è che il primo passo verso il baratro per milioni di francesi. Giacobini contro giacobini, lotta a chi è più puro e un Paese in fiamme che riscriverà le pagine della filosofia moderna. Ma in questo caso, nel nostro caso, tutto è meno palpabile. Più sofisticato.

Meno sangue scorrerà nelle piazze e meno teste saranno mozzate. In compenso, un esercito di leoni da tastiera è pronto giornalmente a scatenare il suo odio contro la classe dominante. Ci sono molti che scommettono su un potere nemmeno troppo occulto che sta distruggendo dall’interno la nostra democrazia. E Joel Kotkin, sociologo statunitense, questo lo ha capito. Ne scrive nel suo ultimo saggio “The coming of neo feudalism”, purtroppo ancora non pubblicato in Italia (ma potete ordinarlo agevolmente su Amazon). Per Kotkin democrazia e mercato sono sotto assedio. E anche la povera classe media non se la passa troppo bene. Tutta colpa delle Big Tech, ma non solo.

In una lucida intuizione, Totkin passa in rassegna le curve e le movenze della nostra società. E spiega bene in queste pagine come il declino della middle class sia la cartina di tornasole di un’evoluzione arrivata al suo culmine. E una minaccia che si cela dietro l’angolo. Dopo un’epoca meravigliosa di grande dispersione di ricchezza e opportunità, potremmo definire questo periodo storico l’età d’oro del sistema avanzato, stiamo inesorabilmente tornando verso un’età feudale caratterizzata da una maggiore concentrazione di ricchezza e proprietà, bassa mobilità sociale, stagnazione demografica e crescente dogmatismo. Se gli ultimi settant’anni hanno visto una massiccia espansione della classe media, non solo in America ma in gran parte del mondo sviluppato, oggi quella classe è in declino e sta emergendo una nuova società, gerarchizzata e chiusa all’interno dei suoi salotti.

Mainstream media, intellettuali, accademici intellettualmente disonesti e perversi del politically correct mettono in pericolo quella bellissima anomalia che è la civiltà occidentale. Totkin lo racconta così: “La nuova struttura sociale che va affermandosi ricorda quella del Medioevo. All’apice del nuovo ordine ci sono due classi: un’élite clericale rinata, il clero, che domina la parte superiore dei ranghi professionali, le università, i media e la cultura. E una nuova aristocrazia guidata da oligarchi tecnologici con una ricchezza senza precedenti e un controllo crescente dell’informazione. Queste due classi corrispondono al Primo e Secondo Stato francesi”. Sì, pensate bene, tutto questo avveniva poco prima dell’invenzione della ghigliottina come strumento politico.

“Al di sotto di queste due classi – continua il sociologo americano – si trova quello che una volta era chiamato il Terzo Stato. Ciò include la “yeomanry”, che è composta in gran parte da piccoli imprenditori, piccoli proprietari, lavoratori qualificati e professionisti orientati al settore privato”. Ascendente per gran parte della storia moderna, questa classe è in declino mentre quelli al di sotto di loro, i nuovi servi, o schiavi, crescono in numero: una popolazione vasta e in espansione. Senza libertà di scegliere e senza prospettiva alcuna verso il futuro.

La tecnologia, insomma, sarebbe una delle componenti che questo mondo rischia di erigere a grande dittatore. Basterebbe pensare al digitale. A quell’universo virtuale che sta sostituendo i rapporti fondati sulla concorrenza con delle relazioni basate sulla dipendenza, deregolamentando così la meccanica generale del sistema economico. Saremmo sulla soglia di una nuova epoca. L’epoca del tecnofeudalesimo. I diritti di proprietà intellettuale e la centralizzazione dei dati presuppongono un controllo molto più stretto su territori e individui. Il mercato è senza ossigeno, così come un suo elemento fondante: la concorrenza. Un po’ come accadde per la gloriosa Compagnia delle Indie Orientali, troppo grande e assoluta per ammettere dei competitor.

Ma da dove nasce questa nuova fase? Tutto partirebbe dalla California. Negli anni d’oro la Silicon Valley era la terra promessa del business per quanto riguarda la tecnologia. Qui si lavorava alla conquista dello spazio e allo sviluppo dei personal computer. Poi, più o meno improvvisamente, dal 2004 e il 2010 tutto quello che era la Silicon Valley è evaporato. E per la prima volta si sono iniziati a produrre prodotti globali che funzionavano su Internet senza la dipendenza di quello che i clienti richiedevano. Una vera rivoluzione culturale. I “venture capitalist” si sono concentrati allora su una domanda: cosa accadrà dopo? Intanto era nata già da qualche tempo PayPal, venuta fuori dall’idea di Elon Musk e altri. Si concentravano sugli utenti del web. Questi soggetti possono essere considerati i precursori dei social network. Nasce l’Internet delle persone. E negli anni Duemila queste aziende si sono moltiplicate.

Le grandi compagnie come Facebook o Google godono tutte di ampi poteri derivanti dal monopolio in cui operano. Limitano la competizione e quindi la forza del mercato. In soldoni, la democrazia è a rischio ed è a rischio per gli ampi poteri di cui godono queste big companies. È una sfida che ricorda le grandi battaglie del passato. Lo scopo del controllo è l’accaparramento di dati, considerati da molti l’oro nero dell’economia digitale. Alle corporation delle tecnologie dell’informazione non interessa promuovere la produzione ma accentuare la predazione, a cominciare da quella dei dati. A scapito degli Stati che mostrano sensibili segni di indebolimento e di incapacità nel contrastarne l’ambizione.

Un problema sempre più attuale, anche per la politica.

Come è il caso della leader di Fratelli d’Italia, Giorgia Meloni, che ha lanciato il suo “j’accuse” contro le Big Tech già nei mesi scorsi. In Spagna, nel corso di un evento organizzato dai Conservatori europei insieme al presidente di Vox Santiago Abascal, la Meloni aveva messo in guardia sullo strapotere delle multinazionali del web. E in una recente intervista a “The American Conservative”, la principale rivista dei conservatori americani, il presidente di FdI è tornata sul tema: “I valori della nostra tradizione occidentale sono sotto attacco in tutto il mondo. La battaglia è durissima e da parte della sinistra politica e culturale c’è una recrudescenza anche nel cercare di reprimere le voci di dissenso. Le grandi concentrazioni finanziarie, le Big Tech e gran parte dei media sono alleati del mainstream per sradicare tutto ciò che richiama ai concetti di identità e appartenenza per sostituire le persone e i popoli con individui e masse spersonalizzate, perfetti consumatori globali”.

I big del web si disputano, in soldoni, il controllo del cyberspazio. Mentre la classe media affonda inesorabile. È la culla dell’imperialismo cibernetico. Qualcosa che arriva dritto a casa tua. Che decide la tua vita. Senza neppure aver bisogno di una ghigliottina.

(*) Tratto da “La voce del patriota


di Michele Di Lollo