Giovanna Nocetti, una donna senza “Limiti”

venerdì 5 febbraio 2021


Musicista, cantante, direttrice d’orchestra, regista. Giovanna Nocetti (per molti solo Giovanna) è una donna e un’artista dal temperamento deciso. Coerente con la sua forza, segue da sempre un percorso fatto di cultura, ricerca, approfondimento. Tutto questo mescolato a una grande sensibilità verso il prossimo, con un occhio di riguardo per il mondo femminile. Ed è proprio questo ultimo elemento che l’ha legata per quasi 50 anni all’amicizia indissolubile con l’autore Paolo Limiti, scomparso nel 2017, lasciando un grande vuoto nel mondo dello spettacolo non solo italiano e nel cuore di Giovanna. L’interprete de Il mio ex nasce a Viareggio, da papà Domenico e mamma Olimpia, città dove studia musica, canto e chitarra con la professoressa Ida Neukusler Masini. è la seconda di tre figli. Un’infanzia, la sua, già proiettata all’arte e dunque, chissà perché, ritenuta la pecora nera della famiglia. Personaggio che gode di grande popolarità non solo in Italia, grazie alle innumerevoli partecipazioni a programmi televisivi. Citata in numerosi libri: Opere di Giovanni Testori (Classici Bompiani) e Ieri e sempre, scritto per lei sempre da Testori. Inserita tra le musiciste più importanti nel volume Donne in Musica di Patricia Adkins Chiti (Armando Editore) in quanto compositrice di arie liriche per voci soliste, quartetti d’archi, ensemble, eseguite nei vari teatri nazionali ed internazionali da cantanti lirici famosi. Compone per Giovanni Paolo II una Ave Maria che lei stessa esegue in Sala Nervi in Vaticano con l’Orchestra Sinfonica Ludovico da Victoria del Pontificio Istituto di Musica Sacra, alla presenza del Santo Padre. Nel 2000 le viene commissionata dal Comitato del Giubileo una composizione destinata all’apertura dell’anno giubilare dal titolo Preghiera dell’Artista che lei stessa esegue nella Basilica di Santa Maria Sopra Minerva in Roma. Tra i numerosi lavori a sfondo religioso ha musicato anche una preghiera di Padre Pio Tutto è scherzo d’amore, cantata in tv con Cecilia Gasdia. Giovanna passa dai programmi televisivi, ricordiamo tutti quelli con Paolo Limiti, ma anche gli esordi con: Canzonissima, Un disco per l’estate, Settevoci. Con la stessa disinvoltura scrive i testi sacri citati prima e posa per Play Boy. Il numero del settimanale di allora è diventato un cimelio per i collezionisti, tanto da essere uno dei più ricercati di tutta la durata della pubblicazione. La trovo nella sua casa di Milano e invece di parlarmi di sé, la prima cosa che fa, mi propone altre donne talentuosissime. Gesto raro, ma non inusuale tra donne di carattere.

 Quando hai deciso che il mondo dell’arte sarebbe stata la tua strada?

Penso come quasi tutti, da ragazzina al doposcuola, poi dalle suore, al catechismo ci facevano cantare le canzoni della chiesa, o cose come Va Pensiero. Quando facevamo le prove al Goldoni di Viareggio mi mettevano sempre in fondo a causa della mia altezza. Allora io per paura di non essere sentita cantavo con tutta la voce che avevo in corpo. Suor Salvatrice diceva “canta bassa, Giovanna” ma la paura di essere dimenticata là dietro era più forte del consiglio della povera suorina. Verso i dodici anni ho incominciato a frequentare una scuola di musica e lì, oltre ad imparare lo strumento ho imparato ad usare la voce come fosse un altro strumento, ho conosciuto colei che mi ha accompagnata per tutta la carriera: l’insegnante Ida Neukusler. Lei passava dalle canzonette del carnevale alla lirica. Donna coltissima e musicista impeccabile. Da insegnante e allieva, col tempo siamo diventare amiche e colleghe. Tanto da collaborare alle sue lezioni con degli stage per i suoi allievi. è stata senza dubbio la mia guida musicale. Prima si studiava con altri metodi. La cosa peggiore dell’insegnamento attuale è quello di usare le basi musicali e non uno strumento dal vivo. Così facendo, lo studente si adagia su quell’arrangiamento preconfezionato e tende ad imitare il cantante per cui è stata creata quella base. Creando delle bruttissime copie. Senza parlare dei talent, lasciamo stare…

Che infanzia hai avuto?

Travagliata. I miei volevano che facessi un percorso di studi per un lavoro cosiddetto normale, che prendessi il famoso pezzo di carta, mentre io volevo solo cantare. Mia madre alla fine un po’ ha ceduto, mio padre no. A casa mia non cantava nessuno, era un mondo sconosciuto. Ero considerata la pecora nera. Per scommessa mi iscrissi a un concorso, mi esibii in Les feuilles mortes accompagnandomi con la chitarra. Vinsi e mi presero alla Meazzi che non era proprio un’etichetta discografica ma un’azienda che costruiva strumenti musicali. E da lì iniziarono tante cose.

Guardandoti in tv, rispetto alle altre cantanti della tua generazione, hai sempre trasmesso un’idea di donna emancipata e libera: che cos’è la libertà per Giovanna?

Mah, io a un certo punto ho deciso di lasciare tutto, scuola, casa, amici, Viareggio, per trasferirmi a Milano. Mio padre era fuori di sé, continuava a ripetere che una donna perbene non poteva stare sola in una città come Milano. Lì avevo un’amica a Corso Sempione, mi appoggiai da lei per un periodo. Dormivamo in quattro in una stanza. Nel frattempo lavoravo facendo la turnista per 1500-2000 lire a turno. Il turno durava 4-5 ore. Uno dei primi compagni di viaggio nella musica fu Cristian con cui ci dividevamo davvero la pagnotta con una fetta di prosciutto in due. Anche lui alle prime armi, tutti i giorni facevamo la via Crucis per le varie case discografiche, a volte nemmeno ci facevano entrare. Ho lavorato tutta la vita ma senza avere dei picchi. Ho sempre avuto paura di rimanere imprigionata in un contratto. Ho avuto proposte davvero interessanti dall’estero: in una dovevo restate a Las Vegas sei mesi, ero lì con Villa quando me lo proposero, ma io non accettai. Mi sarei dovuta esibire con artisti come Frank Sinatra, Barbra Streisand, Liza Minnelli, ma io sono una donna libera e mi piace vivere a briglie sciolte. Come sento odore di costrizioni in un qualsiasi campo, allora scappo. Libertà è davvero voler fare quello che ti pare. Nel rispetto di tutti, ci mancherebbe. Ma anche e soprattutto verso se stessi.

Che cos’è un colpo di silenzio?

Eh... una canzone che ha scritto Paolo Limiti. La doveva cantare Ornella Vanoni. Pensa, eravamo in America, ci incontrammo per caso, era credo il ’71. Paolo mi dice “ti faccio ascoltare una canzone che ho scritto per Ornella.” Mi piacque molto e la diede a me. Ovviamente figurati, la Ornella si incazzò come una furia. Per me ha scritto, tra le altre, Ahi mì amor, interpretata anche da Mina.

A proposito di Paolo Limiti, quasi cinquant’ anni di amicizia, precisamente 47. Che rapporto è stato il vostro?

E’ stato un rapporto bellissimo. Sono l’unica donna con la quale non ha mai litigato, poi ha litigato con tutte: da Liz Taylor in giù. Lui rispettava e apprezzava il mio modo di essere. Un uomo abituato a parlare di tante cose, non era facile stargli vicino, era un passo avanti a tutti, e se non eri su quella lunghezza d’onda potevi non capirlo e attribuirgli un brutto carattere. Lui non era mai banale e non mi riteneva banale. Quando iniziavamo a parlare passavano ore senza che ce ne accorgessimo, si poteva partire dalla Filosofia e arrivare a parlare di un programma trash con la stessa intensità: un uomo coltissimo. Siamo stati molto vicini negli ultimi anni, vicini anche fisicamente. L’unica che ha avuto il privilegio di entrare in ospedale. Nonostante sapesse che il male aveva preso il sopravvento faceva progetti. Voleva riprendere a fare gli spettacoli che faceva nei pomeriggi di Rai Uno.

Cosa ti manca di più di lui?

Mi mancano le domeniche nella sua villetta fuori Milano, le chiacchierate, la quotidianità, eravamo una sorta di George e Mildret. Mi manca la progettualità dei programmi televisivi, perché se non ero nel cast, ero presente come una sorella. Mi chiamava per le cose più stupide e quelle più importanti. Solo per raccontarti un aneddoto: un giorno mi telefonò, era estate. “Giò, uno spavento: ero in macchina, un dolore al petto, mi stringeva la gola, ma così forte. Ho creduto a un infarto, invece era la cintura di sicurezza.” Abbiamo riso con le lacrime per ore. Lui era ipocondriaco, quando partivamo facevamo una valigia a parte per le medicine. Ecco, mi manca tutto questo.

C’è un suo brano, anche non suo, che ami in modo particolare?

Sì, uno di Umberto Balsamo. Si chiama Mi manca poco di te e recita così “Mi manca poco di te, magari un gesto, ma tu non mi manchi”.

E la mancanza di un figlio la senti?

No, sinceramente non ho mai avuto questo istinto materno. Ero troppo presa dalla musica. Io mi sono occupata di tante cose. Come avrei potuto tirare su un figlio impegnata a dirigere la Cavalleria Rusticana o a seguire la mia etichetta discografica, la Kicco Music, affrontare tour in tutto il mondo. Ho viaggiato tantissimo. Non ho voluto sacrificare la vita di nessuno. Un atto egoistico che non mi sono sentita di fare.

Sei toscana ma hai una grande attenzione per la canzone napoletana: come è nata questa passione?

Perché la mia mamma era napoletana. Mi raccontava tante cose su Napoli, tanto che la prima volta in cui andai in quel Paradiso, mi fermai un anno per cercare le mie radici. Volevo conoscere ogni anfratto, ogni profumo. Napoli è magica.

 Sei musicista, direttore d’orchestra, hai diretto anche un’orchestra tutta al femminile. Come mai se si pensa al gruppo musicale, si intende ancora con i musicisti maschi e la cantante femmina? Usciremo mai da questi stereotipi?

No. Purtroppo sono convinta che non ne usciremo mai. I progressisti, o i comunisti, chiamali come vuoi, le donne nello spettacolo le fanno andare avanti ma solo subalternate alla loro figura: la mia donna, mia figlia, mia sorella ecc. Quando le donne sono veramente al comando funziona tutto. Forse sono più oculate, hanno una predisposizione nella gestione, una volontà di riscatto. Ora non saprei dire con certezza il perché. In ogni caso regna il maschilismo, soprattutto in Italia.

Cosa bolle in pentola?

L’8 febbraio alle 8 di mattina sarò in diretta come ormai da anni a TV2000 nella trasmissione Bel tempo si spera. Mentre il 14 febbraio sarò a Firenze a fare finalmente, dopo le pause di questa pandemia, un concerto a pagamento. Pensa, un concerto su Napoli: Dicitincello Vuje. Si potrà vedere anche in streaming. Spero vivamente che si possa rimettere in scena la Cavalleria Rusticana, dove curo la regia. E poi c’è la Menotti’s Art Accademy di Spoleto per i cantanti della Lirica. Una master class di alta formazione che si terrà a luglio e settembre.

E l’amore?

Eh... è una cosa che è tanto bella da giovane. Ci sono due modi di invecchiare: intristendosi e ridicolizzandosi. Io sono invecchiata intristendomi. Non potrei mai stare con qualcuno che attacchi il cappello o, peggio ancora, per compagnia. Il mio spirito libero mi si rivolterebbe contro.

 


di Giò Di Sarno