martedì 29 settembre 2020
A.A.V.V. (a cura di Alessandro Mangia), Mes. L’Europa e il Trattato impossibile, (Scholé, Brescia 2020, 243 pagine, 18 euro). Un gruppo di giuristi, coordinato da Mangia, s’interroga su cosa (e che effetto debba e possa avere) il Mes. Scrive Mangia, ripetendo – ironicamente – un frammento del Digesto che nel diritto ogni definizione è pericolosa: c’è poco che non possa essere smentito o capovolto. “E questo appare tanto più vero per il Mes, che è un oggetto misterioso dal punto di vista del diritto. Del Mes, di ciò che può fare e non fare, di che cosa sia e a cosa serva, hanno parlato in tanti. Ma ne hanno parlato soprattutto economisti che si sono beati della ‘potenza di fuoco’ di un oggetto che galleggia nell’indistinto che sta fra diritto internazionale, diritto bancario, diritto costituzionale senza essere in grado di coglierne le pericolose anomalie. Se a questo si aggiunge la polemica politica, e la cattiva informazione, si capisce perché del Mes si sia potuto dire tutto e il contrario di tutto”.
Peraltro “del Mes non hanno parlato i giuristi, se non incidentalmente”; la conseguenza è che “del Mes hanno parlato soprattutto economisti, politici e funzionari vari”, spesso anche per andare su un giornale o in televisione. E il risultato è di “affidarsi a chi non ha né addestramento né forma mentale a cogliere le impressionanti implicazioni di ordine giuridico e istituzionale che derivano dall’essersi affidati ad un Trattato internazionale per regolamentare attraverso le forme del diritto privato i rapporti tra Stati sovrani” e ciò equivale a “farsi spiegare il Codice civile o il diritto romano da un ingegnere. O un manuale di Tecnica delle costruzioni da un giurista”.
Mentre ha un’importanza decisiva parlarne e valutarlo in termini giuridici perché “il diritto è una tecnica antica di riconoscimento, analisi, e composizione di interessi confliggenti”. E qua gli interessi confliggenti non mancano e sono di enorme rilievo. Per capire come il Mes è bisogna partire dal fatto che è un’istituzione e cioè “una realtà che di per sé non è né giuridica, né economica, ma è, prima di tutto, una struttura fatta di regole giuridiche e comportamenti materiali”, che interagiscono tra loro e con altre istituzioni. Pertanto vedere il Mes solo dal punto di vista del Trattato, senza analizzare gli interessi concreti che lo hanno creato, se ne capisce molto poco. Il Mes è stato istituito “per cercare di colmare un buco di progettazione originario del Trattato di Maastricht del 1992: una Banca centrale che non fa le cose che normalmente fanno le banche centrali di tutto il mondo”. Per rimediarvi, e, a seguito della crisi del 2007, che rese evidente l’inadeguatezza della Bce ad affrontare e superare le emergenze, s’istituzionalizzò il Mes come strumento temporaneo (e quindi eccezionale) d’intervento.
A tale istituzione (e ai suoi funzionari) sono stati concessi privilegi da Stato sovrano e il che, tra l’altro, viola le costituzioni degli Stati aderenti “sul versante di pienezza e generalità della tutela giurisdizionale” (vedi articolo 24 della Costituzione italiana). Così se per le dovute forme e regole speciali è processabile da un Tribunale un ministro dell’Interno, non lo è una dattilografa del Mes. Inoltre il consiglio dei Governatori del Mes è composto dai ministri economici dei governi aderenti, che sono tenuti al “segreto professionale” “Non si tratterebbe di un grande problema se il Mes fosse una normale istituzione bancaria”; lo diventa se poi i Ministri devono rispondere – com’è – al Parlamento; per cui il “segreto professionale” entra in conflitto con le procedure della rappresentanza parlamentare. Questo mescolare principi, istituti e procedure di diritto pubblico e privato ne ha fatto un ircocervo, peraltro zoppo. E, come qualcuno dice, anche “stupido”. Ma, spesso la disciplina europea non è così stupida come descritta, spesso intenzionalmente, quando serve da base argomentativa al ritornello “ce lo chiede l’Europa”. Infatti il difetto fondamentale della Bce, nata anch’essa claudicante, era di non prevedere per essa tutti poteri attribuiti alle banche centrali, magari poco rilevanti in tempi normali, ma decisivi in situazioni eccezionali; e a questo “errore di progettazione” dovrebbe rimediare il Mes, anch’esso zoppo. Tuttavia una via d’uscita c’è: l’articolo 122 del Tfue consente all’Ue di dare assistenza finanziaria ad uno Stato membro in difficoltà “seriamente minacciato da gravi difficoltà a causa di calamità naturali o di circostanze eccezionali che sfuggono al suo controllo”. Norma che non “sana” le spese allegre dello Stato membro, ma è la classica eccezione non riconducibile ad azioni o omissioni dei governi. Strada che, secondo gli autori di questi saggi è la migliore e la più percorribile. Ma non sembra che in Europa (e in Italia la maggioranza di governo) ne abbia l’intenzione.
di Teodoro Klitsche de La Grange