L’importanza della formazione universitaria del magistrato

venerdì 24 luglio 2020


Ho letto con attenzione l’intervento di Vincenzo Vitale su “L’Opinione delle Libertà”, critico verso l’iniziativa dell’Università Suor Orsola Benincasa (nella foto) di inaugurare nell’ambito del proprio Dipartimento di Studi Giuridici uno specifico corso che, dal quarto anno, prepari il futuro laureato in giurisprudenza alla professione di magistrato ed al relativo concorso.

Secondo Vitale un simile percorso servirebbe solo a formare dei “giudici funzionari” perfettamente omogenei al “mainstreamaccademico, imbottiti di risposte tratte dai codici, ma incapaci di porsi domande in quanto non “esperti di umanità” e, in definitiva, privi di vero “senso giuridico”.

C’è, a mio avviso, un equivoco, un grosso equivoco che occorre chiarire. Non escludo che esso sia, anche, dovuto alla doverosa scelta da parte dell’Ateneo di non entrare a “gamba” più o meno “tesa” nel dibattito sul delicato “passaggio” vissuto in questo momento dalla Magistratura italiana, essenziale terzo potere di quello Stato di diritto che i Costituenti disegnarono per l’Italia. Tra le non molte cose da me ricordate durante la presentazione pubblica del corso vi è stata la lezione dell’antico saggio (1774) che Gaetano Filangieri dedicò alla legge del Re Ferdinando di Borbone che, su ispirazione del Tanucci imponeva, per la prima volta, ai giudici la motivazione della sentenza, vale a dire di esplicitare per iscritto il ragionamento all’origine di ogni verdetto. E, infatti, il ragionamento giuridico si caratterizza appunto per la capacità di tenere conto, certo dentro la imprescindibile ragione della legge, meglio della sua ratio (“i giudici sono sottoposti soltanto alla legge”, articolo 101 della Costituzione), delle molte ragioni che i fatti comunque contengono ed espongono. È questo ragionare giuridico che costituisce quell’“umanamente domandarsi” e poi, “giuridicamente rispondere” che in ogni tempo si richiede ad una magistratura che sappia fare il suo dovere in uno Stato di diritto.

Natalino Irti, tra i maggiori giuristi italiani contemporanei, tra l’altro presidente di quell’Istituto Italiano per gli Studi Storici che, non a caso, Benedetto Croce fondò per la formazione della classe dirigente italiana dopo il fascismo, in un suo recentissimo saggio giuridico ha ricordato come il diritto sia essenzialmente forma e forma linguistica che dà, tuttavia, voce e veste ai fatti. Bisogna dunque ben conoscere le forme e prendere sul serio i fatti! Ritengo francamente che la formazione del magistrato, negli stessi luoghi e tempi in cui apprende, dai propri qualificati docenti, i fondamenti del sapere giuridico (anche nei suoi approcci filosofici, sociologici, storici, comparatistici, ecc.) sia quasi l’esatto contrario di quella formazione da “funzionario” obbediente ai messaggi dall’alto, di cui parla Vitale.

Di più, l’apprendere, certo principalmente il diritto affrontandone con docenti “professori” o con docenti “magistrati” i casi, ma in un ambiente culturale nel quale altre giovani menti si formano partendo principalmente da altri saperi (pedagogici, letterari, storici, storico-artistici, economici, comunicativi, psicologici, ecc.), e fare con quei giovani comunità, giacché il fare “comunità” è uno dei principali contenuti della vita universitaria, arricchisce senz’altro, e in maniera qualificata, nel futuro giurista magistrato, quella esperienza di umanità che ci si augura in lui.

Infine, la formazione in una universitas studiorum appare anche un considerevole antidoto alla spinta anticipatamente carrieristica che può generarsi in una pur qualificata scuola privata che prepari non anche, ma solo alla vittoria del concorso. A questo punto anche per l’autore dell’articolo di cui stiamo discutendo potrebbe applicarsi lo straordinario consiglio ai futuri magistrati di Leonardo Sciascia: conoscere per formarsi adeguatamente, almeno per qualche giorno, la vita all’interno dell’Ucciardone o di Poggioreale.

Invito con calore e simpatia il dottor Vitale a venire a conoscere anche i luoghi della nostra Università, non solo per la straordinaria, composta, bellezza dell’antica Cittadella seicentesca che la ospita, quanto per riconoscervi la presenza, accanto al rigore degli studi, indispensabile per vincere il concorso in magistratura così come qualsiasi altro “cimento” della vita, di quel senso critico che l’esperienza di alcuni secoli ci ha insegnato a mantenere costantemente vigile in quel delicatissimo agire che è il formare i giovani.

(*) Rettore Università degli Studi Suor Orsola Benincasa di Napoli e vicepresidente della Conferenza dei Rettori delle Università Italiane


di Lucio d’Alessandro (*)