Interviste immaginarie: la parola alla Parola!

giovedì 23 aprile 2020


Quella lingua  si chiama d’una patria,

la quale convertisce i vocaboli ch’ella

ha accattati da altri  nell’uso suo, ed è

sì potente che i vocaboli accattati non

la disordinano, ma ella disordina loro”.

 

Machiavelli

“Ciao!”.

“E lei da dove viene?”.

“La mia storia è piuttosto lunga. Vengo dal Medioevo, e più precisamente dal latino medioevale. Però come Ciao ho circa centocinquant’anni. In origine, infatti  ero sclavus, che corrispondeva all’italiano ‘schiavo’, e che però allora indicava i prigionieri slavi”.

“I prigionieri slavi?”.

“Sì. Infatti oltre che ‘sclavus’ si diceva anche ‘slavus’, perché nel Medioevo, essendo gli Slavi in stato di schiavitù, dire ‘slavo’ era come dire ‘schiavo’”.

“Quindi dire ‘Ciao’ ad uno, fosse pure un amico, era come dirgli ‘schiavo’”.

“In un certo senso, sì. Naturalmente arrivai pure in Italia, perché anche le parole viaggiano, e perciò in una lingua s’infilano anche quelle straniere, come okay, red-carpet, selfie, e chi più ne ha più ce ne metta”.

“La colpa è dei giornalisti, della Stampa e della Televisione, i quali spesso usano vocaboli stranieri per snobismo. Ma che cosa credono, di essere più apprezzati se, parlando di personaggi famosi, invece di dire ‘celebrità’ dicono ‘celebrities’? Ora abbiamo anche ‘Jobs Act’. Che io, confesso, non so nemmeno che cosa significhi. Gl’Italiani non parlano più l’italiano, parlano l’ital-english. Come il franglais dei Francesi. Con la differenza che i Francesi cercano almeno di contenere questa invasione: per esempio, invece di ‘computer’ dicono ‘ordinateur’, invece di ‘mouse’ dicono ‘souris’”.

“Che cosa vuole, siamo nell’epoca della globalizzazione”.

“Ma come diceva Orazio c’è una misura in tutte le cose: Est modus in rebus. E poi non è cosa di oggi. Nel 1877 un filologo, Pietro Fanfani, nel suo Lessico dell’infima e corrotta italianità, scriveva che ‘la mancanza dei superiori’ (come potrebbe essere l’Accademia della Crusca) determinava ‘il graduato corrompimento della lingua italiana, operato dai ciarlatani del nostro secolo’. Le chiedo scusa per questa digressione. Dunque, dicevamo?”.

“Allora a un certo punto, in Italia, nel salutare una persona, in atto di rispetto, si cominciò a dire ‘Schiavo vostro!’, ‘Servitor vostro!’, ‘Sono il vostro umilissimo servo!’”.

“Mi viene quasi da ridere!”.

“Perché?”.

“Perché la Chiesa dice che tutti siamo ‘servi del Signore’, come se Dio fosse il nostro ‘Padrone’. Padre va bene, ma padrone… Il rapporto fra Dio e l’uomo non può essere inteso nel senso del rapporto che c’è fra un operaio e il suo datore di lavoro, si tratta di un rapporto spirituale, e poi noi siamo sangue dello stesso sangue di Dio, carne della sua carne, tutti, non soltanto Cristo. Non possiamo discendere da Adamo, che Dio trasse dalla polvere, come un estraneo. E a un certo punto lo cacciò dall’Eden dicendogli, con evidente disprezzo: ‘Polvere eri e polvere ritornerai!’”.

“Senta, la Chiesa dice che la Bibbia è Parola di Dio, ma io non m’intrometto in queste faccende”.

“Alcuni, sempre in Italia, da certe parti invece di ‘Ciao’ dicono: ‘Baciamo le mani’. C’è da stare attenti: con questo coronavirus! Guarda tu dove ci portano le parole. Dunque. Continui pure”.

“Dobbiamo andare nel Veneto”.

“A che fare?”.

“Cos’hai capito? Non materialmente, intendevo dire ‘a parole’. Nel dialetto veneto ‘schiavo’ si dice ‘s-ciavo’, per cui, come Carlo Goldoni, la gente comune diceva ‘s-ciavo vostro’, o più semplicemente ‘s-ciavo’. Da lì si passò a ‘s-ciao’ e da ‘s-ciao’ a ‘ciao’”.

“Dunque lei è un residuo della schiavitù, che, se mi consente, è stata abolita da un pezzo”.

“Mettiamola pure così. C’è ‘Ciao’ e ‘Ciao’: anch’io, pur essendo una parola, ho i miei umori, per cui generalmente sono allegra, affettuosa, spontanea, ma certe volte sono pure scontrosa, svogliata, dico Ciao per pura convenienza, insomma, non sono sempre allegra. E ciò vale per tutte le parole. Anche loro si arrabbiano, sa’?”.

“Oggi, però, certe parole, come la donna del Rigoletto, italiane o straniere, la fanno da padrone, anzi, da dominatrici. Ormai non c’è popolo al mondo che non si serva di lei per salutare. Lei è infatti una parola che corre sulla bocca di tutti gli abitanti della Terra”.

“Ma anche ‘Okay’ non scherza”.

“Quella lasciamola stare: non fa parte della Parola alla Parola! Rientra in un’altra rubrica, Parole alla sbarra, cioè a quelle che sempre più vanno inquinando la bella lingua italiana”.

“Durante l’ultima guerra mi hanno dedicato una canzone in cui Ciao compare una diecina di volte, e per di più mi hanno affibbiato l’aggettivo bella”.

“E qual è questa canzone?”.

“‘Una mattina mi son svegliato, o bella ciao, bella ciao, bella ciao ciao ciao, una mattina mi son svegliato e ho trovato l'invasor...’”.

“Alt, alt, alt! Non mi sembra proprio adatta questa canzone: suscita dei brutti ricordi. Ce ne sono tante altre ben più appropriate. Come questa, per esempio, con la quale mi congedo da lei e la saluto”.

 

Ciao, ciao, bambina,

un bacio ancora

e poi per sempre

ti perderò.

Come una fiaba

l’amore passa,

c’era una volta,

Poi non c'è più.
Cos’è che c’è

sul tuo visino?
È pioggia o pianto?

Dimmi cos'è.
Vorrei trovare

parole nuove,
ma piove, piove
sul nostro amor!”.


di Mario Scaffidi Abate