Al Bano Carrisi: il “viticantacoltore”

venerdì 19 febbraio 2021


Al Bano, all’anagrafe Albano Antonio Carrisi, figlio di Jolanda e Carmelo, mi concede questa intervista con grande generosità. La disponibilità di chi ha avuto davvero tanto dalla vita ma con non pochi sacrifici. Il suo modo di fare è diverso da come appare in tv, più rilassato e spudoratamente saggio. Sui Carrisi si è scritto e detto davvero tanto, ma è giusto ricordare alcune cose prima di inoltrarci in una chiacchierata piacevole come poche, tranne il rammarico di non avere un calice di vino in mano e trovarsi uno di fronte all’altro. Al Bano: 26 dischi d’oro e 8 dischi di platino, 15 volte a Sanremo, numero delle incisioni discografiche talmente vasto, tra quelle usciti in Italia e all’estero, che rimane difficile risalire alla cifra esatta. Sei figli, due mogli, film, libri, trasmissioni televisive, copertine di giornali, tante copertine. L’azienda vitivinicola Tenute Albano: la genesi di tutto sta nel vino Don Carmelo, intitolato alla memoria di suo padre, e il Platone, premiato nel settembre 2009 come “Miglior vino del mondo” tra quelli che producono i vip di tutto il pianeta. L’altro è il Felicità, vino bianco morbido che prende il nome della canzone dell’artista pugliese. Al Bano, inoltre, gestisce una trattoria tra i vigneti e gli ulivi del Salento, in cui vengono serviti prodotti tipici pugliesi e nazionali e vini della sua azienda. In giro per il mondo ama assaggiare i prodotti locali, ma quando è nella sua Cellino le orecchiette con le cime di rapa sono al primo posto. Al Bano ha infilato un successo dietro l’altro, è stato nominato “Ambasciatore di buona volontà” dell’Organizzazione per l’Alimentazione e l’Agricoltura delle Nazione Unite. Ama in modo viscerale la discografia di Modugno, ricorda i tempi del liceo come un periodo fantastico: una classe formata da 5 maschi e 32 femmine. Sostiene che l’amore sia un’opera d’arte e va plasmato con dedizione, anche se prima o poi qualcuno la romperà. Romantico, dolce, sognatore ma estremamente concreto. Lo trovo nella sua casa di Cellino attivo nella conversazione, dà consigli, suggerimenti, trasmette il suo sapere, oltre che la sua grande energia vitale. Un vero insegnamento per tutti quelli che si lamentano del nulla. Abituato a farsi carico di grandi dolori, ma anche di grandissime gioie. Si è donato, non si è lasciato intervistare passivamente. Un combattente e cultore delle cose autentiche, genuine, perché tutto parte dalla terra, dall’emozione di vedere un seme sbocciare. 

Imprenditore, contadino, cantante, viticoltore. Com’è la percentuale?

Io toglierei di mezzo la parola imprenditore. Gli imprenditori hanno una tecnica, usano strategie, studiano sul da farsi. Io invece sono un passionario, e passionale, in tutto quello che faccio. Lasciamo tutto il resto, tanto salto da una passione all’altra con la stessa intensità, alla fine diventa tutt’uno, senza distinzione e senza percentuali.

Tanti interessi in una sola persona, come si svolgono le tue giornate?

Dunque: alle 6:00 mi sveglio in modo naturale e accendo il fuoco. Do uno sguardo ai giornali e ai telegiornali. Guardo e ascolto tutto perché ogni testata offre un taglio diverso alla stessa notizia. Così anche per quanto riguarda quelli internazionali. Dopo la colazione faccio una camminata di un’oretta nel bosco, sempre qui a Cellino. Poi a casa per pranzo con la famiglia, i miei collaboratori, il direttore Paoletti. C’è da dire che amo molto cucinare e pare che mi riesca anche bene, sicché quando posso cucino per tutti. Nel pomeriggio solitamente mi dedico a capire che idee possono nascere e vado ancora nel bosco a camminare. Oltre ad essere un modo per tenere in forma il corpo tengo accesa la mente. La natura è la mia prima fonte di ispirazione. La sera verso le 22:00 riunione con tutta la famiglia attorno al tavolo da pranzo per una cena leggera, almeno per me.

A parte un bicchiere di vino con un panino, che senza dubbio può rappresentare la felicità, per Albano, che cos’è la felicità? 

E’ un’anguilla, appena la tocchi è già scappata. Si possono avere delle piccole piattaforme dove costruire pezzi di serenità. E lì puoi sviluppare i sostantivi con l’accento sulla a. La serenità come madre di tutte le situazioni.

Come si gestiscono tanti figli e di età così diverse, hai uno schema?

Il tempo. Ogni dieci anni ne ho sfornati due, a distanza di poco tempo. Appena camminavano mettevamo in cantiere quelli del decennio successivo.

 A 12 anni hai scritto una canzone “Addio Sicilia”, perché Sicilia, se abitavi in Puglia?

Perché mio padre mi raccontava sempre di una sua sorella che aveva sposato un siciliano innestatore di vigna. Si innamorarono e emigrarono in Argentina: la donna che lascia l’isola per avventurarsi verso un mondo sconosciuto. Partire era un po’ come morire. Ho rivisto questa mia zia due volte: nel 1959 quando è ritornata in Puglia per una breve vacanza e nel 1969 quando andai in tour da quelle parti. Andai e trovai tutta la famiglia contornata da 300 elementi. Una bella sensazione trovare tanti paesani in un luogo così distante da casa.

Come hai vissuto questa restrizione dovuta alla pandemia e che soluzioni abbiamo nel mondo dello spettacolo?

Il famoso bicchiere mezzo pieno e mezzo vuoto. Questa pandemia mi ha cambiato la vita, le abitudini e le priorità. Stare lontano dai palcoscenici non è stato facile, però ho fatto tanta televisioni. Mi sono goduto i figli, tutti, indistintamente. Chiaramente i due più piccoli sono sempre in casa, mentre i più grandi vanno e vengono. La quotidianità, i gesti più semplici, fermarsi a guardare un tramonto, ecco, questo è il lato positivo: bisogna coglierlo. 

Nel 1967 esplodi nel mondo con Nel sole  (Carrisi - Massara - Pallavicini), a distanza di anni rappresenta sempre un inno di rinascita. Ti sei mai chiesto il perché?

Venivo fuori da un altro successo, un brano che si chiama Io di notte, allora il maestro Vito Pallavicini mi disse che avremmo dovuto fare un pezzo a contrasto: solare. Così nacque questo inno alla luce sotto tutte le sue forme. Negli anni successivi gli Abba ebbero successo con Dancing Queen, se ci fai caso l’introduzione è l’inizio del mio ritornello. Avevamo pensato anche di fare un’azione legale ma non ci sono i parametri. Non supera le battute consentite dalla legge. Però è uguale. 

A 77 anni compiuti (ma se vuoi non dico l’età) hai l’energia di un bambino. Dove trovi tutta questa forza?

Secondo me è un dono del DNA. Tutti a casa mia sono forti di costituzione e attivi. Mio padre è andato via a 97 anni, mia madre a 92 anni, entrambi grandi lavoratori fino alla fine. La mia forza e il mio entusiasmo li devo a loro, alla mia infanzia. Ho zappato davvero, ho fatto l’imbianchino, il cameriere, il meccanico. A volte, pensando ai miei figli, credo che nessuno riuscirebbe a resistere a tutto quello che ho fatto io. Io mi drogo di vita, della bellezza di essa e cerco di coinvolgere tutti quelli che mi circondano. L’età la puoi scrivere, ne vado fiero. A maggio saranno 78. 

Ti sono mai venute le vesciche alle mani? 

Sì, certo, io zappavo sul serio. Tranne l’elettricista (per quello ci vuole uno studio approfondito) ho fatto tutti i lavori.

Che consiglio daresti alle persone che non sanno reagire alle inevitabili sofferenze della via?

Vuol dire che non hanno capito il senso della vita. Bisognerebbe leggere più spesso le biografie di chi ce l’ha fatta. Il successo, quello vero, è frutto di impegno, sacrificio, rinunce, sopportazione del dolore e reazione ad esso. Non si ottiene niente senza questi ingredienti.

La Russia, il ritorno artistico con Romina, i tuoi figli piccoli e tua madre sul palco. Mamma a 91 anni è voluta venire a Mosca per vedere il tuo concerto. Che momento è stato quello?

Un bellissimo momento. Sarò sempre grato ad Andrej Agapov per aver organizzato quel concerto per i miei 70 anni. In un primo momento ci dovevano essere solo alcuni colleghi, poi lui ebbe l’idea di Romina. Non ci avrei scommesso una lira perché non la vedevo da 15 anni, invece mi sbagliavo.

Sembri molto sicuro di te, cosa fai quando ti sbagli?

Lo sbaglio e lì per farti lo sgambetto: sbagliando si impara.

Quando racconti i tuoi esordi, di Milano, dei soldi che mandavi a casa, ti viene mai di confrontare la tua vita con quella di tanti stranieri che, pur guadagnando pochi euro, riescono a contribuire al sostentamento delle famiglie, proprio come facevi tu.

Hai colto un bell’aspetto, sì ci penso spesso. Basta vedere come vivono. Alcuni muoiono dal freddo, per malattie banali. Mi fa male pensare a queste realtà. 

Qual è la domanda che non ti hanno fatto e che avresti voluto che ti facessero?

Me le hanno fatto tutte.

L’abito fa il monaco?

C’è molta gente che si nasconde dietro l’abito e i superficiali ci cascano. No, l’abito non fa il monaco.

Credi nel destino?

Sì, te lo posso garantire per esperienza personale. Fai un piano e il destino te lo cambia.

Il vino più buono della tua cantina?

Felicità. E’ un Sauvignon. 

Hai assunto tanti ruoli nel mondo dello spettacolo, credi ci sia qualcosa che avresti potuto fare e che non hai ancora fatto?

Sì vorrei fare l’attore. Un bel ruolo adatto a me. Non vorrei interpretare me stesso, anche se i russi me lo hanno proposto. Però poi come al solito si parte da me e si va a finire su altri temi, 

fantasticano troppo. Io vorrei solo essere diretto da un bravo regista capace di tirare fuori l’attore che so abitare in me.

Progetti imminenti?

Mi sto preparando come una mitraglia per ammazzare il virus e vivere una vita normale. Chi si accontenta sopravvive, io voglio vivere. Questo virus ha portato via un caro amico, Detto Mariano. Una vita insieme, voglio tornare sul palco anche per lui, l’uomo che mi ha aperto la strada per tante cose importanti.

Cosa ti colpisce delle persone? 

Quando trovi gente positiva senti un brivido sulla schiena, provi il gusto dell’umanità. Il piacere di approfondire e capire l’altro. Amo circondarmi di gente semplice e concreta. Mentre non sopporto l’invadenza, le furbizie, i sotterfugi, le bugie. Sapessi quanti bugiardi ho incontrato nella vita…

Perché un certo tipo di stampa si occupa di te in maniera ossessiva e morbosa?

Ma lo sai che è una domanda che mi pongo spesso? Io, re del gossip, quando invece non avrei voluto proprio entrarci in questo vortice: non riesco a capire il perché. Ci vogliono nervi saldi per sopportare certe pressioni. Quando non c’è la forza della ragione c’è la ragione della forza. A uno gli misi le mani addosso, mi denunciò e mi tolse diecimila euro. Successivamente lo incontrai, mi disse che con quei soldi aveva comprato una moto e che dopo pochi giorni gliela avevano rubata. La mia risposta fu: i soldi rubati vanno a finire male. Una volta andai da un direttore di una rivista nota. Gli feci una proposta: accetto di diventare carne da macello se a ogni copertina date mille, duemila euro in beneficenza. La risposta fu tedesca: nein!

Se ti chiedessi di chiudere gli occhi e pensare a un profumo della tua infanzia?

Il periodo è quello della vendemmia, un giorno festivo: le donne del paese hanno cucinato le polpette nel sugo. L’odore di sterco che solitamente invade le strade di campagna lascia il posto all’odore di sugo e mosto fusi in un’unica fragranza: il mio Sabato del Villaggio.


di Giò Di Sarno